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Citazione

Sulla Natura degli Dei — E. Viotti (Ad Maiora Vertite)

11 giovedì Apr 2019

Posted by Paola in Inserimenti, Realtà Parallele, Società, Storia

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Argomento ampiamente trattato da molti maggiori dei filosofi antichi, nelle epoche diverse idee e filosofie sono state in pieno contrasto le une con le altre a proposito della domanda “che cos’è una divinità?”.

via Sulla Natura degli Dei —

Le 10 strategie della manipolazione mediatica, VisionesAlternativas

24 domenica Feb 2019

Posted by Paola in Linguaggio, Società

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LE 10 STRATEGIE DELLA MANIPOLAZIONE MEDIATICA – da VisionesAlternativas.com [2010]

Alla maniera di Noam Chomsky vengono descritte le “10 Strategie della Manipolazione” sociale attraverso i mass media

1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.

La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapacedi comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…

9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.—

Fonte: http://www.visionesalternativas.com.mx
Link: http://www.visionesalternativas.com.mx/index.php?option=com_content&task=view&id=4846 0&Itemid=1
Settembre 2010

Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di ANONIMO

Esaminare la natura della recinzione, un apologo

24 giovedì Gen 2019

Posted by Paola in Società

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Esaminare la natura della recinzione, un apologo

C’era una volta un leone, che venne catturato e rinchiuso in una grande gabbia: con sua grande sorpresa, trovò dei leoni che vi erano rinchiusi da anni, alcuni persino da tutta la vita, essendo nati e cresciuti là dentro. Presto imparò a conoscere le attività sociali che si svolgevano all’interno del recinto.

I leoni si riunivano in gruppi. Un gruppo, ad esempio, era costituito da leoni desiderosi più che altro di stare in compagnia; un altro gruppo si dava la pena di organizzare spettacoli; un altro ancora si occupava di attività culturali, avendo per scopo la conservazione dei costumi, delle tradizioni e della storia del tempo in cui i leoni erano liberi; altri gruppi erano religiosi, e usavano riunirsi prevalentemente per comporre e cantare canzoni commoventi, che parlavano di una futura giungla senza recinzioni; altri gruppi attiravano i leoni con velleità artistiche, o leoni letterati; altri ancora avevano intenti rivoluzionari, e si riunivano per complottare contro i carcerieri o contro altre associazioni di ribelli; v’erano poi gli adoratori della gabbia, ed altri, infine, che ne contestavano la stessa esistenza.

Ogni tanto scoppiava una rivoluzione, un gruppo veniva sopraffatto da un altro, oppure venivano uccise tutte le guardie e poi sostituite da altre.

Guardandosi attorno, il nuovo venuto osservò un leone che stava in disparte, assorto nei propri pensieri, e che non sembrava appartenere a nessun gruppo. La sua presenza destava impressioni contrastanti, dall’ammirazione alla diffidenza.

Egli disse al nuovo arrivato: «Non unirti stabilmente a nessuno di questi gruppi. Si danno da fare per molte cose, alcune anche buone, ma ne trascurano una ch’è davvero essenziale».

«E quale sarebbe?», domandò l’altro.

«Esaminare la natura della recinzione».

Fonte: Paulus.2 (https://letterepaoline.net/verbarium/esaminare-la-natura-della-recinzione/)

Tutti i rischi di una vita da astronauta, S. Valesini

03 giovedì Gen 2019

Posted by Paola in Inserimenti, Società

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Tutti i rischi di una vita da astronauta, Simone Valesini (da Galileo, 27/08/2012)

Ma quanto è pericolosa ora la vita di un astronauta, con il suo andirivieni dallo spazio? Dall’impresa lunare del 1969, ormai i viaggi spaziali sono diventati routine. E con questi anche i problemi di salute. Gli autori di fantascienza immaginano da sempre pericoli di ogni tipo pronti a piombare sugli incauti astronauti durante i loro lunghi viaggi interplanetari. Nella realtà, ovviamente, i problemi degli astronauti sono di tutt’altra natura, ma non per questo necessariamente meno gravi.

Il corpo umano d’altronde si è evoluto per sopravvivere all’interno dell’atmosfera e del campo gravitazionale terrestre. Osteoporosi, esposizione alle radiazioni solari, disfunzioni del sistema immunitario, sono solo alcune delle conseguenze a cui l’essere umano va incontro quando viaggia nello spazio, al di fuori del suo ambiente naturale. Se mai vorremo compiere lunghi viaggi interplanetari, come ad esempio quello verso Marte, gli scienziati dovranno prima trovare la soluzione a tutti questi problemi. Come fa notare Wired.com.

Nausea spaziale – Come marinai che si abituano al rollare delle onde, gli astronauti hanno bisogno di tempo per abituarsi all’assenza di gravità. Spesso questo porta effetti spiacevoli come: nausea, illusioni visive e disorientamento. La sindrome da adattamento allo Spazio (Sas), colpisce circa metà dei soggetti che si trovano a viaggiare nello spazio, con livelli diversi di gravità. I sintomi sono classificati scherzosamente sulla scala Garn, così chiamata in onore di Jake Garn, astronauta che nel 1985, durante un viaggio sullo space shuttle, sembra abbia patito il caso più grave di nausea spaziale nella storia della Nasa.

Il malessere dura di solito solo per qualche giorno, ma può comunque risultare pericoloso. Per esempio gli astronauti sono obbligati a prendere antiemetici prima di indossare le tute spaziali per missioni all’esterno della nave, perché il vomito all’interno della tuta, in assenza di gravità, rappresenterebbe un rischio molto concreto di rimanere strozzati. Oggi che diverse aziende private promettono di farsperimentare l’assenza di peso durante i viaggi turistici nello spazio, l’effetto della Sas potrebbe diventare una realtà concreta nella vita di un numero crescente di persone. Dopotutto, chi vorrebbe andarsene in giro in una elegante cabina della Virgin Galactic, piena di passeggeri e del loro vomito fluttuante?

I piedi che si spellano e altre situazioni imbarazzanti – Anche quando un astronauta inizia ad abituarsi alla vita nello Spazio, il suo corpo continua a subire diversi strani cambiamenti. L’assenza di peso fa sì che i fluidi all’interno del corpo si muovano più liberamente, concentrandosi in particolare nel busto e nella testa. Questo conferisce alla faccia degli astronauti un aspetto gonfio, che oltre a risultare buffo può causare irritazioni delle mucose e naso chiuso.

Anche la postura si modifica, e un po’ alla volta tutti si trovano a passare il tempo in una strana posizione ingobbita, simile alla posizione fetale. Ma quello che è sicuramente l’effetto più strano della permanenza nello Spazio avviene solitamente a metà missione, quando la pianta dei piedi dell’astronauta si spella come durante la muta di un rettile. Questo avviene perché i calli sotto la pianta del piedi risultano inutili dopo mesi in cui ci si aggira fluttuando, senza poggiare i piedi in terra, e conclusa la loro utilità cadono, lasciando Spazio alla pelle sottostante, giovane e rosea.

Ultimo imbarazzante problema: l’assenza di peso causa un rilassamento progressivo dei muscoli addominali che provoca il rilascio di un gran numero di quelle che vengono definite flatulenze dell’astronauta.

Microbi nello Spazio – I microbi, che sulla Terra si trovano in ogni crepa e fessura, apparentemente sono riusciti a colonizzare anche lo Spazio. Un test eseguito sulla stazione spaziale russa Mir ha scoperto, per esempio, la presenza di 234 specie di batteri e funghi microscopici che vivevano a bordo con gli astronauti. Molti dei batteri erano probabilmente innocui, se non benefici, ma può sempre esserci qualche mela marcia. E infatti il personale della Stazione in servizio tra il 1995 e il ’98 ha riportato un numero significativo di infezioni microbiche, come congiuntiviti, difficoltà respiratorie acute e infezioni dentali.

Test medici hanno dimostrato anche che gli antibiotici sono meno efficaci nello Spazio, e vanno presi in concentrazioni maggiori perché abbiano effetto. Ma più inquietante ancora è stata probabilmente la scoperta che il batterio della salmonella diviene ancora più virulento vivendo in assenza di gravità.

Una missione spaziale di lunga durata, come un viaggio verso Marte, può soltanto aumentare le probabilità che malattie infettive pericolose possano svilupparsi e infettare l’equipaggio. A peggiorare il quadro vi è il fatto che i viaggi spaziali compromettono il sistema immunitario degli astronauti, rendendoli più sensibili agli effetti dei microbi. I ricercatori sperano che gli antiossidanti si rivelino efficaci per contrastare alcuni di questi effetti pericolosi.

Perdita di massa ossea e muscolare – Probabilmente l’effetto più noto dell’assenza di gravità è il progressivo deterioramento dei muscoli e delle ossa. Un astronauta perde in media dall’uno al due per cento della sua massa ossea per ogni mese che trascorre nello Spazio, e anche la massa muscolare svanisce, al ritmo molto più sostenuto del cinque percento a settimana. Non è dunque un caso che la Nasa consideri questo problema uno dei pericoli principali per i voli spaziali di lunga durata.

L’effetto è comunque molto soggettivo. Se alcuni astronauti hanno perso anche il 20 percento della loro massa ossea in 6 mesi, dovendo poi essere trasportati in barella al loro rientro sulla Terra, altri sono più fortunati. Il russo Valery Polyakov, attuale detentore del record di permanenza nello Spazio, riuscì a camminare dalla sua capsula fino ad una sedia al ritorno da un viaggio di 438 giorni nello Spazio.

Al momento un diligente esercizio fisico rimane la miglior terapia a disposizione degli astronauti per mantenersi in forze durante i viaggi spaziali. Sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) gli astronauti si legano a un tapis roulant progettato per minimizzare le vibrazioni, che potrebbero rovinare i sensibilissimi esperimenti a microgravità che vengono svolti sull’Iss: il Combined Operational Load Bearing External Resistance Treadmill, o più confidenzialmente Colbert. Il nome viene dal comico Stephen Colbert, che riuscì a piazzare il suo nome al primo posto in un concorso per battezzare un nuovo ambiente della stazione spaziale, facendosi votare in massa dai suoi fan.

Dopo una contrattazione con la Nasa, e la minaccia che avrebbero dato il suo nome al gabinetto spaziale della stazione, dovette accontentarsi di dare il suo nome al tapis roulant degli astronauti.

Cecità spaziale – Forse un giorno un equipaggio intrepido riuscirà a superare il lungo viaggio di otto mesi per Marte, per scoprire solo una volta in orbita che nessuno, pilota incluso, è più in grado di vedere i comandi della nave. La colpa allora sarebbe di quella che in mancanza di un termine migliore possiamo definire cecità spaziale, cioè la graduale perdita della vista sperimentata da moltissimi astronauti durante le missioni in assenza di gravità.

L’effetto sembra essere proporzionale alla quantità di tempo trascorso nello Spazio: circa il 30 percento degli astronauti impegnati in missioni brevi ha riferito di avere subito un calo della vista, mentre la percentuale raddoppia nel caso di astronauti impegnati in missioni di lunga durata.

La cecità spaziale è una sindrome venuta alla luce solo di recente, per colpa della reticenza delle precedenti generazioni di astronauti, spaventati dall’idea di poter essere considerati non più idonei per le missioni spaziali per via del calo della vista.

Gli scienziati non sono ancora riusciti a comprendere cosa causi questi sintomi, ma hanno suggerito che potrebbero essere collegati a un aumento della pressione dei fluidi all’interno del cranio, che andando a premere sul nervo ottico provocherebbero una sindrome conosciuta come papilledema, disturbo può portare anche alla perdita completa della vista. Sebbene parlare di cecità sia forse esagerato, anche un semplice calo della vista potrebbe essere un problema serio per gli astronauti, soprattutto in missioni di una certa durata.

Tempeste solari e radiazioni – Circa tre mesi dopo il ritorno dell’Apollo 16 dalla Luna, un’enorme esplosione sconvolse la superficie solare, lanciando terribili radiazioni e miliardi di particelle cariche in direzione della Terra. In quel caso fu solo la fortuna a evitare che la tempesta solare, una delle più grandi e pericolose dell’era spaziale, colpisse l’Apollo 16 o l’Apollo 17, che sarebbe stato lanciato solo quattro mesi dopo.

Le tempeste solari e le radiazioni che queste generano sono uno dei più grandi ostacoli per i viaggi spaziali di lungo periodo. Se durante la super tempesta del ’72 gli astronauti si fossero trovati al di fuori del campo magnetico terrestre, sarebbero quasi sicuramente rimasti uccisi dalle radiazioni.

La Nasa è quindi tenuta per legge a proteggere i suoi equipaggi da eventi del genere, nonché dagli effetti a lungo termine delle radiazioni con cui vengono in contatto nello Spazio. Infatti, anche l’esposizione cumulativa alle radiazioni che si ha nello Spazio è un rischio concreto per la salute, poiché aumenta sensibilmente le probabilità di sviluppare tumori. Le linee guida della NASA stimano che per rimanere al di sotto di una percentuale di rischio del tre percento, un uomo dovrebbe passare al massimo 268 giorni nello Spazio, e una donna 159. Una missione per Marte impiegherebbe invece 520 giorni tra andata e ritorno, troppi perché oggi si possa tentare senza correre un serio pericolo.

Polvere tossica – La maggior parte dei rischi dei viaggi spaziali deriva dall’assenza di gravità, ma neppure quando riescono a raggiungere la relativa sicurezza offerta da pianeti e satelliti gli astronauti possono ritenersi al sicuro. Infatti anche questi portano con loro tutta una serie di pericoli strani e potenzialmente letali, derivanti principalmente dalla polvere.

La superficie lunare, per esempio, è completamente ricoperta di regolith, particelle di polvere microscopiche generate dalle eruzioni vulcaniche e dall’impatto dei meteoriti, che hanno la spiacevole tendenza ad appiccicarsi a qualunque superficie. Durante la loro permanenza sul satellite, gli astronauti dell’Apollo si trovarono ben presto sommersi da questa polvere lunare, che può irritare gli occhi, la pelle, o peggio ancora, se respirata, può creare un disturbo molto serio chiamato silicosi.

Nonostante i rischi della polvere lunare, quella marziana potrebbe dimostrarsi ancora più pericolosa. Il Pianeta Rosso è così chiamato perché è ricoperto da una sottile polvere di ossido di ferro, che alcuni ricercatori ritengono sia in grado di corrodere i composti organici come la plastica e la gomma, e di produrre bruciature sulla pelle umana. Gli astronauti che in futuro si troveranno a viaggiare verso queste due destinazioni dovranno quindi prendere serie precauzioni per sigillare a dovere le loro basi.

La psicologia nello Spazio – Viaggiare verso una stazione spaziale su una specie di petardo gigante, sottoposto ad accelerazioni e decelerazioni estreme. Oppure vivere in condizioni disagevoli, confinato e isolato da familiari e amici: sono alcune delle esperienze stressanti che possono diventare veri e propri traumi psicologici per gli astronauti.

Una lista dei sintomi psicologici sperimentati dagli astronauti russi e statunitensi durante le missioni spaziali comprende: affaticamento, letargia, paura di avere l’appendicite, dolori ai denti comparsi dopo avere sognato di avere dolore ai denti, paura di diventare impotenti.

Ad esempio, in passato il comando missione dello Skylab imponeva ritmi di lavoro massacranti all’equipaggio, spesso accorciando le pause pranzo e proibendo agli astronauti di dedicarsi alla loro attività preferita: guardare la Terra e lo Spazio dai finestrini della stazione. Stremato da questo trattamento inumano, nel dicembre del 1973 l’equipaggio dello Skylab scioperò, arrivando ad atteggiamenti di aperta ostilità e minaccia nei confronti dei loro superiori.

Per fortuna esistono anche effetti psicologici positivi dei viaggi spaziali. Durante la loro permanenza nello Spazio, molti astronauti hanno infatti sperimentato quello che Frank White ha definito effetto visione totale. L’effetto è un senso di meraviglia e soggezione nei confronti dell’Universo, che porta a sperimentare epifanie spirituali come un sentimento di unità con la natura, di trascendenza, e di fratellanza universale.

Lo Spazio dunque regala anche esperienze incredibili, e gli psicologi della Nasa stanno cercando di sfruttarle per scopi terapeutici. Ad esempio fare foto della Terra dalla Stazione Spaziale Internazionale potrebbe avere degli effetti benefici sulla mente degli astronauti.

Fonte: Galileo, Giornale di Scienza 27/08/2012 (www.galileonet.it)

Se le foglie sono morte…, Paola

30 martedì Ott 2018

Posted by Paola in Coscienza, Paola, Percezione, Società, Stati altri di coscienza

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Se le foglie sono morte… , Paola (nota al gruppo di pratica)

Cominciano a cadere le foglie e il colore dell’autunno si fa più presente. Tra breve si aprirà quel passaggio tra i mondi che noi celebriamo come le feste di Ognisanti e Commemorazione dei Defunti. Non intendo qui ricollegare le nostre celebrazioni alla festa di Halloween o di Samhain delle antiche popolazioni irlandesi, che celebravano tra il 31 ottobre e il 1° novembre la fine del vecchio e l’inizio del nuovo anno del loro calendario. Tuttavia, in questi giorni si è consapevoli di un’apertura tra il mondo dei “vivi” e quello dei “morti”.

Per quanto mi riguarda, ciascuno di noi apre questo portale con il ricordo di coloro che ci hanno preceduto, ci hanno dato origine e di cui esprimiamo tratti fisici o caratteriali. Molti di noi conoscono le Costellazioni Familiari e hanno avuto esperienza della concretezza di come le energie dei membri della famiglia anche trapassati possono continuare a manifestarsi e interagire nel mondo dei “viventi” tramite noi, spesso inconsapevoli. Sia che si voglia considerare queste manifestazioni come ereditarietà genetica, residui energetici di nostri avi, parti neglette di noi stessi, espressioni di nostre precedenti incarnazioni o, anche, provenienti da vite parallele, questi giorni sono il momento migliore per venire a patti con esse.

Chi ha familiarità con la sua cosmologia interiore può interagire con esse attraverso i vari metodi che alcune tradizioni hanno conservato; coloro che invece non hanno tale dimestichezza, possono operare una guarigione altrettanto profonda con un atto di riconoscimento e di considerazione per i membri della propria famiglia sia viventi che trapassati; soprattutto quelli meno nominati, meno amati o di cui sfugge più facilmente la storia o il ricordo. Infatti, può capitare che siano delle ereditarietà di questi parenti “trascurati” quelle che si celano negli aspetti di noi che tendiamo a non voler mettere in discussione o a compensare. Parafrasando Bert Hellinger, ciò che si tace o che non viene rivelato esercita maggiore influenza di quel che è espresso; e, citando James Mahu: “La dimensione è sempre modellata dalla non-dimensione”.

La visita ai cimiteri è anche occasione d’incontro tra vivi che a volte non si frequentano, e questo – nonostante la brevità del momento – può favorire una guarigione per il solo fatto di essersi “riconosciuti”. Infatti, il ritrovarsi tra parenti e amici (vivi e morti, insieme) può essere occasione di una guarigione grazie a quel momento di pacificazione all’interno dell’“anima familiare”, quell’entità energetica che accoglie e accomuna tutti i più disparati moti dei singoli membri di una stessa famiglia di sangue.

Vorrei invitare – durante il prossimo periodo – a cogliere ogni segnale che l’anima familiare possa inviare, e a vivificare il rituale della visita ai cimiteri per renderlo significativo e proficuo di generosi cambiamenti.

Poichè, anche se a terra le foglie sono morte, l’albero è sempre vivo. —


Aricolo correlato: Nel mondo eterno, tempo e spazio sono diversi?, John O’Donohue

Come e dove nasce l’immaginazione umana, da Le Scienze.it

04 giovedì Ott 2018

Posted by Paola in Percezione, Società, Stati altri di coscienza

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Come e dove nasce l’immaginazione umana – da Le Scienze.it (2013)

Identificata per la prima volta la rete diffusa di collegamenti neurali che entra in funzione quando manipoliamo immagini mentali. Comprendendo i meccanismi di questa attività immaginativa, su cui si basa la creatività umana, i ricercatori sperano un giorno di ricreare gli stessi processi creativi nelle macchine.

Per la prima volta un gruppo di ricercatori ha identificato dove e come si sviluppa nel cervello l’immaginazione, lo strumento mentale che permette all’uomo di inventare macchine, creare opere d’arte e, più in generale, avere un’eccezionale flessibilità di comportamenti. Come è illustrato in un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”, si tratta di una rete neurale diffusa su più aree cerebrali, un sottoinsieme delle quali contiene informazioni specifiche relative a particolari e differenti tipi di manipolazioni mentali.

Gli studi neuroscientifici degli ultimi anni si sono concentrati sulle rappresentazioni mentali statiche più che sulle operazioni mentali che le riguardano. Si è così domostrato, per esempio, che il contenuto della percezione visiva, le immagini visive (sogni inclusi) possono essere “decodificate” sulla base dell’attività nella corteccia visiva.

Questi risultati hanno suggerito che le stesse regioni che mediano le rappresentazioni a livello di percezione sensoriale siano coinvolte nei processi di immaginazione che prendono spunto da esse, ma non era ancora chiaro come facesse la mente a manipolare queste rappresentazioni: per esempio, a ottenere l’immagine di un calabrone con la testa di un toro a partire dall’immagine preesistente dei due animali.

Undici aree cerebrali mostrano specifici modelli di attivazione in funzione dei compiti mentali eseguiti. (Cortesia Alex Schlegel)

In questo nuovo studio è stato chiesto a 15 volontari di eseguire quattro differenti tipi di compiti mentali, come immaginare forme visive astratte per poi combinarle mentalmente in nuove figure più complesse o, al contrario, smontare mentalmente un’immagine nelle sue singole parti. L’attività cerebrale dei partecipanti durante i test era analizzata con la risonanza magnetica funzionale.

L’analisi dei risultati ha rivelato l’esistenza di una rete corticale e sottocorticale distribuita su gran parte del cervello responsabile delle manipolazioni immaginate. Inoltre, sulla base del confronto fra i modelli di attivazione delle diverse aree nei differenti tipi di compiti, i ricercatori hanno ottenuto una conferma dell’ipotesi che alcune regioni contengono informazioni relative a specifiche operazioni mentali e che questi modelli sono in grado di evolvere nel tempo, in parallelo con la manipolazione delle rappresentazioni mentali.

“I nostri risultati ci permettono di capire meglio ciò che ci distingue dalle altre specie nell’organizzazione del cervello” dice Alex Schlegel del Dartmouth College a Hanover, e primo firmatario dell’articolo. “La comprensione di queste differenze potrà chiarire da dove viene la creatività umana e forse ci permetterà di ricreare quegli stessi processi creativi nelle macchine.”

Fonte: Le Scienza (18/09/2013)

Allegro ma non troppo, C. M. Cipolla (Libro)

06 lunedì Ago 2018

Posted by Paola in Libri, Personaggi, Società

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Allegro ma non troppo – Le leggi fondamentali della stupidità umana, Carlo M. Cipolla – Ed. Il Mulino, 1988

Dall’introduzione

La vita è una cosa seria, molto spesso tragica, qualche volta comica. I Greci dell’età classica avvertivano profondamente e coltivavano il senso tragico della vita. I Romani, in genere più pratici, non ne facevano una tragedia ma considervano la vita una cosa seria: di conseguenza, tra le qualità umane apprezzavano in modo particolare la gravitas e tenevano in poco conto la levitas.

Cosa sia il tragico non è difficile nè da capire nè da definire, e se a un Tizio gira per la testa di apparire come una figura tragica non gli è difficile riuscirvi anche se Madre Natura non ha già provveduto alla bisogna. La serietà è pure una qualità relativamente facile da capire, da definire e per certi versi da praticare. Quel che è difficile da definire e che non a tutti è dato percepire e apprezzare è il comico. E l’umorismo che consiste nella capacità di intendere, apprezzare ed esprimere il comico è una dote piuttosto rara tra gli esseri umani.

Intendiamoci: l’umorismo grossolano, facilone, volgare, prefabbricato (=barzelletta) è alla portata di molti, ma non è il vero umorismo. È un travestimento dell’umorismo. Il termine umorismo deriva dal termine “umore” e si riferisce a una sottile e felice disposizione mentale di equilibrio psicologico e di benessere fisiologico. Schiere di scrittori, filosofi, epistemologi, linguisti hanno ripetutamente tentato di definire e spiegare l’umorismo. Ma dare una definizione dell’umorismo è cosa difficile per non dire impossibile. Tanto è vero che se una battuta umoristica non è percepita come tale dall’interlocutore è praticamente inutile, se non addiritttura controproducente, cercare di spiegargliela.

Chiaramente l’umorismo è la capacità intelligente e sottile di rilevare e rappresentare l’aspetto comico della realtà. Ma è anche molto di più. Anzitutto, come scrissero Devoto e Oli, l’umorismo non deve implicare una posizione ostile bensì una profonda e spesso indulgente simpatia umana. Inoltre l’umorismo implica la percezione istintiva del momento e del luogo in cui può essere espresso. Fare dell’umorismo sulla precarietà della vita umana al capezzale di un moribondo non è umorismo. D’altra parte quando quel gentiluomo francese che saliva i gradini che lo portavano alla ghigliottina, avendo inciampato in uno dei gradini, rivolgendosi alle guardie esclamò: “dicono che inciampare porti sfortuna”, quel gentiluomo meritava certamente che la sua testa venisse risparmiata.

L’umorismo è così intimamente legato alla scelta accurata e specifica dell’espressione verbale in cui viene prodotto che difficilmente si riesce a tradurlo da una lingua a un’altra. Il che anche significa che è così permeato dei caratteri della cultura in cui viene prodotto che riesce sovente del tutto incomprensibile quando travasato in un ambiente culturale diverso.

L’umorismo va distinto dall’ironia. Quando si fa dell’ironia si ride degli altri. Quando si fa dell’umorismo si ride con gli altri. L’ironia ingenera tensioni e conflitti. L’umorismo quando usato nella misura giusta e nel momento giusto (e se non è usato nella misura giusta e nel momento giusto non è umorismo) è il solvente per eccellenza per sgonfiare tensioni, risolvere situazioni altrimenti penose, facilitare rapporti e relazioni umane.

È mia profonda convinzione, quindi, che ogniqualvolta si presenti l’occasione di praticare dell’umorismo, sia un dovere sociale far sì che tale occasione non vada perduta. Da questa banale considerazione nacquero i due saggi che seguono. Furono originariamente pubblicati anni addietro (rispettivamente nel 1973 e nel 1976) in lingua inglese e in edizione ristretta riservata per i soli amici. I due saggi ebbero però un insperato successo e mentre talune persone cercarono di procurarsene copia tramite amici o conoscenti, altri più intraprendenti ne fecero copie xero-grafiche o addirittura manoscritte che circolarono più o meno clandestinamente. Il fenomeno assunse proporzioni tali che l’editrice il Mulino e il sottoscritto finalmente decisero di procedere a una edizione ufficiale e pubblica che qui si presenta non priva di sostanziali revisioni rispetto alla prima edizione semi-clandestina.

Nell’occasione di questa edizione ufficiale sento il dovere di fare due precisazioni. Nel saggio sul pepe, il lettore non farà fatica a cogliere qualche puntata ironica. Ma spero mi si conceda che si tratta di ironia bonaria e paciosa, tale da non distanziarsi molto – almeno così mi auguro – dall’umorismo.

Quanto al saggio sulla stupidità umana non è nè più nè meno che quella che gli eruditi settecenteschi avrebbero chiamata “una spiritosa invenzione”. Di fatto il saggio non ha alcuna attinenza con la mia vita personale. Peccherei gravemente di ingratitudine contro i fati che sino a ora hanno presieduto al corso della mia vita se non confessassi di essere stato, nei miei rapporti umani, un essere straordinariamente fortunato nel senso che la stragrande maggioranza delle persone con cui venni in contatto furono di regola persone generose, buone e intelligenti. Spero che leggendo questo pagine non si convincano che lo stupido sono io.—

Carlo M. Cipolla – (1922-2000) è stato uno storico italiano specializzato in storia economica. Ha insegnato in Italia e negli Stati Uniti. Nelle pubblicazioni viene abitualmente nominato come Carlo M. Cipolla a seguito dell’invenzione, da parte sua, di un inesistente secondo nome, che viene solitamente interpretato, in maniera erronea, come Maria. [Wikipedia]

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