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Alchemical divination, R. Metzner (estratto dal libro)

04 giovedì Apr 2019

Posted by Paola in Libri, Percezione, Personaggi, Ralph Metzner, Realtà Parallele, Stati altri di coscienza

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Alchemical Divination, Ralph Metzner – Green Earth Foundation (Estratto, Libro)

Estratto dal Capitolo 1 – Sciamanesimo, Yoga e Alchimia (traduzione: Paola)

Fin dai tempi più remoti, gli esseri umani hanno praticato discipline di guarigione psico-spirituale e fisica con dedizione e intenzione. Di tre grandi tradizioni di pratiche di trasformazione che sono apparse sulla Terra, lo sciamanesimo è decisamente la più antica, in quanto risale al Paleolitico e si è preservata in alcune culture indigene del mondo fino ad oggi. Lo Yoga e l’Alchimia possono essere visti come il prolungamento o lo sviluppo, rispettivamente per il mondo orientale e per quello occidentale, dello sciamanesimo, avendo avuto origine nella cultura dei villaggi neolitici e nelle città stato dell’Età del Bronzo. In tutte e tre queste tradizioni, alcuni praticanti si focalizzarono maggiormente sulla guarigione fisica, altri sulla soluzione di problemi e per ottenere guida nella propria vita, e altri ancora nella ricerca della conoscenza, dell’illuminazione e della liberazione a livello spirituale. Molti dei nostri moderni sistemi nell’ambito della medicina, della psicoterapia, della guarigione complementare e delle pratiche spirituali, sono gli eredi di uno o l’altro filamento di queste tradizioni.

Le pratiche divinatorie, di cui ci occupiamo in questo libro, si trovano in tutte e tre queste tradizioni. Generalmente intesa come il processo di ottenere profonde conoscenze intuitive, divinazione significa letteralmente “ottenere conoscenza dal mondo divino”, cui ci si riferisce anche come “mondo interiore” o “reami superiori”. Nella sua essenza, prevede un’indagine strutturata per domande relative al passato, per la guarigione e la soluzione di problemi; o relative al futuro, per avere una visione oppure ottenere guida e indicazioni. Nella medicina, questi due tipi di divinazione corrispondono alla diagnosi, dove si definisce la causa originaria di una malattia o ferita, e la prognosi, il suo probabile decorso nel futuro.

Il famoso storico delle religioni Mircea Eliade, che ha scritto autorevoli saggi su ciascuna di queste tre tradizioni di trasformazione, parla dello sciamanesimo come di arcaiche tecniche di estasi.  La parola “estasi” deriva dal greco “ex-stasis” e significa “essere fuori”, fuori dalla struttura percettiva della realtà ordinaria, ossia essere in uno stato alterato di coscienza. L’antropologo Michael Harner, che per primo ha reintrodotto lo sciamanesimo nella cultura occidentale contemporanea, afferma che lo sciamanesimo implica essenzialmente ciò che egli chiama “lo stato di coscienza sciamanico”, con il quale si entra in una “realtà non-ordinaria” assai differente dalla realtà ordinaria della vita quotidiana.

Nelle culture indigene, la metafora dell’entrare in uno stato alterato di coscienza è il viaggio sciamanico: come il viaggio ordinario, lo stato sciamanico ha un inizio, un periodo di tempo in cui si ha varie esperienze nei mondi non-ordinari e una fine, il ritorno alla vita ordinaria e alla coscienza ordinaria. Lo/la sciamano/a entra nel viaggio sciamanico con uno scopo, che può essere una guarigione, una divinazione diagnostica, o per collegarsi con vari spiriti, per esempio gli antenati defunti, gli spiriti del luogo o esseri trascendenti. Lui/lei entrano nel viaggio per se stessi, o per la persona, la famiglia o la comunità che ne cerca l’aiuto.

Nel mondo si sono scoperte due principali tecnologie per entrare nello stato del viaggio sciamanico: il suono ritmico del tamburo o del sonaglio e le piante psicoattive o funghi. Entrambi questi metodi possono indurre determinati cambiamenti nel funzionamento del cervello che definiscono il substrato neuro-psicologico del viaggio divinatorio. Il tambureggiamento appare diffuso nell’emisfero nord delle aree dell’Asia, dell’Europa e del Nord America. Le piante psicoattive e i funghi si ritrovano maggiormente alle latitudini tropicali, in particolare nell’America Centrale e Meridionale, come pure in Africa – e ciò è dovuto, presumibilmente, alla maggior varietà di piante e vita animale propria dei tropici.

Nei primi anni del ventesimo secolo, gli psicologi e gli psichiatri che leggevano i resoconti degli antropologi sugli sciamani, tendevano a denigrarli come “medici stregoni” e spacciatori di superstiziose credenze tribali. Il viaggio sciamanico divinatorio era considerato una pratica fraudolenta o schizofrenica che non si sa come aveva acquisito di credibilità nella tribù locale. Sotto l’influenza della cultura relativistica degli studi antropologici e dell’opera di studiosi come Margaret Meade, Ruth Benedict come pure di Eliade, Harner e altri, questo modo di vedere ha lasciato il passo al riconoscimento che gli sciamani e le loro culture vivono in una visione del mondo totalmente differente, con dei presupposti diversi sulla natura della realtà.

Le due principali differenze tra la visione del mondo dei popoli di cultura sciamanica e quella moderna del materialismo scientifico sono: 1) il concetto di mondi multipli, o multipli livelli di realtà; e 2) il riconoscimento della realtà degli spiriti come esseri autonomi presenti nei vari mondi (e non esseri di pura fantasia o simboli). La visione del mondo dietro lo sciamanesimo, come pure per l’alchimia e lo yoga, è conosciuta come animismo o panpsichismo – cioè la credenza che tutte le forme della natura, sia organiche (es., piante, animali e funghi) che inorganiche (es., pietre, fiumi, montagne, venti), sia terrestri (di questo pianeta Terra) che cosmiche (altri pianeti, stelle, galassie e universo) sono intrise di energia psichica o spirituale e di coscienza.

Parlando dal punto di vista psicologico, proprio della visione scientifica del mondo occidentale, si potrebbe dire che i concetti di “altri mondi” si riferiscono a livelli o ambiti di coscienza che giacciono al di fuori dei confini della nostra solita percezione ordinaria. La psicologia del profondo che derivano dalla psicoanalisi fanno riferimento a questi ambiti normalmente inaccessibili come all’“inconscio”, o all’“inconscio collettivo”. Tuttavia, questa sarebbe una definizione troppo limitativa per lo sciamanesimo, se ci si riferisce all’“inconscio” come a qualcosa di interno all’individuo, di qualcosa che, per esempio, fa parte della psiche umana. Le pratiche sciamaniche comportano l’esplorazione non solo degli aspetti non conosciuti della nostra psiche, ma anche degli aspetti non conosciuti del mondo intorno a noi – i misteri interiori come quelli esterni.

In modo simile, gli psicologi dicono tutti i riferimenti agli “spiriti” sono in realtà delle espressioni simboliche per gli aspetti della psiche umana inconscia; e, nel caso della psicologia di Jung, sono simboli archetipici dell’inconscio collettivo. Io, tuttavia, concordo con quegli studiosi e scienziati che mettono in discussione tale visione affermando che i paradigmi occidentali della realtà dovrebbero essere rivisti e ampliati per includere il riconoscimento della realtà degli spiriti, non già come costruzioni simboliche della mente umana, ma come esseri viventi intelligenti e autonomi, con i quali è possibile comunicare e con i quali è possibile co-esistere e interagire in una realtà dai molteplici mondi. Le pratiche di divinazione alchemica poggiano su tale visione ampliata, in cui gli esseri umani sono spiriti rivestiti con forma umana che interagiscono con molteplici classi di spiriti che a loro volta rivestono diverse forme in questo e altri mondi.

Le pratiche sciamaniche di guarigione che prevedono l’ingestione di piante medicinali o allucinogene oppure funghi, includono sempre una connessione consapevole con gli spiriti di quelle piante o funghi. Questo tipo di duplice prospettiva, che riconosce la dimensione spirituale quanto quella materiale si trova anche nell’omeopatia e nella medicina erboristica tradizionale di molte culture. Quando fanno il viaggio sciamanico viaggiando in altri reami, gli sciamani invocano anche lo spirito di una specie animale, come l’Orso o l’Aquila, con il quale hanno stretto un’alleanza o una relazione di cooperazione. Inoltre, gli sciamani possono lavorare con cristalli e altre forme materiali terrestri, come anche con gli spiriti elementali dell’aria (vento), dell’acqua (come i fiumi e la pioggia) e il fuoco.

Un’importante e vasta classe di spiriti con cui gli sciamani comunicano e collaborano, sono gli spiriti degli antenati defunti – membri della famiglia che sono passati sull’altro lato, nei mondi dello spirito, avendo così accesso a una conoscenza più particolareggiata di questi mondi di quella che noi abbiamo di solito. Poi ci sono i grandi spiriti ancestrali di guida e insegnamento di intere tribù e popolazioni, tradizionalmente noti come “dei” o “divinità”, che giocano un ruolo significativo in molte mitologie del mondo.

Infine, la Terra stessa nella sua totalità viene vista dalle culture tradizionali come impregnata di un essere spirituale intelligente, una dea nota nell’antica Grecia come Gaia, o come Madre Terra tra le tribù indiane del Nord America. La teoria di Gaia di Lovelock e Margulis è il punto di vista della scienza moderna che per molti versi è parallela e convergente con le concezioni delle antiche popolazioni indigene – dove la Terra è vista come un sistema vivente che si auto-mantiene e auto-organizza. E come sappiamo, le genti antiche e le culture indigene riconoscevano non solo la Terra ma anche il Sole, la Luna e gli altri pianeti come i corpi di divinità cosmiche – e i pianeti tuttora mantengono i nomi che i Greci e i Latini avevano dato a queste divinità.—

Ralph Metzner – (1936-2019) è stato uno psicologo statunitense. Nato in Germania, successivamente si trasferisce negli USA, dove ad inizio anni ’60 partecipa alle basilari ricerche sulle sostanze psichedeliche alla Havard University con i colleghi Timothy Leary e Richard Alpert (quest’ultimo noto anche come Baba Ram Dass). È stato psicoterapista e professore emerito al California Institute of Integral Studies di San Francisco, e in queste vesti ha approfondito le sue ricerche sulla psichedelia, sullo yoga, sulla meditazione. [da Wikipedia]

Il canale di comunicazione, Paola

31 domenica Mar 2019

Posted by Paola in Estendere i confini, Linguaggio, Paola, Percezione, Realtà Parallele, Stati altri di coscienza

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Il canale di comunicazione, Paola (2005)

“Ho sentito dire che c’è una finestra
che si apre da una mente sull’altra,
ma quando non c’è parete
non c’è alcun bisogno
d’inserirvi una finestra o un chiavistello.”

Rumi

– – – – – – – – – – – – – –

La diffusione e la popolarità di messaggi canalizzati sta portando alla ribalta una potenzialità dell’uomo che spesso viene negata o relegata in ambiti più ristretti e controllati.

Molti considerano il channelling (canalizzazione) equiparabile alla medianità e il canalizzatore (canale o channel) al medium. Negli ultimi anni i due termini hanno assunto una sfumatura diversa, intendendo il medium la persona che si offre come mezzo di trasmissione perdendo totalmente o per buona parte coscienza di sé, mentre il canale o canalizzatore riceve e trasmette rimanendo cosciente. A causa della differenza tra questi due stati di coscienza, il medium – andando in trance – dà l’idea di non interferire con la trasmissione, mentre il canalizzatore si assume la responsabilità della traduzione, ed è questa particolare condizione che suscita in molti le maggiori perplessità. Nel contesto, una persona in stato incosciente sembrerebbe più affidabile di una cosciente.

Il channelling è ora portato all’attenzione da persone che trasmettono comunicazioni dalle più disparate provenienze. Questo fenomeno può essere studiato da molti punti di vista, ma ritenerlo un’alterazione della personalità o una frode per partito preso, è negare quella parte invisibile e fondamentale dell’uomo che, seppure ignorata o misconosciuta, è – secondo me – ben più preponderante dell’espressione fisica.

Coscienza e percezione espanse fanno parte dell’essere umano e, se non si mostrano in modo più comune, è solo perché si mantengono divise parti che in realtà dovrebbero essere parimenti sviluppate. Alcuni associano le facoltà paranormali, tra le quali certe forme di comunicazione, a un positivo grado di sviluppo spirituale. Poiché la letteratura sul tema riporta maggiormente casi di personaggi di una certa levatura, non pochi suppongono che queste manifestazioni riflettano l’integrità di chi le mostra, e quindi siano per se stesse una prova di affidabilità.

Da un certo punto di vista, entrare in contatto con dimensioni diverse non è necessariamente e direttamente collegato allo sviluppo spirituale, ma più semplicemente all’aspetto fisico, poiché l’azione oggettiva su questo piano si manifesta attraverso strumenti fisici. Infatti, ad esempio, c’è chi già nasce con particolari doti o chi se le ritrova a seguito di un trauma, chi ne ha pieno controllo e chi è in loro balia (con variazioni tra gli estremi). Infine, a qualcuno si sviluppano in un percorso di crescita globale.

SOGGETTIVITA’

Qualcuno associa la canalizzazione al passaggio di qualsiasi cosa proveniente dal mondo invisibile, sia che lo si intenda come subconscio della persona che come inconscio collettivo, forme pensiero, spiriti di defunti o entità di varia natura. Altri, invece, vedono in essa un nuovo modello di comunicazione spirituale ed accettano incondizionatamente che la nutrita serie di nomi esotici corrisponda ipso facto ad esseri illuminati e benevolenti di dimensioni “superiori”.

Quando si parla di comunicazione e di informazioni canalizzate, non si possono usare i criteri di valutazione di cui ci si avvale solitamente. Tutte le discussioni sull’affidabilità del canalizzatore, del materiale o della provenienza raramente hanno delle basi oggettive su cui porre od opporre testimonianze e prove.

La dinamica che più fortemente caratterizza il channelling è la soggettività. Soggettiva è la percezione di chi canalizza o dice di farlo,  soggettive sono le fonti dei messaggi – poiché a definirle sono i canalizzatori, e soggettivo è il materiale stesso, derivando dai precedenti. E in ultimo ma non ultimo, soggettiva è la risposta di chi si trova di fronte al materiale canalizzato, in quanto – alla fine – chi ne decide l’attendibilità o meno è colui che ascolta o legge.

Volendo, si potrebbe considerare questo materiale come ogni altra informazione di questo mondo: parziale e provvisoria, vera per alcuni e falsa per altri.

IL CANALE

Caratteristica di chi canalizza è il mantenimento di uno stato di consapevolezza durante la comunicazione, trovandosi in uno stato alterato di coscienza nel comune stato di coscienza di veglia. Se il medium diventa un mezzo nello stato di trance non sapendo chi e cosa sta comunicando, un canalizzatore è cosciente dei suoi differenti stati e percezioni.

Il channelling non è semplicemente un passaggio di informazioni, ma soprattutto l’affermazione dell’apertura di un canale di collegamento e comunicazione cosciente verso e con l’invisibile. In altre parole, il vero canale è quello che si apre tra la personalità fisica ed il suo aspetto invisibile, apertura che permette di veicolare le percezioni/informazioni tra i due come tra vasi comunicanti, dove il contenuto si miscela e si livella.

L’apertura di questa modalità di comunicazione determina un rapporto diretto tra la personalità fisica e le sue controparti invisibili che si manifesta principalmente e in modo particolare nell’intimo. Da un certo punto di vista, si può dire che si tratta di un atto di fiducia verso il Tutto, poiché annullando la separazione si permette l’ingresso di ciò che prima rimaneva ignorato altrove.

L’INVISIBILE

Alcuni sostengono che “l’uomo è un essere spirituale che ha esperienze terrene”, ribaltando così il concetto di uomo terreno che ha/ può avere/ persegue esperienze spirituali. Questa prospettiva attribuisce al corpo fisico lo stato di porta e strumento sulla dimensione fisica che permette a un essere spirituale di farne esperienza utilizzando parte della sua reale totalità espansa. In questa definizione risiede la capacità che ha l’essere nello stato di umano di co-esistere con tutta la sua totalità e nel contempo – tramite questa natura fondamentale – di partecipare e di entrare in contatto con le altre dimensioni dell’invisibile.

L’apertura del canale fa entrare in comunicazione la personalità umana sia con la sua diretta controparte invisibile sia con il proprio essere spirituale. Con questo si intende che nel flusso dell’invisibile che irrompe nella coscienza della personalità fisica, si muovono correnti celate ed ignorate, molte delle quali con difficoltà riconosciute come proprie.

Il mondo dell’invisibile che si dischiude non partecipa del tempo secondo il piano fisico, ma esiste in uno stato di a-temporalità che mischia e associa senza logicità umana ciò che è di tutto l’essere espanso. Pertanto, dovendo passare su un piano governato da leggi fisiche ben precise, le cose si organizzano secondo la natura di tale piano, cioè in un’aggregazione logica apparente. In questa situazione inusuale, la mente fisica della persona non di rado osserva come “altrui” ciò che invece è “proprio”, e che può provenire sia dalla sua personalità invisibile che dal suo essere spirituale espanso sulle diverse dimensioni di esperienza.

Inoltre, sia la parte invisibile che quella spirituale di ciascuno intrattengono costantemente dei rapporti con le realtà di cui essi stessi costituiscono parte integrante, per cui – grazie a questo rapporto – ci sono relazioni anche con invisibilità e spiritualità diverse dalla propria che possono, data l’attivazione del canale di comunicazione e l’assenza di confine, inter-agire a loro volta con il corpo fisico e/o la personalità.

RESPONSABILITA’

Il mondo invisibile è denso di tutto ciò che l’uomo immagina e non immagina possa esserci. Quali che siano i termini utilizzati nelle differenti culture, muoversi all’interno di esso senza lasciarsi sopraffare dalla consistenza delle coscienze che lo formano necessita di strumenti che salvaguardino l’individualità.

Il primo atto di responsabilità assunto da chi riconosce l’apertura del proprio canale è verso se stesso, in quanto tale stato può essere talmente dirompente da spezzare i legami di una personalità che, pure, ha il suo motivo di esistenza.

La centratura deriva primariamente dal conoscere se stessi, lavoro sempre in corso che fornisce l’ancoraggio utile a non perdersi nel gioco degli specchi. La centratura aiuta così la persona a gestire e gestirsi – e non ad essere gestita – perché fuori dal mondo fisico leggi e valori sono differenti e, quindi, l’interazione tra i mondi personali deve in qualche modo essere adattata al piano corrispondente, nello specifico quello fisico.

Il discernimento che si acquisisce coltivando la centratura, è uno stato di vigilanza che permette di vagliare il flusso dei dati. Aprire la porta comunicante è definitivo, ed illudersi di poterla richiudere per tornare a uno stato di “inconsapevolezza” significa in realtà lasciarla incustodita. Lo stato di vigilanza che dovrebbe caratterizzare chi si è aperto, favorisce il sottile riconoscimento di ciò che è proprio da quello altrui, poiché a questo punto pensieri ed elaborazioni possono sembrare “propri”.

Nella comunicazione tra i mondi si è responsabili in prima persona di ogni percezione raccolta, non importa quale sia la provenienza, essendo la responsabilità su questo piano di chi su questo piano agisce.

Il discernimento è particolarmente importante durante la percezione mentre la centratura pesa maggiormente nell’elaborazione del percepito. Poiché lo stato di coscienza che permette la percezione è definito alterato, cioè “altro” o “modificato” rispetto allo standard, così la trasposizione sul piano umano può incontrare una serie di filtri e strutture della personalità di cui spesso non si è consapevoli e che influiscono su integrità e chiarezza di percezione, elaborazione e trasmissione.

La qualità del collegamento e della percezione sono caratterizzati dall’integrità della persona e del suo stato di coscienza del preciso momento in cui questi avvengono. Supporre che questa apertura garantisca percezione e corretto trasferimento immutabili nel tempo, significa non tenere conto degli aspetti umani e contingenti che coinvolgono la personalità. Il continuo lavoro di raffinamento degli strumenti percettivi non garantisce di per sé la qualità della comunicazione, qualità che dipende in buona misura dal grado di consapevolezza della persona in quello specifico momento.

LA COMUNICAZIONE

Un’apertura più o meno consapevole del canale di comunicazione è più diffusa di quanto si pensi, ma – essendo spesso un processo ignorato o represso – molti pensano che si tratti di facoltà specifiche di un ristretto numero di persone, e non considerano la possibilità di stare già avendo accesso al proprio canale preferenziale, con tutte le potenzialità conseguenti. Accorgersi dell’apertura del canale di comunicazione comporta una presa di coscienza che non può essere ignorata.

Entrare in rapporto diretto con una parte di sé sconosciuta può modificare o anche (s)travolgere l’intera esistenza di una persona. I riferimenti esterni possono perdere di significato o caricarsene di totalmente diversi; i concetti acquisiti per educazione e cultura si mostrano come tali; i rapporti interpersonali assumono un carattere più ampio, riconoscendo negli altri non solo la personalità fisica ma la loro totalità; gli avvenimenti non fanno più parte di una vita terrena limitatamente intesa, ma sono riflessi e risposte che dall’invisibile si proiettano in questo mondo visibile; l’esistenza diventa agibile e fruibile su differenti piani di espressione, osservando ogni azione riverberarsi in onde che raggiungono orizzonti precedentemente nascosti alla vista.

All’interno di questa nuova realtà, colma di presenze e di differenti intendimenti, ciascuno sceglie la propria via d’azione in base a ciò che soggettivamente decide come opportuno per procedere su quel cammino che in passato seguiva indicazioni oggettive. In altre parole, aprendosi il collegamento e volendo passare all’esplorazione di mondi invisibili, cartelli e indicazioni sono nell’invisibile e, come succede visitando una regione sconosciuta, a volte occorre domandare informazioni agli abitanti del luogo ed anche, se è il caso, chiedere a qualcuno di far da guida.

LINGUAGGI E CONTENUTI

La comunicazione è condizionata dai mezzi utilizzati, siano essi strumenti tecnologici o apparati biologici. Il cervello umano traduce in termini di frequenze riconoscibili per la struttura di cui fa parte – e della quale è al servizio – qualcosa che di per se stesso è di altra natura: per esempio, traduce per il nostro corpo fisico alcune frequenza come gradazioni di calore, altre come suoni, altre ancora come colori, e così via, e per ciascuna frequenza utilizza differenti sensori e decodificatori pur facendo tutti parte del medesimo corpo. Ed ecco, poi, che alcune persone vedono i suoni, altre hanno la percezione tattile dei colori ed infine c’è chi vede e sente cose che nessuno intorno riesce a cogliere. Le capacità di ricezione ed elaborazione del cervello umano sono poco conosciute, soprattutto quando osservate fuori da una cosiddetta ‘normalità’.

La trasposizione in linguaggio e contenuto di una comunicazione di natura strettamente personale è molto individuale, potendo anche dire che – a un certo livello – questa comunicazione diventa una comunione, senza movimento da … a …, proprio come nei vasi comunicanti, dove la variazione in uno dei due comporta un’istantanea ed identica rispondenza nell’altro.

Questa dinamica coinvolge anche chi canalizza per altri. Si potrebbe dire che chi legge o ascolta comunicazioni canalizzate, osserva solo quello che fuoriesce dal vaso fisico e non l’essenza (eventualmente) immessa. Quindi, il contenuto prodotto e veicolato durante la canalizzazione può essere commisto al materiale personale di chi lo ha percepito, cioè risente non solo della sua cultura, esperienze di vita, preferenze ed interessi – ma anche del livello di centratura, discernimento ed integrità che vive. A volte, questo si mostra in modo palese quando più persone affermano di canalizzare la medesima entità.

L’OSSERVAZIONE

Centratura, discernimento e integrità sono qualità che occorrono non solo a chi ha il proprio canale aperto, ma anche a chi entra in contatto con messaggi canalizzati. Come il canalizzatore utilizza questi strumenti per mantenere la consapevolezza della propria esperienza con l’invisibile, così dovrebbe essere per chi si trova di fronte a materiale canalizzato, essendo il rapporto di responsabilità che intercorre in questo successivo passaggio di informazioni identico, seppur traslato di piano.

Come il grado di consapevolezza e di coscienza di un canale definisce la qualità del suo contatto con l’invisibile, così la qualità del canalizzatore e di quanto espone è definita dal grado di consapevolezza e di coscienza di chi legge o ascolta.

La comunicazione con l’invisibile è una realtà aperta a tutti, anche per chi non ne è consapevole, pertanto la pulizia degli strumenti di percezione e lo sviluppo di centratura, discernimento ed integrità non è responsabilità particolare di qualcuno ma di ciascuno, non importa a quale mondo si rapporti.—

– Estendere i confini, 4

Il numero: l’archetipo dell’ordine, M. Teodorani

05 martedì Feb 2019

Posted by Paola in I Ching, Inserimenti, Linguaggio, Neoscienze, Realtà Parallele, Stati altri di coscienza

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Il numero: l’archetipo dell’ordine, Massimo Teodorani [estratto da: Sincronicità, Macro Edizioni]

Il numero stesso è un archetipo. Del resto se ne era accorto bene lo stesso Jung proprio quando studiava l’I Ching e le sue caratteristiche sincroniche. I numeri hanno un significato profondo, ed è questa la ragione per la quale essi apparivano così frequentemente nelle pratiche divinatorie dell’I Ching. Essendo il numero un archetipo, esso è connesso direttamente alla sincronicità. Dal momento che lo scopo del numero è quello di portare ordine, Jung lo denominò “archetipo dell’ordine”. Il numero inoltre appare in quei simboli del “sé” – ovvero di quella parte di noi che ci ricollega all’inconscio collettivo – che sono i mandala, i quali hanno spesso la struttura quaternaria, oppure fatta da multipli di 4.

Come si vedrà in seguito, proprio la struttura quaternaria del mandala giocherà un ruolo predominante nel porre le basi della psicofisica sognata da Pauli e da Jung. Il numero sembra essere usato dall’inconscio proprio per creare ordine. Non è dunque un artefatto dell’uomo, bensì la manifestazione di una realtà superiore che noi possiamo usare come strumento sia per metterci in collegamento sincronico con la dimensione superiore che per costruire le leggi della scienza che hanno alla loro base una formulazione matematica.

I numeri servono come mediatori tra la realtà esterna e quella mentale. Pauli era completamente d’accordo con Jung al punto tale che riteneva che il concetto di archetipo dovesse essere compreso in maniera tale da includere le idee delle serie continue dei numeri interi in aritmetica e il concetto di continuo in geometria. Questo potrebbe aiutare a capire per quale ragione le teorie matematiche, proprio come quelle su cui lavorava Pauli, che sono nate solo ed esclusivamente da intuizioni provenienti dal profondo della psiche, possano poi essere messe in pratica per spiegare la realtà fisica.

L’inconscio stesso è infatti in grado di produrre spontaneamente strutture matematiche consistenti di numeri naturali e in certi casi anche di “matrici” (proprio come quelle che usò Pauli per descrivere quantitativamente certi importanti concetti della meccanica quantistica), al fine di esplicitare palesemente e alla luce della coscienza delle forme di ordine. I numeri, dunque, sembrano rappresentare sia un attributo della materia che il fondamento inconscio dei nostri processi mentali. Per questa ragione, sia per Jung che per Pauli, le forme rappresentate dai numeri sono quel particolare elemento che unisce i regni della materia e della psiche. (…)

Il numero è sia un veicolo di conoscenza che un legante tra due mondi tra loro complementari e costituenti quella totalità che si esplica nel mondo quantico.

Noi sappiamo che quel linguaggio simbolico che è la matematica rappresenta le fondamenta della fisica moderna. Ma allora ci si potrebbe chiedere: quali sono le fondamenta della matematica e per quale ragione funzionano così bene? Se non siamo in grado di rispondere a questa domanda, allora la scienza che riusciamo a padroneggiare così bene è basata su cose che ancora non capiamo. In sostanza lo scopo di Pauli era di rispondere anche a questa domanda, e la risposta la si trova solo concependo una nuova fisica che unisca la materia alla mente.

L’ipotesi archetipica del numero fu particolarmente sviluppata da  un’altra importante analista della scuola di Jung che ebbe in cura Pauli, la dottoressa Marie-Louise von Franz. Questa studiosa, sicuramente la massima divulgatrice del pensiero di Jung, arrivò a fissare con chiarezza i concetti di archetipo studiati come una sonata di piano a quattro mani da Pauli e da Jung. Von Franz arrivò a capire che tutti i fenomeni mentali e fisici sono aspetti complementari della stessa realtà unitaria trascendentale.

Alla base di essi esistono certe fondamentali forme dinamiche chiamate “archetipi”. Ogni specifico processo, sia esso fisico o mentale, è una particolare rappresentazione di alcuni di questi archetipi. In modo particolare, gli archetipi del numero forniscono la base per tutte le possibili espressioni simboliche. È dunque possibile, in linea di principio, che un “linguaggio neutro”, costruito sulla base di queste rappresentazioni simboliche astratte che sono gli archetipi del numero, possa fornire una descrizione altamente unificata di tutti i fenomeni mentali, psichici, parapsichici e fisici. (…)

Estratto da: Sincronicità, il legame tra Fisica e Psiche da Pauli e Jung a Chopra – Macro Edizioni

Massimo Teodorani è un astrofisico e divulgatore scientifico. Dopo la laurea in Astronomia ha conseguito il dottorato di ricerca in fisica stellare. Ha lavorato presso gli osservatori di Bologna e al radiotelescopio del CNR di Medicina (BO). Svolge tuttora ricerche teoriche nel campo del progetto SETI e prosegue la sua ricerca sulla fisica dei fenomeni luminosi anomali. Per Macro Edizioni ha pubblicato numerosi libri tra cui: Tesla, lampo di genio; Bohm, la Fisica dell’Infinito; Marco Todeschini, spaziodinamica e psicobiosifica; Entanglement; e Teletrasporto.

Coincidenza di linguaggio, Paola

11 martedì Set 2018

Posted by Paola in Estendere i confini, Paola, Percezione, Realtà Parallele, Stati altri di coscienza

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Coincidenza di linguaggio, Paola (2005)

“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo.” 

Wittgenstein

– – – – – – – – – – –

L’idea comune vede nel linguaggio (verbale, corporeo, musicale, visivo, etc.) il mezzo per il trasferimento delle informazioni dando per scontato che l’appartenere a una specifica cultura o gruppo garantisca la corretta comunicazione.

Quello che si nota a una più attenta osservazione è che nel passaggio da emittente a ricevente spesso avviene una distorsione, se non una perdita, dell’informazione originale. La complessità e le variabili sono tali da determinare in alcuni l’idea dell’incomunicabilità di qualsivoglia informazione. Se questo è un problema nella comunicazione interpersonale in ambito sociale, a maggior ragione sembrerebbe esserlo nell’acquisizione di ciò che si definisce “conoscenza spirituale”.

Ciò che s’intende come spirituale, è una conoscenza alla quale l’uomo sa – in modo innato – di poter accedere, pur percependola come superiore e immanente. Nonostante l’aggettivo “spirituale” abbia un significato ben preciso, succede che – a volte – questa conoscenza non venga considerata come il termine esplicitamente intende, ma affrontata come una qualsiasi materia accademica, trasferibile per via discorsiva o logica, supponendo che una mente allenata e un pensiero educato siano i requisiti necessari.

LA DIMENSIONE DELLA TRASMISSIONE

Il messaggio spirituale rimane nella sua integrità solo restando nella sua dimensione – cioè quella spirituale – pronto a fluire in chi è in grado di riceverlo avendo raggiunto quello stesso piano. Come una radio riceve il segnale solo se sintonizzata sulla frequenza del segnale stesso, così la conoscenza spirituale è ricevibile quando ci si sintonizza sulla sua frequenza d’origine. Quello che si può incontrare sul piano fisico non è una conoscenza o un messaggio spirituale in sé completo ma semplicemente un rimando, un’icona sul desktop inadeguata a esprimere la vastità di cui è segnale.

A volte dimentichiamo che ogni registrazione di conoscenza spirituale con cui si entra in contatto è il tentativo di esprimere qualcosa che, per sua natura, non è confinabile nella limitazione di una forma linguistica e, quindi, dei suoi derivati. Parole e suoni, immagini e visioni, per quanto ricche e dettagliate, sono tracce imperfette che, come vaghi accenni, possono anche confondere ed essere confuse.

La conoscenza, nel suo proiettarsi sulla dimensione fisica, inevitabilmente coinvolge mente e cuore, poiché diversamente non vi sarebbe presa di coscienza e nessun desiderio di approfondimento, ma fermarsi alla comprensione intellettuale (per quanto vasta) e al coinvolgimento emotivo (per quanto intenso) non è centrare lo scopo. L’indagare e frugare significati e associazioni mentali, carichi dell’emozione di un viaggio “pre-fissato”, predispone a una comprensione intellettuale che non garantisce la conoscenza di quello che si sta affacciando.

LA DIMENSIONE DELLA RICEZIONE

La dimensione dove si può raccogliere pienamente la conoscenza spirituale è il suo piano d’esistenza, il piano spirituale. Chi aspira a riceverla deve portarsi coscientemente in quella dimensione dove la mente e l’emozione assistono e registrano senza intervenire, permettendo – nella loro passività consapevole – di essere invase e sensibilizzate a una percezione sempre nuova.

La conoscenza spirituale volge direttamente alla parte spirituale dell’individuo, quella parte immensamente più estesa di quanto è in grado di concepire una mente ancora priva di esperienze trascendenti, quella sola in grado di accogliere e di elaborare pienamente l’intensità dell’esperienza. L’impressione che sul piano fisico viene riconosciuta in termini di pensiero e di emozione, sul piano spirituale è uno stato d’essere dell’essere, in cui le identità dell’osservatore e dell’osservato sfumano nella fusione.

Portarsi nella propria dimensione spirituale libera dai limiti della realtà di consenso e anche dall’idea che si ha dei termini, poiché ciò che non deriva dall’esperienza diretta è una costruzione che, confrontandosi con l’aspettativa, ci auto-preclude a quella conoscenza travolgente e non-intellettuale che è la dimensione spirituale.

Raggiungere lo stato dove si perdono i limiti dei riferimenti acquisiti intellettualmente, significa aprirsi alla vastità di noi stessi per scoprire quella conoscenza già appresa che difficilmente riconosciamo nell’attuale singola personalità con cui ci identifichiamo.

IL LINGUAGGIO DEL GRUPPO

Ci sono due linguaggi particolari che – spesso – vengono tra loro confusi o equiparati: quello utilizzato del gruppo d’appartenenza e il linguaggio personale.

Pur riconoscendo la conoscenza spirituale come universale, senza confini e proprietà, una volta che si procede alla sua trasposizione, l’illimitato viene limitato e caratterizzato. La conoscenza veicolata nel gruppo è una “trasposizione” nella forma comunicativa del piano umano di stati esistenti sul piano spirituale.

Ora, un’organizzazione sul piano fisico non può trasferire alcuna conoscenza spirituale a nessuno, può solo indicare l’esistenza e la fattibilità di una tale esperienza e allenare la persona al suo (della persona) raggiungimento. Questo per quanto anticipato, cioè che la conoscenza spirituale coincide con l’esperienza per chi – per affinità o capacità – la vive riportandone segno indelebile.

Il corpus degli insegnamenti del gruppo non ha la sua ragione d’essere nel trasferirsi pari-pari da una persona a un’altra, ma è lo strumento utilizzato per allenare l’individuo a espandersi consapevolmente nel suo stato spirituale, e grazie a questo sviluppo riappropriarsi della propria capacità di sperimentare. Il concetto è che se uno non vive la propria dimensione interiore sperimentando dentro di sé la sua reale esperienza/conoscenza, difetta dello strumento specifico che gli permette automaticamente l’ampliamento successivo. Come dire che se vedo, vedo e se non vedo, non vedo – non importa cosa ho sotto gli occhi.

Nel riconoscere che gli insegnamenti non sono la conoscenza ma sono solo gli strumenti che allenano a raggiungerla, ci si rende conto che il linguaggio utilizzato nel/dal gruppo è ugualmente uno strumento. Per esempio, in matematica si insegna a svolgere calcoli utilizzando lettere al posto di numeri. Il principio sottinteso è che attribuendo alle lettere un determinato valore il risultato sarà conseguente. Questi esercizi non intendono risolvere nulla di tangibile, essendo il loro scopo allenare la mente a riconoscere, impostare e risolvere problemi della più varia natura: grazie a questo apprendimento in astratto, quando le lettere si trasformano in valori che rappresentano una realtà concreta, l’architetto erige costruzioni di ogni genere mentre l’ingegnere e il fisico lanciano satelliti nel cosmo.

Allo stesso modo concetti, musiche, esercizi e pratiche che sembrano la conoscenza da apprendere, sono i mezzi utili per l’allenamento, sono – nella loro apparente consistenza – le astrazioni che vanno sostituite dall’indicibilità dell’esperienza.

IL LINGUAGGIO PERSONALE

Concomitante è il riconoscere il proprio linguaggio personale, cioè il significato che si attribuisce interiormente alle parole ascoltate o proferite. Molto spesso si ragiona sul significato di concetti e termini senza aver adeguatamente indagato sui collegamenti mentali e le emozioni che determinate parole – concetti o immagini – suscitano dentro di noi per se stesse. Il linguaggio personale si può intendere come quell’intima associazione che lega la parola-significato all’emozione-vissuto in una connessione indissolubile, spesso inconscia.

La costruzione del linguaggio avviene principalmente in famiglia e all’interno di un ambiente sociale legando il significato dei termini al vissuto. In seguito, quando si incontra un insegnamento o si entra in un gruppo, ci si conforma a un linguaggio dove i significati possono assumere differenti sfumature che, nonostante la comprensione intellettuale, permangono secondarie a quelle acquisite per prime. Per fare un esempio, sembra che nel bilinguismo in cui la seconda lingua è acquisita in tempi successi alla lingua madre, le aree cerebrali preposte alla comprensione di ciascuna lingua non sono vicine e avviene una “traduzione” da area a area, cioè da lingua a lingua. Nel bilinguismo acquisito durante l’infanzia le aree cerebrali della comprensione sono sempre distinte per ciascuna lingua ma tra loro adiacenti, e qui non c’è “traduzione” ma un’immediata comprensione, cioè ogni lingua viene gestita in completa autonomia essendo le peculiarità di entrambe completamente interiorizzate.

Il linguaggio personale è quel linguaggio intimo che ciascuno di noi usa inconsciamente, che da un lato si esteriorizza con un vocabolario e delle immagini comuni e dall’altro s’interfaccia con la propria speciale interiorità. È una lingua nascosta a qualsiasi percezione, spesso anche a quella della persona stessa. Questo tipo di linguaggio va distinto, osservato e compreso nel suo duplice aspetto, poiché in esso è possibile rinvenire una chiave di comunicazione tra le nostre dimensioni esteriori e interiori non solo di linguaggio, ma anche nella trasposizione di tutto ciò con cui si entra in contatto e che ci impressiona.

IL LINGUAGGIO DELL’ESPERIENZA

L’esperienza spirituale è uno stato dell’essere che non contempla la comunicazione per il semplice fatto che non c’è separazione delle parti e, quindi, necessità di comunicazione tra le stesse: tutto/tutti istantaneamente/totalmente si è, non essendoci spazio neppure per il pensiero. Poiché si realizza su un piano privo di attributi, colui che sperimenta mentre ancora partecipa di un corpo fisico trasferisce automaticamente secondo il grado di consapevolezza e sensibilità che dispone, per cui l’esperienza si converte in parte in qualcosa che lascia traccia nella mente e nel cuore, e a volte nel corpo fisico stesso (guarigioni, modificazioni fisiche).

Il linguaggio coinvolto in questo processo è il linguaggio personale in quanto – pur essendo l’esperienza disponibile per chiunque – rimane specifica per la persona che l’ha colta e vissuta, che non può che tradurla/ridurla a (e per) se stessa. In questo processo di consapevolezza, la frase di Wittgenstein è pertinente: per quanto l’esperienza spirituale sia sempre completa nella sua dimensione, la sua impressione sul piano fisico viene limitata dalla sensibilità percettiva che ognuno ha della propria parte spirituale, che pure partecipa della dimensione in toto. Per cui non esistono livelli e dimensioni spirituali (attribuzione quantitativa e qualitativa umana), ma livelli e dimensioni di percezione di chi esperisce.

Saper ascoltare, parlare e leggere il proprio linguaggio personale collega direttamente all’esperienza spirituale che esiste dietro – e si manifesta in – ogni avvenimento visibile. Infatti, la dimensione spirituale non è localizzata in confini, ma si è ‘separati’ da essa solo dalla limitazione percettiva. Essere padroni del proprio linguaggio interiore dispiega un’interazione con l’invisibile, permettendo di cogliere la natura più profonda di quanto si esprime nel visibile e così individuare le correlazioni e le influenze che si manifestano nella nostra vita in qualsiasi tipo di forma (insegnamenti, concetti, immagini, sogni, avvenimenti, incontri, coincidenze, etc.).

L’interpretazione di questo linguaggio è impegno del soggetto perché, pur essendoci un’apparente somiglianza nel visibile che induce a attribuire significati comuni, questa comunanza è legata sempre a una osservazione esterna e non dell’essere interiore, cioè il creatore del proprio linguaggio.

OLTRE IL LINGUAGGIO

Chi ha avuto consapevolmente un’esperienza spirituale – non importa di quale natura e intensità – riesce a riconoscere la stessa esperienza nel linguaggio personale di un altro che l’abbia raggiunta, non importa quanto diverso, incomprensibile e stravagante possa sembrare al resto del mondo. La comunicazione tra chi ha vissuto (o vive) l’esperienza spirituale oltrepassa sia gli aspetti esteriori che interiori di un linguaggio personale per stabilirsi sulla dimensione dell’invisibile, dove la comprensione non poggia più sul piano della manifestazione – con tutte le sue particolari sfumature intellettuali, emotive e psicologiche (che permangono e proseguono nella personalità fenomenica) – ma avviene nella dimensione priva di barriere dove “tutti i linguaggi svaniscono coincidendo”. Potendo ben affermare:

“I limiti del mio linguaggio non sono i limiti del mio mondo“.

————–

 – Estendere i confini, 3

L’allucinazione, L. Watson

15 martedì Mag 2018

Posted by Paola in Coscienza, Evoluzione, Inserimenti, Neoscienze, Percezione, Realtà Parallele, Stati altri di coscienza

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L’allucinazione, Lyall Watson – (estratto da “SuperNatura”, ed. Rizzoli (1974), attualmente fuori catalogo)

Le droghe e le pratiche allucinogene rivelano qualcosa che sembra caratteristico dell’uomo. Esse illuminano soltanto le frange di una estensione mentale così vasta che è difficile da comprendere. Sidney Cohen, direttore dell’Istituto di salute mentale nel Maryland, descrive il cervello come «una fabbrica di simboli il cui scopo principale è la gestione del corpo. La sua attività secondaria sembra essere quella di riflettere sulle cose, sul dove vanno e sul che cosa significano. La sua capacità unica di interrogarsi e di essere consapevole è del tutto inutile ai fini della sopravvivenza fisica» (76). Le occhiate che abbiamo incominciato a rivolgere alla sfera cerebrale, sollevano infatti alcuni problemi evoluzionistici senza precedenti. Nessun biologo affermerebbe che le attività straordinarie del cervello siano inutili per la sopravvivenza: il cervello è parte di noi e noi siamo parte dell’ecologia come qualunque altra specie. Quello che abbiamo fatto al nostro ambiente è naturale come il tuono o il lampo. Il nostro cervello ha fatto di noi una grande forza dell’evoluzione, e ci vorrà molta immaginazione e creatività da parte sua per tirarci fuori dalle attuali difficoltà. Ma sono d’accordo con Cohen sul fatto che l’estensione del potenziale umano ispiri sgomento; noi sembriamo avere acquistato capacità al di là dei nostri bisogni attuali e drammatici e sembriamo schiacciati da questo peso.

La natura fa raramente qualcosa senza una buona ragione, eppure ha attraversato qualche difficoltà lungo gli ultimi dieci milioni di anni – un tempo molto breve secondo le sue misure – per rifornirci di un’enorme corteccia cerebrale dalla capacità apparentemente illimitata. Abbiamo acquistato questo organo incredibile a spese di parecchi altri, eppure ne usiamo soltanto una piccola parte. Che fretta c’era? Perché abbiamo corso così in fretta lungo questa linea di sviluppo? Avremmo certamente potuto cavarcela con molto meno. Al momento siamo come una piccola famiglia di inquilini che hanno occupato un vasto palazzo ma non sentono il bisogno di muoversi oltre il comodo e ben fornito appartamento localizzato in un angolo del sottosuolo.

Una consapevolezza quasi subliminare del resto della struttura ci ha sempre tentato. Brevi sguardi gettati nelle altre stanze hanno portato pochi avventurosi individui a fare sforzi più precisi di esplorazione, ma i metodi tradizionali hanno avuto soltanto un parziale successo. Alcuni hanno tentato delle tecniche ritmiche, come i canti cristiani o i movimenti ondeggianti della preghiera indù, o le danze vorticose dei dervisci, onde provocare uno stato di trance che potesse portarli al di là della barriera. Alcuni hanno tentato di alterare la chimica del loro corpo con una profonda respirazione o col digiuno o con la rinuncia al sonno. Alcuni hanno cercato una dissociazione nel dolore fisico attraverso l’auto-flagellazione o la mutilazione o impiccandosi al soffitto. Gli indiani Sioux usavano il caldo e la sete nel loro rituale solare per raggiungere una specie di crudele delirio; gli egizi cercarono l’isolamento sociale nei loro rituali nel tempio. La cosa che tutti questi metodi hanno in comune è che cercano di arrestare il flusso di informazioni con cui l’ambiente circostante cerca di sommergerli; sia eliminando l’afflusso di sensazioni, sia rendendole monotone e prive di significato. Quando questo è fatto, alcune fra le porte della mente cominciano a schiudersi.

La tecnica della deprivazione sensoriale è stata perfezionata in molte recenti ricerche. All’Università McGill i soggetti vennero confinati in una stanzetta acusticamente isolata e portavano occhialoni che ammettevano soltanto una luce diffusa. A Princeton vennero tenuti in un cubicolo piccolo, isolato visivamente e acusticamente, e a temperatura costante. E in Oklahoma e nello Utah essi vennero immersi in una cisterna scura d’acqua mantenuta a temperatura del sangue in modo che essi non ricevessero né luce né suono né sensazioni tattili dal loro ambiente. L’immediata reazione in tutti questi studi fu il ritirarsi da questa monotonia dentro il sonno, ma una volta che questa possibilità di fuga venne impedita ed essi non poterono più dormire, i volontari incominciarono a incontrare nuove difficoltà. Tutti i soggetti persero il senso del tempo e sottovalutarono il suo scorrere; alcuni dormirono per oltre ventiquattr’ore e affermarono che era stato soltanto un’ora o due. Il disorientamento e la mancanza di informazioni da parte dell’ambiente circostante rese loro difficile pensare seriamente e costruire giudizi normali. I sogni incominciarono ad apparire più frequentemente, talvolta con spaventosa intensità, e prima o poi l’assoluta irrealtà della situazione portò la maggior parte dei soggetti all’esperienza dell’allucinazione. Non si tratta solo di «fantasmi» sensoriali come i bagliori di luce o i rintocchi di campana, ma avvenimenti completi, complessi e interamente convincenti (329).

Quello che sembra accadere è che in circostanze normali la grande quantità di informazioni che noi riceviamo è regolata dalla formazione reticolare, che seleziona e lascia passare solo ciò di cui abbiamo bisogno e di cui “possiamo occuparci in quel momento. In condizioni di deprivazione sensoriale noi riceviamo molto poco, cosicché ogni pezzetto di informazione riceve molto di più della quantità solita di attenzione, e diventa enormemente ingrandita. La nostra visione si restringe, cosicché gonfiamo quello che riceviamo fino a riempire l’intero schermo, come un film fatto passare al microscopio. Quindi parte dell’allucinazione è semplicemente un primo piano migliorato della realtà, ma c’è qualcosa di più. Lasciato senza il suo solito sbarramento di stimoli, il cervello abbellisce la realtà e la elabora, attingendo alla sua riserva di inconsce cianfrusaglie per riempire il tempo e lo spazio a disposizione. Eppure neanche questo va abbastanza lontano, perché ci sono aspetti dell’allucinazione che sembrano risiedere al di fuori sia delle possibilità coscienti del cervello sia dì quelle incoscienti.

Quasi ogni sottocultura ha cercato prima o poi una radice, un’erba o una bacca per far avanzare il processo di dissociazione. I persiani avevano una pozione chiamata soma, la quale, secondo gli annali sanscriti «rendeva un uomo simile a un dio». Elena di Troia aveva il nepente. In India e in Egitto hanno sempre usato hashish e marijuana. In Europa e in Asia c’era il magnifico fungo a macchie rosse Amanita, che uccideva le mosche e rendeva furiosi gli antichi cavali scandinavi. Il Messico ha la sua gloria mattutina fiore di cactus, e diversi «funghi divini». Tutte queste piante contengono agenti chimici che provocano stati trascendentali, e molti di essi sono stati usati come additivi in cerimonie magiche e religiose, ma la sostanza psichedelica più sconvolgente e significativa di tutte non cresce spontaneamente in natura ma dev’essere estratta dai grani della segala cornuta. Si tratta dell’acido lisergico dietilamidico, o LSD.

Questo acido è stato provato su molti animali, ma sembra avere avuto un piccolo effetto su di loro a eccezione forse, del ragno, il quale costruisce una ragnatela un po’ più fantasiosa. Esso sembra interessare direttamente i livelli più alti del pensiero, e anche una piccola porzione, circa un trecentimillesimo di oncia, provoca effetti profondi sull’uomo. A seconda di come è preso, gli effetti cominciano entro una mezz’ora, raggiungono il massimo circa un’ora e mezzo dopo, e terminano sei o anche sette ore più tardi. La maggior parte dell’azione cerebrale sembra essere confinata al sistema reticolare e al sistema limbico, che regola le esperienze emotive. Quindi esso lavora direttamente in queste zone di filtraggio e di confronto delle esperienze sensoriali, e in quelle aree che determinano i sentimenti individuali su questo materiale. La parola, la capacità di camminare, e la maggior parte delle attività fisiche restano totalmente non influenzate. La pressione sanguigna e il polso sono normali, i riflessi sono acuti, e non vi sono spiacevoli effetti secondari. Sembra che l’LSD operi soltanto nella zona di più alta consapevolezza del cervello umano, in quella che noi crediamo la nostra personalità.

L’effetto psicologico più considerevole, come nella privazione sensoriale, è un rallentarsi del tempo: le lancette dell’orologio sembrano non muoversi affatto. Questa specie di eterno presente è molto simile a una versione prolungata del modo in cui il tempo può arrestarsi in momenti di grande pericolo personale. Noi abbiamo nella nostra fisiologia la capacità di produrre questo effetto nei casi di emergenza, e l’LSD sembra portarla un passo più in là, ma senza che abbia più a che fare con la sopravvivenza fisica. La separazione fra l’io e il non-io, l’antico, primevo rifugio dell’inconscio, scompare molto presto, e i confini dell’io si dissolvono. Cohen dice : «La sottile protezione della ragione lascia via libera alla fantasticheria, l’identità è sommersa da sentimenti oceanici di unità, e il fatto di vedere perde i significati convenzionali impostici dagli oggetti visti».

È importante a tal proposito rendersi conto che noi di solito percepiamo soltanto quello che possiamo concepire. Noi costringiamo le sensazioni a coincidere con la nostra idea di come le cose dovrebbero essere. L’esperimento classico di dotare la gente di occhiali che invertono ogni cosa lo dimostra in modo definitivo. Entro un giorno o due il cervello incomincia a correggere il campo visivo e questa gente ricomincia a vedere tutto ancora nel modo «giusto», ma quando si tolgono gli occhiali il mondo intero risulta capovolto. Quindi il mondo viene visto non com’è, ma come dovrebbe essere. Parte del problema è che noi riceviamo tante di quelle sensazioni da essere obbligati a scegliere, e a ritrovarci con una visione della realtà attentamente selezionata e molto ristretta. L’LSD ha la capacità di toglierci i paraocchi e di farci vedere le cose con occhi nuovi, come se fosse la prima volta. In questa condizione possiamo ricominciare ad apprezzare i suoni dei colori, il profumo della musica, e le trame degli umori. Le api e i pipistrelli è i calamari del profondo mare, pur senza possedere l’estensione della nostra sensibilità e dei nostri interessi, fanno questo continuamente.

I bambini vedono di solito le cose con enorme chiarezza. E’ possibile che quello che chiamiamo allucinazione sia una parte normale di ogni esperienza infantile (i loro disegni sembrano confermarlo); ma quando diventiamo adulti le nostre visioni si oscurano e alla fine si estinguono, perchè esse di solito hanno un valore sociale negativo. Ogni società si basa su certe regole di condotta che indicano normalità, e per una combinazione di queste pressioni sociali e il nostro bisogno di adattamento la maggior parte di noi finisce dentro questi limiti. Pochi sfuggono a ciò e vengono classificati come pazzi e privati della loro libertà con la scusa che abbisognano di assistenza, ma in realtà il loro confinamento ha soprattutto lo scopo di proteggere la società piuttosto che questi individui da se stessi. L’unione Sovietica non fa misteri a questo proposito e regolarmente incrimina i dissenzienti sostenendo che essi devono essere pazzi se non vanno d’accordo con lo Stato. Pochi individui riescono a scuotere le restrizioni della normalità e a farne a meno, perché fanno questo all’interno di una sfera religiosa nella quale queste attività rivoluzionarie sono consentite in quanto sono state definite «di ispirazione divina».

Ben lontana dall’essere confinata, la maggior parte della gente che ha questo tipo di esperienza trascendentale ritorna alla società con una nuova visione delle cose e comincia a cambiare la propria vita e quella degli altri – non sempre per il meglio. Alcuni santi e profeti sono stati certamente pazzi, ma non ha senso definirli tutti insani. La loro esperienza non è unica. Quasi ognuno di noi, in qualche momento della sua vita, ha un momento di rapimento o di estasi ispirata da un lampo di bellezza, dall’amore, da un’esperienza sessuale o da un intuito. Queste visioni momentanee di perfezione e di godimento estetico sono frammenti di uno stato che i cristiani chiamano «divino amore», i buddisti Zen «satori», gli indù «moksha», e i vedanta «samadhi». Simili esperienze sono così poco comprese da essere tutte ammucchiate nel misticismo e considerate come soprannaturali. Nel senso che essi non possono essere ospitati nella definizione di «sanità» culturale, questi stati sono «insani», ma ci può aiutare a capirli meglio il fatto di rinunciare a questa pesante etichetta e di riferirci a essi come a stati di non-sanità.

Non c’è niente di soprannaturale in essi, e l’importanza di prodotti chimici come l’LSD è di mostrarlo molto chiaramente, semplicemente togliendo gli strati superficiali di «sanità» e facendoci di nuovo diventare naturali. Uno degli effetti più comuni delle sostanze psichedeliche è di acuire la ricettività e di consentire di raccogliere i suggerimenti ambientali con squisita sensibilità. In situazioni sperimentali di laboratorio i soggetti all’LSD spesso sembrano leggere nella testa dell’esaminatore, ma è chiaro dalle analisi che essi stanno semplicemente reagendo, nel modo in cui fanno molti animali, ai più piccoli cambiamenti di tono, di espressione facciale, di posizione. Noi siamo sempre capaci di raggiungere questo genere di percezione subliminare, che è davvero supernaturale se la paragoniamo ai nostri livelli normali di reazione, ma nella più vasta arena biologica questi talenti sono cosa molto comune e del tutto naturale. Il nostro stato di veglia «sana» è uno stato di inibizione.

Parte di questo è necessario per evitare di essere schiacciati dalla quantità di sensazioni sopraggiungenti, ma le barriere erette, dal sistema reticolare a loro volta ci tolgono molto di ciò che è pieno di magia e di ispirazione. Questo è assurdo quando ormai disponiamo di un cervello che per la prima volta è capace di apprezzare queste meraviglie. Non sto raccomandando una dissociazione di massa e una fuga generale dentro queste zone di insanità. Blake, Van Gogh, Verlaine, Coleridge e Baudelaire vissero e lavorarono molto spesso in uno stato di coscienza trascendentale, e soffrirono tremendamente nel loro sforzo di rompere le barriere della ragione e della realtà.

Ora, forse più che in qualsiasi altro momento della nostra evoluzione, abbiamo bisogno di vedere chiaramente i problemi che ci affliggono, ma il nostro sforzo diventa inutile se non impariamo ad apprezzare il fatto di essere diventati padroni del nostro destino. Abbiamo bisogno di sapere dove stiamo andando e come ci arriveremo. Abbiamo già incominciato a fare uso dei nostri talenti coscienti ma abbiamo totalmente trascurato quelli che sono raggiungibili dall’altra parte della mente. La natura ci ha dato tutto l’equipaggiamento necessario a questo scopo, nello spazio che è contenuto tra le nostre orecchie, e le tecniche di ipnosi, di autosuggestione, di sogno e di allucinazione ci danno un’idea dei poteri che possediamo. Tutto quello che dobbiamo fare è usarli saggiamente.

(76) Gohen S.Drugs of Hallucination London: Paladin, 1971 (329) Dernon, I. A. Inside the black room London: Penguin, 1966

Caratteristiche dei sognatori lucidi (estratto dal libro)

31 sabato Mar 2018

Posted by Paola in Coscienza, Libri, Neoscienze, Realtà Parallele, Stati altri di coscienza

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Caratteristiche dei sognatori lucidi – Estratto da “Il sonno, il sogno, la morte”, Dalai Lama, a cura di Francisco J. Varela – Ed. Neri Pozza (2000)

«Sempre e ovunque, gli esseri umani hanno dovuto affrontare due esperienze fondamentali, durante le quali la mente ordinaria sembra dissolversi per penetrare in una dimensione radicalmente differente. Il primo di tali stati è il sonno, costante compagno dell’umanità, transitorio e pervaso dal sogno, la cui esperienza ha incantato le diverse culture sin dagli albori della storia. Il secondo è la morte, il grande e abissale enigma, l’evento conclusivo che condiziona l’esistenza individuale e il rituale culturale. Sono queste le “zone d’ombra dell’io”, rispetto a cui la scienza occidentale spesso si trova a disagio, essendo caratterizzate da un contesto assai diverso da quello dell’universo fisico e della causalità fisiologica. Al contrario, la tradizione buddhista tibetana si muove con la massima naturalezza in questo ambito e con un grande bagaglio di conoscenza.
Il libro che presentiamo racconta una settimana di esplorazioni in questi due regni di trasformazione radicale del corpo e della mente umana. Questa indagine ha preso la forma di un dibattito straordinario tra il Dalai Lama, affiancato da pochi altri esponenti della tradizione tibetana, e alcuni rappresentanti della scienza e dell’umanesimo occidentale». Francisco J. Varela

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Caratteristiche dei sognatori lucidi – Estratto dal cap. 4, Il sogno lucido

“Eravamo interessati alle differenze tra un sogno ordinario e un sogno lucido”, proseguì Jayne. “L’unica differenza consiste nel fatto che sappiamo che stiamo sognando, oppure ci sono altre discordanze? Tutto dipende dalla persona a cui lo chiediamo. Se chiediamo a un sognatore quali siano le eventuali differenze tra un sogno lucido e un sogno non-lucido, questi affermerà che il sogno lucido è completamente diverso: più eccitante e vivido. Se invece chiediamo a un osservatore esterno di leggere le trascrizioni di sogni lucidi e non-lucidi, ci dirà che praticamente non ha notato differenze. Grazie all’analisi statistica, possiamo appurare come nel sogno lucido ci sia un maggiore movimento del corpo, e come il suono abbia un ruolo più importante. Questi due fattori, nel complesso, ci invitano a considerare l’idea dell’equilibrio. L’equilibrio fisico sembra molto importante nel sogno lucido, non solo durante il sogno stesso, ma anche nello stato di veglia. L’equilibrio fisico è importante, come nel caso di un sogno in cui stiamo volando, ma l’equilibrio emotivo è altrettanto importante: in questo sogno vogliamo fare qualcosa, ma dobbiamo ricordare che stiamo sognando e quindi ci dobbiamo destreggiare tra due pensieri. Abbiamo ipotizzato che il sogno lucido possa essere associato al sistema vestibolare dell’equilibrio fisico, che è collegato alla produzione dei movimenti dell’occhio nel sogno. Altro punto interessante: abbiamo scoperto che nei sogni lucidi ci sono meno personaggi rispetto ai sogni non-lucidi. Tutto ciò induce a chiederci se non ci sia una predisposizione psicologica, cognitiva al sogno lucido. E abbiamo concluso che in effetti è così: a elevate capacità di orientamento ed equilibrio corrisponde una maggiore frequenza di sogni lucidi”.

Il Dalai Lama precisò che i meditatori con un livello di consapevolezza superiore alla media sembrano più sensibili all’esperienza del sogno lucido: “Forse i meditatori hanno una destrezza particolare, visto e considerato che intervengono molto sulle energie fisiche e sulla condizione psicofisica. Forse grazie a tutto ciò raggiungono uno stato di grande armonia. Riterrebbe che la capacità di apprendere la tecnica del sogno lucido possa essere legata al livello d’intelligenza del soggetto?”

(Jayne) “Si tratta di qualcosa che è stato dimostrato, almeno in parte. Tuttavia, in linea di massima, si tratta di un fattore meno importante rispetto al senso dell’orientamento fisico nello spazio. C’è chi si perde completamente in un bosco, o per le vie di una città sconosciuta. Altri riescono a rendersi conto di dove si trovano piuttosto rapidamente, non grazie a ciò che vedono, ma in virtù del loro senso fisico della direzione. Le persone che possiedono questa propensione naturale sono più soggette al sogno lucido. Tra l’altro, anche la meditazione sembra incrementare il senso dell’orientamento. Un altro fattore è l’abilità dei sognatori lucidi di risolvere problemi spaziali complessi, come orientarsi in un labirinto. In queste situazioni i sognatori lucidi si dimostrano particolarmente abili. Infine, costoro prima di addormentarsi manifestano una maggiore attività immaginativa, e sono anche più propensi a sognare a occhi aperti.

“I tratti della personalità sono un terzo fattore rilevente, anche se di minore peso rispetto al senso dell’equilibrio e dell’orientamento. I sognatori lucidi sono spesso persone che tendono ad avere un temperamento androgino, e che sono disposti a prendersi qualche rischio nell’esplorazione della propria interiorità, come provare una nuova droga o il tamburo degli sciamani. Sono assai predisposti ad avere consapevolezza di se stessi”.

– Estratto da “Il sonno, il sogno, la morte“, conversazioni con il Dalai Lama a cura di Fancisco J. Varela (edizioni Neri Pozza)

Indice – Preludio al viaggio – 1. Cosa c’è nel sè? – 2. Il sonno del cervello – 3. I sogni e l’inconscio – 4. Il sogno lucido – 5. I livelli di coscienza e lo yoga del sogno – 6. La morte e il cristianesimo – 7. Cos’è la morte fisica? – 8. Esperienze di pre-morte – Conclusioni, Riflessioni sul viaggio

L’ordine del tempo, C. Rovelli (Libro)

21 mercoledì Mar 2018

Posted by Paola in Filosofia, Libri, Neoscienze, Percezione, Realtà Parallele, Tempo

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L’ordine del tempo, Carlo Rovelli – Edizioni Adelphi (2017)

Estratto dall’Introduzione

(…) La natura del tempo è stata al centro del mio lavoro di ricerca in fisica teorica per tutta la mia vita. Nelle pagine che seguono, racconto quello che abbiamo capito del tempo, le strade che stiamo seguendo per cercare di capire meglio, quello che ancora non capiamo e quello che mi sembra di intravedere.

Perchè ricordiamo il passato e non il futuro? Siamo noi a esistere nel tempo o il tempo esiste in noi? Cosa significa davvero che il tempo “scorre”? Cosa lega il tempo alla nostra natura di soggetti?

Cosa ascolto, quando ascolto lo scorrere del tempo?

Il libro è diviso in tre parti ineguali. Nella prima, riassumo quello che ha compreso del tempo la fisica moderna. È come tenere in mano un fiocco di neve: mano mano che lo studiamo ci si scioglie fra le dita fino a sparire. (…)

Gli aspetti caratteristici del tempo, uno dopo l’altro, sono risultati essere approssimazioni, abbagli dovuti alla prospettiva, come la piattezza della Terra o il girare del sole. Il crescere del nostro sapere ha portato a un lento sfaldarsi della nozione di tempo. Quello che chiamiamo “tempo” è una complessa collezione di strutture, di strati. Studiato via via più in profondità, il tempo ha perso questi strati, l’uno dopo l’altro, un pezzo dopo l’altro. La prima parte del libro è il racconto di questo sfaldarsi del tempo.

La seconda parte descrive quello che resta alla fine. Un paesaggio vuoto e ventoso che sembra aver perso quasi traccia di temporalità. Un mondo strano, alieno; ma il nostro mondo. È come arrivare in alta montagna, dove sono solo neve, roccia e cielo. O come deve essere stato per Armstrong e Aldrin avventurarsi sulla sabbia immobile della Luna. Un mondo essenziale che riluce di una bellezza arida, tersa e inquietante. La fisica su cui lavoro, la gravità quantistica, è lo sforzo di comprendere e dare senso coerente a questo paesaggio estremo e bellissimo: il mondo senza tempo.

La terza parte de libro è la più difficile, ma anche la più viva e la più vicina a noi. Nel mondo senza tempo deve comunque esserci qualcosa che dia poi origine al tempo che noi conosciamo, con il suo ordine, il passato diverso dal futuro, il dolce fluire. Il nostro tempo deve in qualche modo emergere intorno a noi, alla nostra scala, per noi. (…)

Indice

Forse il mistero più grande è il tempo – Parte prima: Lo sfaldarsi del tempo – 1. La perdita dell’unicità – 2. La perdita della direzione – 3. La fine del presente – 4. La perdita dell’indipendenza – 5. Quanti di tempo – Parte seconda: Il mondo senza tempo – 6. Il mondo è fatto di eventi, non di cose – 7. L’inadeguatezza della grammatica – 8. Dinamica delle relazioni – Parte terza: Le sorgenti del tempo – 9. Il tempo è ignoranza – 10. Prospettiva – 11. Cosa emerge da una peculiarità – 12. Il profumo della medeleine – 13. Le sorgenti del tempo – La sorella del sonno

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Carlo Rovelli

Carlo Rovelli (1956) – Fisico teorico, membro dell’Institut Universitaire de France e dell’Académie Internationale de Philosophie des Sciences, è responsabile dell’Èquipe de Gravité Quantique del Centre de Physique Théorique dell’Università di Aix-Marseille. Ha pubblicato, fra l’altro, Cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro (Mondadori, 2011), La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose (Raffaello Cortina, 2014) e Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi, 2014), che è stato tradotto in 40 lingue.

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