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Che ci posso fare?, Chin Sheng Tan

25 lunedì Mag 2020

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Inserimenti, Percezione, Tempo

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Che ci posso fare?, Chin Sheng Tan
(Estratto da: Importanza di capire, di Lin Yutang –TEA, 1999)

Dalla I Prefazione alla Camera Occidentale, di Chin Sheng Tan

Non sappiamo che cosa siano in realtà gli oggetti che stanno di fronte a me e che chiamiamo una pietra da inchiostro, una penna, un pezzo di carta; ma siccome sono generalmente chiamati con questi nomi, useremo per indicarli i nomi consueti. Non sappiamo che cosa siano in realtà una mano o un pensiero, ma anche noi chiameremo la mano e il pensiero con questi nomi. Chiamiamo questo posto accanto alla finestra “qui” e il momento presente “oggi”; e così anch’io li chiamerò “qui” e “oggi”.

Mentre scrivo, un’ape entra volando dalla finestra e una formica cammina sul balcone. La formica e l’ape si godono la loro effimera vita presente proprio come io mi godo la mia effimera esistenza. Quando io diventerò un “antico”, anche la formica e l’ape diventeranno una “formica antica” e un’“antica ape”. Quale mistero e che gioia che io viva oggi, in quest’ora, in questo posto presso questa finestra, con penna, pietra da inchiostro e carta davanti a me, mentre la mia mente pensa e la mia mano scrive, in compagnia dell’ape e della formica presenti.

I miei lettori nati dopo di me non sapranno mai che ci sono un’ape e una formica in questo momento in cui io sto scrivendo. Ma se i lettori venuti dopo di me non potranno sapere di quest’ape e di questa formica che mi fanno compagnia mentre scrivo, allora essi non sapranno nulla, in realtà, di me. Ma io so qualcosa dei miei lettori futuri. Coloro che leggeranno queste pagine come temporanea occupazione, o magari senza neanche aver pensato a un’occupazione temporanea, le leggeranno perché non sanno “che farci”, nel vedere che la vita passa e svanisce come la luce del lampo o come nubi che si dissolvono, come un uragano di passaggio, come acqua che scorre.

Son giunto dunque a rendermi conto che perdere il proprio tempo è un modo di impiegarlo, non perderlo è un altro modo d’impiegarlo, e non preoccuparsi di continuare a perdere tempo anche sapendo che è una perdita di tempo è un altro modo d’impiegarlo. Mi sono tanto affaticato su questo libro [1] perché voglio che questo commento sia superbo, e voglio che esso sia superbo perché ho osato. Ho osato perché ho capito la vita sino in fondo; e siccome ho capito la vita sino in fondo, posso fare ciò che la mia natura mi porta a desiderare di fare. Fare ciò che la mia natura mi porta a desiderare di fare è un altro modo ancora di occupare il tempo.

Però non ho tempo di preoccuparmi del problema se i miei futuri lettori mi conosceranno oppure no. Ahimè! nello stesso modo, vorrei cantare un lamento in onore degli antichi, ch’erano più intelligenti di me, ma non so chi erano! Perciò ho prodigato le mie fatiche in questo commento, e l’ho pubblicato come una forma di lamentazione in onore degli antichi. Questa lamentazione in onore degli antichi non è, in verità, per gli antichi; è soltanto un altro modo di occupare il tempo.

– Estratto da: Importanza di capire, Lin Yutang – TEA 1999 (fuori catalogo)

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Lin Yutang

[1] Chin Sheng Tan (1609?–1661) fu un grande commentatore del dramma di Wang Shih Fu (1250-1337) “La camera occidentale“. Fu tra i primi a convincersi che le opere di fantasia e il dramma appartengono di pieno diritto alla Letteratura con L maiuscola, alla pari con i Classici.

– Lin Yutang (1985-1976) – scrittore, traduttore e saggista cinese; candidato due volte al Premio Nobel (1940 e 1950) per la Letteratura Cinese (wikipedia)

Il “Wyrd”, estratto da Wikipedia

20 lunedì Gen 2020

Posted by Paola in Inserimenti, Percorsi spirituali, Realtà Parallele, Spiritualità, Stati altri di coscienza, Tempo

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Deriva dal protogermanico *wurdís, “fato”, radice dell’alto tedesco antico wurt e del norreno urðr, che si ritrova nel nome di una delle Norne e del pozzo sacro Urðarbrunnr (il termine norreno per “fato” era Ørlog). (…)

Il significato basilare del Wyrd si riferisce a come le azioni passate influenzino e condizionino continuamente il futuro. Ma anche come il futuro influenzi il passato. Tutte le azioni di tutti i tempi si influenzano a vicenda.

Si ipotizza che, al contrario del Fato, il Wyrd sia tutt’altro che immobile ed immutabile: non si ripete mai allo stesso modo, non è il destino individuale, ma piuttosto una rete che collega ogni elemento ed ogni creatura dell’universo, e non conosce distinzioni tra passato e futuro. Niente veniva escluso da questa visione, e ciò che fosse ritenuto negativo o distruttivo, pur essendo allontanato o combattuto, era considerato in ogni caso parte del Wyrd.

Ne deriva che qualsiasi azione personale va ad influire direttamente sul wyrd degli altri individui: ogni decisione, presa nel presente, genera un’eco che si propaga non solo nel futuro, ma anche nel passato, giacché nell’essere umano coesistono passato, presente e futuro.

Ogni azione che è, influenza ciò che sarà e ciò che è stato; ogni azione che è stata, influenza ciò che è e ciò che sarà; ogni azione che sarà, influenza ciò che è stato e ciò che è. Ma non solo: ogni azione influirà sul wyrd altrui, e quindi su presente, passato e futuro altrui. Tutto l’universo di tutti i tempi, in questo modo, sarebbe stretto nella medesima, inestricabile, rete.  (…)

Fonte: Wikipedia

Tao Te Ching, Augusto Shantena Sabbadini (conversazione) (audio)

19 domenica Gen 2020

Posted by Paola in Audio, Filosofia, Inserimenti, Intervista, Personaggi, Taoismo, Tempo

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Tao Te Ching, conversazione con Augusto Shantena Sabbadini – Registrazione audio dal programma “Uomini e Profeti” / Radio 3, 6/02/2010

Augusto Shantena Sabbadini – è un traduttore, fisico e scrittore italiano. Ha lavorato come fisico teorico presso l’Università di Milano e l’Università della California. A Milano si è dedicato ai fondamenti della fisica quantistica, concentrandosi sulla descrizione del processo di quantum di osservazione, un problema che mantiene il suo fascino fino ad oggi. In California ha contribuito all’identificazione del primo buco nero. Nel 1990 è stato consulente scientifico per la Fondazione Eranos, un centro di ricerca est-ovest fondato sotto la guida di C.G. Jung nel 1930. In questo contesto ha studiato i classici cinesi sotto la guida del sinologo olandese Rudolf Ritsema e prodotto varie traduzioni e commenti, tra cui il Yijing e la Daodejing. Dal 2002 è direttore associato del Centro Pari per New Learning, un istituto di istruzione alternativa situato nel piccolo borgo medievale di Pari, Toscana, Italia. Insegna corsi brevi presso la Schumacher College e conduce workshop sul Taoismo, la fisica quantistica e il Yijing come strumento di introspezione. [da Wikipedia.it]

Riferimenti: http://www.shantena.com

Vedi anche: L’I Ching, A.Shantena Sabbadini –  conversazione (audio) 2011

– – – – – – – – – –

https://inseparatasede.files.wordpress.com/2020/01/100206-shantena-sabbadini-intervista-sul-tao-te-ching.mp3

Il calendario dell’Avvento, Paola

29 venerdì Nov 2019

Posted by Paola in Paola, Percezione, Tempo

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Il calendario dell’Avvento, Paola (nota al gruppo di pratica)

Una volta ancora ci stiamo avvicinando alla fine di un calendario. Se la fine è nel contempo un punto di arrivo e di partenza, nel periodo precedente tutto ciò che è stato vissuto – nella sofferenza, nella fatica e anche nella gioia – non ci sta solo alle spalle ma anche sulle spalle.

Avvicinandoci a questa tappa non facciamo consuntivi e non stendiamo nuovi progetti, ma lasciamo andare il vecchio creando spazio per il nuovo in arrivo. Il nuovo non può accomodarsi se in noi non trova spazio libero per sé, e questo spazio non lo si crea ammassando in un angolo ciò che più non serve con l’idea di conservarlo per un ipotetico bisogno futuro.

Il futuro non contiene il passato, e non è futuro il domani generato dal passato.

Creiamo il nostro calendario dell’Avvento, e invece di scartare cioccolatini e caramelle, di recitare filastrocche e pensierini, ogni giorno svuotiamo la nostra tasca di un dolore, di un ricordo, di un pensiero fisso e tormentoso, di un rancore o di un rimorso, di un rimpianto o di un’illusione.

Lasciamo andare anche qualche gioia passata, perché talvolta le gioie passate ci impediscono di gustare quelle diverse gioie che ci attendono nel futuro.

Svuotiamoci del desiderio e delle aspettative che poggiano su fallimento e frustrazione, che ci legano ancor più stretti a qualcosa che non è più e più non sarà.

Chiudiamo i conti: paghiano un debito di riconoscenza, di affetto, di amore; azzeriamo il credito di un torto, di un’incomprensione, di un’offesa.

Togliamo e togliamo… non sentiamoci persi per quel vuoto temporaneo: è pieno di potenziali che attendono un campo dissodato, senza sassi e vecchi ceppi, per affondare le radici e germinare.

Non facciamo ora una lista di ciò che pensiamo che non serve: non lo si può sapere. Ogni giorno uscirà dalla nostra tasca un pacchettino. Riconosciamolo e liberiamolo dalla confezione dell’apparenza. Sorprendiamoci: forse mai avremmo pensato che fosse proprio quella cosa ad essere un inutile peso. Sorridiamo: com’è facile e dolce lasciare ciò che chiede di essere lasciato..–––

La stagione della semina, Paola

01 martedì Ott 2019

Posted by Paola in Coscienza, Paola, Percezione, Tempo

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La stagione della semina, Paola (nota al gruppo di pratica)

Noi siamo esseri naturali e da sempre i saggi ci invitano a seguire i ritmi della natura per stare bene. L’equilibrio della natura si manifesta in ogni aspetto della vita, e i cicli e le alternanze ne sono una manifestazione.

L’equinozio autunnale, quel breve momento di parità tra notte e giorno, apre la porta al buio per la semina… l’internalizzazione.

Con la ripresa delle nostre attività, invito a porre un nuovo seme in ciò che ciascuno di noi farà, sia in gruppo che individualmente, e questo seme è l’essere nuovi in quel che ci sembra solito e abitudinario.

Infatti, se l’azione del seminare è sempre la medesima ogni anno, i semi che vengono in quel momento gettati sono quelli prodotti da piante più ricche di esperienza e conoscenza – e mi piacerebbe poter anche dire: di saggezza –  rispetto a quelli dell’anno precedente.

Non lasciamoci ingannare dall’apparenza di un ricorso ciclico per “ripeterci” come fotocopie di noi stessi, ma inseriamo quella nota di novità che ciascuno sa scoprire dentro di sé per rendere vivo e vitale un nuovo processo di germinazione.—

Amore a prima vista, Wisława Szymborska

09 venerdì Ago 2019

Posted by Paola in Coscienza, Percezione, Tempo

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Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
È bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.

Non conoscendosi, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?

Vorrei chiedere loro
se non ricordano –
una volta un faccia a faccia
in qualche porta girevole?
uno «scusi» nella ressa?
un «ha sbagliato numero» nella cornetta?
– ma conosco la risposta.
No, non ricordano.

Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio tempo
il caso giocava con loro.

Non ancora pronto del tutto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando una risata
con un salto si scansava.

Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o lo scorso martedì
una fogliolina volò via
da una spalla a un’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, forse già la palla
tra i cespugli dell’infanzia?

Vi furono maniglie e campanelli
su cui anzitempo
un tocco si posava su un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.

Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.

– Amore a prima vista, Wisława Szymborska – Adelphi

 

Quando essere vecchi significava saggezza, U. Galimberti

02 giovedì Ago 2018

Posted by Paola in Filosofia, Tempo

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Quando essere vecchi significava saggezza, Umberto Galimberti [ da La Repubblica, 29/02/2008]

– – – – – – – – – – –

La vecchiaia non è solo un destino biologico, ma anche storico-culturale. Quando il tempo era ciclico e ogni anno il ritmo delle stagioni ripeteva se stesso, chi aveva visto di più sapeva di più. Per questo “conoscere è ricordare”, come annota Platone nel Menone, e il vecchio, nell’accumulo del suo ricordo, era ricco di conoscenza. Oggi con la concezione progressiva del tempo, non più ciclico nella sua ripetizione, ma freccia scagliata in un futuro senza meta, la vecchiaia non è più deposito di sapere, ma ritardo, inadeguatezza, ansia per le novità che non si riescono più a controllare nella loro successione rapida e assillante. Per questo Max Weber già nel 1919 annotava: “A differenza delle generazioni che ci hanno preceduto, oggi gli uomini non muoiono più sazi della loro vita, ma semplicemente stanchi”. Per questo la vecchiaia è dura da vivere, non solo per il decadimento biologico e il condizionamento storico-culturale, ma anche per una serie di destrutturazioni che qui proviamo ad elencare.

La prima è tra l’Io e il proprio corpo: non più veicolo per essere al mondo, ma ostacolo da superare per continuare a essere al mondo, per cui a far senso non è più il mondo, ma il corpo che la vecchiaia trasforma da soggetto di intenzioni a oggetto d’attenzione. Siccome poi nessuno riesce a identificarsi con un vecchio, anzi tutti si difendono spasmodicamente da questa identificazione, si crea quella seconda destrutturazione tra l’Io e il mondo circostante che impoverisce le relazioni e rende convenzionale e perciò falsa l’affettività. Nel vecchio, infatti, l’amore, che Freud ha indicato come antitesi alla morte, non si estingue. E con “amore” qui intendo eros e sessualità, di cui c’è memoria, ricordo e rimpianto. I vecchi cessano di essere riconosciuti come soggetti erotici e questo misconoscimento è la terza destrutturazione che separa il loro Io dalla pulsione d’amore. Nel suo disperato tentativo di opporsi alla legge di natura, che vuole l’inesorabile declino degli individui, chi non accetta la vecchiaia è costretto a stare continuamente all’erta per cogliere di giorno in giorno il minimo segno di declino. Ipocondria, ossessività, ansia e depressione diventano le malefiche compagne di viaggio dei suoi giorni, mentre suoi feticci diventano la bilancia, la dieta, la palestra, la profumeria, lo specchio. Eppure nel Levitico (19,32) leggiamo: “Onora la faccia del vecchio”, perché se la vecchiaia non mostra più la sua vulnerabilità, dove reperire le ragioni della pietas, l’esigenza di sincerità, la richiesta di risposte sulle quali poggia la coesione sociale? La faccia del vecchio è un bene per il gruppo, e perciò Hillman può scrivere che, per il bene dell’umanità, “bisognerebbe proibire la chirurgia cosmetica e considerare il lifting un crimine contro l’umanità” perché, oltre a privare il gruppo della faccia del vecchio, finisce per dar corda a quel mito della giovinezza che visualizza la vecchiaia come anticamera della morte.

A sostegno del mito della giovinezza ci sono due idee malate che regolano la cultura occidentale, rendendo l’età avanzata più spaventosa di quello che è: il primato del fattore biologico e del fattore economico che, gettando sullo sfondo tutti gli altri valori, connettono la vecchiaia all’inutilità, e l’inutilità all’attesa della morte. Eppure non è da poco il danno che si produce quando le facce che invecchiano hanno scarsa visibilità, quando esposte alla pubblica vista sono soltanto facce depilate, truccate e rese telegeniche per garantire un prodotto, sia esso mercantile e politico, perché anche la politica oggi vuole la sua telegenìa. La faccia del vecchio è un atto di verità, mentre la maschera dietro cui si nasconde un volto trattato con la chirurgia è una falsificazione che lascia trasparire l’insicurezza di chi non ha il coraggio di esporsi con la propria faccia. Se smascheriamo il mito della giovinezza e curiamo le idee malate che la nostra cultura ha diffuso sulla vecchiaia potremmo scorgere in essa due virtù: quella del “carattere” e quella dell’”amore”.

La prima ce la segnala Hillman ne La forza del carattere: “Invecchiando io rivelo il mio carattere, non la mia morte”, dove per carattere devo pensare a ciò che ha plasmato la mia faccia, che si chiama “faccia” perché la “faccio” proprio io, con le abitudini contratte nella vita, le amicizie che ho frequentato, la peculiarità che mi sono dato, le ambizioni che ho inseguito, gli amori che ho incontrato e che ho sognato, i figli che ho generato. E poi l’amore che, come ci ricorda Manlio Sgalambro nel Trattato dell’età, non cerca ripari, non si rifugia nella “giovinezza interiore” che è un luogo notoriamente malfamato, ma si rivolge alla “sacra carne del vecchio” che contrappone a quella del giovane, mera res extensa buona per la riproduzione. “L’eros scaturisce da ciò che sei, amico, non dalle fattezze del tuo corpo, scaturisce dalla tua età che, non avendo più scopi, può capire finalmente cos’è l’amore fine a se stesso”. Una sessualità totale succede alla sessualità genitale. Qui si annida il segreto dell’età, dove lo spirito della vita guizza dentro come una folgore, lasciando muta la giovinezza, incapace di capire.

Forse il carattere e l’amore hanno bisogno di quegli anni in più che la lunga durata della vita oggi ci concede per vedere quello che le generazioni che ci hanno preceduto, fatte alcune eccezioni, non hanno potuto vedere, e precisamente quello che uno è al di là di quello che fa, al di là di quello che tenta di apparire, al di là di quei contatti d’amore che la giovinezza brucia, senza conoscere.—

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