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(…) La visione propugnata da Margulis si poneva in netto contrasto con questa narrazione. La vita si basa sulla cooperazione, scriveva la biologa, piuttosto che sulla competizione: dallo sviluppo individuale (ontogenesi) fino ai fenomeni macroevolutivi come la speciazione, tutto dipende in primo luogo da una pacifica collaborazione tra viventi, che si realizza spesso sotto forma di unioni simbiotiche.
Tale proposta, sebbene scientificamente solida e molto esplicativa, era inaccettabile per la teoria dominante: un suo riconoscimento, anche solo parziale, avrebbe messo in discussione troppi dei suoi capisaldi. Ma uno dei meriti di Margulis, dotata di grande caparbietà e conscia della validità delle proprie ipotesi, fu proprio questo: aprire una crepa nel muro di certezze su cui poggiava l’evoluzionismo “gene-centrico” novecentesco, creare le condizioni per l’avvio di un dibattito sui fondamenti teorici di questo campo della ricerca scientifica.
In tal modo, insomma, veniva per la prima volta messa in dubbio l’effettiva oggettività della descrizione del mondo naturale costruita, a partire dal nucleo esplicativo darwiniano, dalla Sintesi Moderna della biologia evoluzionistica. Una volta riconosciuto che processi quali la competizione, l’individualismo, la lotta hanno un’importanza tutto sommato secondaria in natura rispetto a processi come la cooperazione multilivello e la simbiosi, diviene infatti evidente come quella narrazione sia figlia di una specifica Weltanschaaung, la stessa che ha portato, quasi parallelamente, all’emersione del capitalismo. L’operazione teorica di Margulis e dei (pochi) studiosi che, in quegli anni, iniziavano a mettere in discussione gli assunti principali della Sintesi Moderna consisteva, perciò, anche nell’allontanamento (seppur parziale) da uno dei punti nodali della visione darwiniana: la descrizione della natura incentrata sul principio di selezione naturale, il quale agisce in risposta alle necessità che emergono da un preciso contesto ecologico – quello della lotta per l’esistenza (struggle for existence) – e che il naturalista inglese aveva elaborato a partire dalle analisi malthusiane sul contrasto tra gli alti tassi di fecondità delle popolazioni naturali e l’insuperabile scarsità delle risorse disponibili.
Processi quali la competizione, l’individualismo, la lotta hanno un’importanza tutto sommato secondaria in natura rispetto a processi come la cooperazione multilivello e la simbiosi.
Proprio grazie all’avanguardistico lavoro di Margulis e degli scienziati che, nei decenni successivi, seguirono la sua suggestione di un altro modo di intendere il mondo naturale, la comprensione della fitta rete di relazioni collaborative che permea il mondo vivente ha compiuto nel tempo grandi progressi, rivelando che, proprio come ipotizzato dalla biologa statunitense, la cooperazione è un motore evolutivo fondamentale e operante ad ogni livello.
Oggi sono sempre più numerosi i ricercatori che abbracciano questa prospettiva, riconoscendo alla cooperazione un ruolo di primo piano nella storia della vita sulla Terra. I meccanismi collaborativi che muovono la vita sono indagati sempre più a fondo e, a poco a poco, emerge con chiarezza quanto la visione unicamente focalizzata su geni, selezione naturale e competizione fosse ristretta e parziale. Questo non significa – come sottolineano in un meraviglioso manuale Scott Gilbert e David Epel, due dei più importanti studiosi di una nuova branca dell’evoluzione, l’ecologia dello sviluppo o eco-evo-devo – che concetti come la competizione e la selezione naturale non siano più validi, o che debbano essere abbandonati. Essi mantengono, senz’altro, tutta la loro rilevanza teorica e pratica, ma devono essere inseriti all’interno di un più ampio quadro di fenomeni e processi che caratterizza il mondo dei viventi nella sua pluralità. (segue)
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