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Archivi della categoria: Percorsi spirituali

Fondamento dell’interesse, I. Shah

16 martedì Giu 2020

Posted by Paola in Filosofia, Inserimenti, Libri, Percorsi spirituali, Spiritualità

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Fondamento dell’interesse, Idries Shah (estratto da: Imparare a imparare – Psicologia e spiritualità sulla Via del Sufi, Ubaldini Editore, 1993)

Qualcuno vuole sapere perchè è così difficile incontrarmi, e desidera anche che sia pubblicamente riconosciuta la mia “conoscenza nel campo spirituale”. Per ciò che riguarda la prima domanda, non è facile nè difficile; è semplicemente una questione di cifre, per me come per chiunque.

Se prendiamo come base una giornata di otto ore e una settimana di sette giorni, ne risulta che in un anno – a patto di incontrare quotidianamente una persona ogni ora, e di non fare altro che avere con ciascuna di esse un colloquio di un’ora – potrei ricevere poco meno di tremila visitatori all’anno, e ciascuno una volta sola. Ora, il numero di coloro che, nel corso di un anno, manifestano il desiderio di “parlarmi”, varia da novemila a trentamila, e se ogni anno accettassi di ricevere ciascuno dei richiedenti solo due volte, potrei soddisfare solo millecinquecento domande circa. Benchè le domande che desiderano pormi siano sempre considerate importanti, noto che l’urgenza diminuisce, misteriosamente, durante le festività e le vacanze estive…

Dopotutto, può darsi che se non facessi altro che ricevere per un’ora al giorno ogni persona che vuole vedermi, la situazione che si creerebbe porterebbe in se stessa la sua soluzione: diventeri così noioso, così incompetente, così esaurito, che la gente avrebbe sempre meno voglia di vedermi e così finirei per recuperare la mia libertà.

Allora, anzichè dover fare così, perchè non attenermi alla situazione presente, tanto più che non mancano individui felicissimi di vedersi circondati da orde e da gruppi che assorbono la loro saggezza dalla mattina alla sera?

Sono stasto criticato per aver detto questo. Si dice che questi “saggi” suscitino sempre insoddisfazione nella maggior parte dei loro discepoli, i quali – di conseguenza – passano da un guru all’altro. Se dovessi comportarmi in questo modo susciterei anch’io insoddisfazione, quando i discepoli si sarebbero stancati di vedermi continuamente e ritualmente seduto a recitare la parte del grande guru.

Io non ho nè la formazione nè la vocazione per entrare in questa giostra.

L’attività che consiste nel “vedere gente” è un’attività socio-psicologica, fatto che tutti questi “cercatori” sembrano ignorare in quanto la scambiano volentieri per una “attività spirituale”, che ovviamente non è. Coloro che amano raggrupparsi in questo modo sono tenuti a dimostrare che tale raggruppamento è una “attività spirituale”, altrimenti continueranno ad associarsi a coloro che cercano l’adulazione, la cui seconda caratteristica sembra essere molto spesso quella di non sopportare la solitudine troppo a lungo.

Quando ero giovane, il mio Maestro mi disse: “Se fosse sufficiente radunarsi per raggiungere l’illuminazione, i granelli di sabbia sarebbero diventati tutti santi, gli stormi di uccelli si disperderebbero e ogni membro dello stormo diverrebbe un Maestro spirituale, e le pecore eserciterebbero la funzione di illuminati. Allo stesso modo, se vedessimo i meno illuminati raggrupparsi attorno a cose o a persone ritenute da essi strane, interessanti o eccitanti, non avremmo sotto gli occhi un assembramento di curiosi, ma l’assemblea degli eletti…”.

Quanto alle mie “conoscenza spirituali”, ecco ciò che diceva lo Sceicco Abu-Ishaq, dell’Isola Verde (presso Algesiras, in Spagna) a Ibn el-Arabi:

“Io classifico la gente in due categorie: anzitutto c’è l’amico che ha una buona opinione di me, e ne parla bene. È un amico. Poi c’è chi parla male di me, ed è colui che parla del mio stato spirituale”.

– Idries Shah, Imparare a imparare – Ubaldini Editore

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Idries Shah (1924-1996) – Scrittore britannico, autore di alcune decine di libri di argomento psicologico e spirituale, ma anche di diari di viaggio e di studi culturali. Nel 1960 ha fondato una casa editrice chiamata Octagon Press, presentando traduzioni dei classici sufi e titoli originali. Nei suoi scritti Shah presentò il Sufismo come una forma di sapienza universale precedente all’Islam, e ponendo l’enfasi sulla dinamicità del Sufismo, la cui natura non statica sempre si adatta al tempo presente, in accordo al luogo e alla gente coinvolta. Egli formulò il suo insegnamento in termini psicologici comprensibili ad un pubblico occidentale.

Riso, Deng Ming-Dao

01 domenica Mar 2020

Posted by Paola in Deng Ming-Dao, Filosofia, Inserimenti, Percorsi spirituali, Taoismo

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Mi. Riso, seme. La croce è la rappresentazione di una pianta che sta crescendo. I quattro segni rappresentano i grani di riso. Tutta la vita inizia da un seme. Se vogliamo seguire la vita, dobbiamo solo seguire il corso del seme a seme.

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Gli antichi, porgendo agli studenti una manciata di semi da studiare, dicevano: “Senza piantare, non c’è messe. Senza coltivare, non c’è raccolto. Senza raccolto, non c’è sostentamento. E senza umiltà, a nulla servirebbero i semi.”

La coltivazione del riso comporta molte cose prima di poterlo consumare come cibo. Comporta piantare e operare in concerto con gli elementi. Comporta una cura attenta e molta pazienza. Comporta saper quando trapiantare e quando raccogliere. Operare attraverso tutte queste fasi richiede soprattutto una virtù: l’umiltà. Ci si deve chinare verso il terreno. Si deve guardare in basso per spargere i semi. Si deve camminare nel fango per trapiantare. Si devono osservare le stagioni e il tempo. Si devono accettare gli incidenti e le tempeste. Si deve attendere la maturazione.

Per coltivare il riso, non si può essere orgogliosi. Gli antichi insegnavano tutto questo ai loro studenti con una manciata di riso. Li guidavano nel corso delle stagioni e, così facendo, insegnavano loro la via.

A ciascuno di noi occorre umile diligenza per rendere la nostra vita matura.

– Estratto da: Everyday TAO, Deng Ming-Dao – HarperOne Publishing [trad. Paola]

Il “Wyrd”, estratto da Wikipedia

20 lunedì Gen 2020

Posted by Paola in Inserimenti, Percorsi spirituali, Realtà Parallele, Spiritualità, Stati altri di coscienza, Tempo

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Deriva dal protogermanico *wurdís, “fato”, radice dell’alto tedesco antico wurt e del norreno urðr, che si ritrova nel nome di una delle Norne e del pozzo sacro Urðarbrunnr (il termine norreno per “fato” era Ørlog). (…)

Il significato basilare del Wyrd si riferisce a come le azioni passate influenzino e condizionino continuamente il futuro. Ma anche come il futuro influenzi il passato. Tutte le azioni di tutti i tempi si influenzano a vicenda.

Si ipotizza che, al contrario del Fato, il Wyrd sia tutt’altro che immobile ed immutabile: non si ripete mai allo stesso modo, non è il destino individuale, ma piuttosto una rete che collega ogni elemento ed ogni creatura dell’universo, e non conosce distinzioni tra passato e futuro. Niente veniva escluso da questa visione, e ciò che fosse ritenuto negativo o distruttivo, pur essendo allontanato o combattuto, era considerato in ogni caso parte del Wyrd.

Ne deriva che qualsiasi azione personale va ad influire direttamente sul wyrd degli altri individui: ogni decisione, presa nel presente, genera un’eco che si propaga non solo nel futuro, ma anche nel passato, giacché nell’essere umano coesistono passato, presente e futuro.

Ogni azione che è, influenza ciò che sarà e ciò che è stato; ogni azione che è stata, influenza ciò che è e ciò che sarà; ogni azione che sarà, influenza ciò che è stato e ciò che è. Ma non solo: ogni azione influirà sul wyrd altrui, e quindi su presente, passato e futuro altrui. Tutto l’universo di tutti i tempi, in questo modo, sarebbe stretto nella medesima, inestricabile, rete.  (…)

Fonte: Wikipedia

La mistica del linguaggio, G. Scholem (Libro, estratto)

07 sabato Dic 2019

Posted by Paola in Filosofia, Libri, Linguaggio, Percezione, Percorsi spirituali, Spiritualità, Stati altri di coscienza

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La mistica del linguaggio, Gershom Scholem – estratto da “Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio”, Ed. Adelphi

… La rivelazione, secondo la dottrina della Sinagoga, è un evento acustico, non visivo, o per lo meno ha luogo in una sfera connessa metafisicamente con la dimensione acustica, sensoriale. Questo carattere viene sottolineato di continuo richiamando le parole della Torah (Dt 4,12): “Non avete visto alcuna immagine, soltanto una voce.” Quale significato abbia questa voce e che cosa in essa venga a espressione, è la domanda che il pensiero religioso ebraico non si è mai stancato di riproporsi.

Il legame inscindibile che unisce il concetto di verità della rivelazione e quello di linguaggio – poichè la parola di Dio, se mai l’uomo possa farne esperienza, si rende percepibile proprio nel medium del linguaggio umano – è certo una delle eredità più importanti, anzi forse la più importante, che l’ebraismo abbia lasciato nella storia della religione.

Nelle pagine che seguono ci proponiamo di interrogare la letteratura e il pensiero dei mistici ebrei per apprendere che cosa hanno da insegnarci al riguardo. Il punto di partenza di tutte le teorie mistiche del linguaggio, e perciò anche di quelle cabbalistiche, è la convinzione che il linguaggio, ossia il medium in cui si compie la vita spirituale dell’uomo, possieda un lato interno, un aspetto, che non si lascia ridurre alla pura comunicazione fra gli esseri.

L’uomo si esprime, cerca di farsi intendere dai suoi simili, ma in tutti questi tentativi vibra qualcosa che non è soltanto segno, comunicazione, significato ed espressione. Il suono che è alla base di ogni lingua, la voce che le dà forma, che la forgia elaborandone il materiale sonoro, in questa prospettiva sono già prima facie assai più di quanto entri nella comunicazione.

L’antico problema che da Platone ad Aristotele ha poi diviso i filosofi – se cioè il linguaggio si fondi su una convenzione, un accordo, o sulla natura interna degli esseri – ha sempre avuto sullo sfondo questo aspetto indecifrabile del linguaggio. Ma se il linguaggio è più della comunicazione ed espressione verbale, per come l’intendono i linguisti, se l’elemento sensibile, grazie alla cui pienezza e profondità esso prende forma, possiede quell’aspetto ulteriore che ho chiamato il suo lato interno, sorge allora la domanda: che cos’è questa dimensione “segreta” del linguaggio sulla quale da sempre i mistici concordano, da quelli dell’India e dell’Islam fino ai cabbalisti e a Jakob Boehme? La risposta è chiara: questa dimensione è determinata dal carattere simbolico del linguaggio.

Nel definire questo aspetto simbolico le teorie mistiche percorrono spesso strade divergenti. Che però qui, nel linguaggio, venga comunicato qualcosa che oltrepassa la sfera che rende possibili espressione e forma – qualcosa di inespresso che vibra in fondo a ogni espressione, qualcosa che si mostra solo per simboli e che traspare, per così dire, attraverso le fessure del mondo espressivo – è questa le tesi di fondo che ritorna in tutte le teorie mistiche del linguaggio, ed è insieme l’esperienza da cui esse hanno tratto alimento, rinnovandosi fino alla nostra generazione. (In questo senso Walter Benjamin è stato a lungo un puro mistico del linguaggio.)

Il mistico scopre nel linguaggio una dignità, una dimensione immanente o, come si direbbe oggi, un aspetto strutturale che mira non tanto a comunicare qualcosa di comunicabile, quanto piuttosto – e su questo paradosso si fonda il simbolismo – a comunicare qualcosa di non-comunicabile, qualcosa che rimane inespresso e che, se mai si potesse eprimere, non avrebbe comunque un significato, un “senso”, comunicabile. (…)

I mistici si sono sempre arrovellati su come possa il linguaggio degli dèi o di Dio intrecciarsi con la lingua parlata e come si possa districarlo da quell’intreccio. Da sempre essi hanno avvertito nella lingua un abisso, una profondità, e si sono prefissi di misurarli, di attraversarli e di superarli. (…)

– Estratto da: Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, Gershom Scholem, ed. Adelphi

Dimensioni/Coscienza, Kabbalah TV Bnei Baruch

03 venerdì Mag 2019

Posted by Paola in Percezione, Percorsi spirituali, Stati altri di coscienza, Video

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Tre sottili desideri, J. Mahu

09 mercoledì Gen 2019

Posted by Paola in Percorsi spirituali

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TRE SOTTILI DESIDERI, James Mahu (da: Vivere dal Cuore)

Ora arriviamo a tre sottili desideri che stanno dietro a quasi tutto ciò che ci impegniamo a raggiungere: la gratificazione immediata, il controllo e la cosa-successiva. Questi tre sottili desideri influenzano anche le nostre aspettative nel campo dello sviluppo e della crescita spirituale, ed è per questo motivo che accendo i riflettori su di essi.

IL DESIDERIO DI GRATIFICAZIONE IMMEDIATA

C’è una frase di William Gibson: “Il futuro è già accaduto; solo che non è distribuito molto bene.” Questo sentimento sembra appropriato in un mondo dove le scorciatoie sono acclamate dagli esperti in ogni campo d’impresa. Accelerazione è lo slogan del giorno, e il fine di questa accelerazione è fare tutto più in fretta e minor tempo; essere più produttivi; essere un impiegato migliore; essere uno studente migliore; essere tutto meglio, e farlo o acquisirlo più in fretta e più facilmente.

Quello che manca a questo approccio è la destinazione o, altrimenti detto, “dove vi porta questa accelerazione”: a un’automobile più lussuosa, una casa più grande, all’illuminazione, un inesauribile conto in banca, una posizione più prestigiosa nella vita, una migliore salute o, semplicemente, a uno stile di vita relativamente comodo? Qualunque sia la destinazione, il concetto di gratificazione immediata incombe come un catalizzatore di questo raggiungimento. Ma che cosa succede se la destinazione è la maestria emozionale di sé? In questo caso, quali sono gli indicatori per l’accelerazione? Quali sono le scorciatoie e come sappiamo se stiamo accelerando, decelerando o stiamo segnando il passo, andando velocemente da nessuna parte?

La gratificazione immediata presume una cosa fondamentale: che per ogni sforzo umano ci siano l’ascensore o le scale, ed è meglio scegliere l’ascensore. Arrivare a destinazione o raggiungere in fretta la propria meta è più importante che valutare quale destinazione o meta sia meglio. È precisamente questa necessità di sbrigarsi a raggiungere la meta che spinge spesso a prendere una mal calcolata deviazione invece di valutare quale destinazione o quali mete sono più essenziali per il raggiungimento del proprio obiettivo.

Ora potete chiedervi: se la maestria emozionale di sé è una meta fondamentale per il vostro proposito spirituale, qual è il sentiero migliore da prendere per raggiungerla? La mia risposta sarebbe di vivere dal cuore esprimendo le sei virtù del cuore con autenticità e artisticità, e considerare la velocità con cui viaggiate verso la maestria come insignificante o di nessuna importanza. Forse è uno strano monito, ma il bisogno di andare veloci è di per se stesso un padrone che infiamma l’ego come poche cose sanno fare.

IL DESIDERIO DI CONTROLLO

Il secondo sottile desiderio che spesso ci fa porta fuori rotta è il nostro insaziabile desiderio di controllo. Il desiderio di controllare la propria vita è posto dentro di noi fin da piccoli e poi coltivato nel corso della nostra integrazione sociale. Ci viene insegnato a controllare le nostre emozioni, specialmente ai maschietti. Una volta arrivati all’età adulta ci insegnano che controllare il nostro ambiente equivale ad avere successo come contribuente sociale per quella macchina da soldi che chiamiamo economia del libero mercato.

Molte persone vedono nel controllo lo strumento principale del successo in tutti i campi della vita, compreso l’ambito spirituale dell’illuminazione. Il controllo, comunque, alla fine non dà soddisfazione perché si è sempre impastoiati nella lotta contro avversari che vogliono avere altrettanto controllo. È una competizione senza fine. È un prodotto del costrutto tri-dimensionale che ci siano vincitori e vinti, e che sia meglio essere un vincitore.

Ebbene sì, nel mondo del denaro è difficile mettere in discussione questa logica. L’ambizione a controllare, tuttavia, è un padrone instancabile che vi chiede di lavorare sodo, rimanere focalizzati sui vostri doveri sociali e assicurarvi che il mondo in cui operate non diventi incontrollabile. Nei prossimi sette anni il controllo diverrà sempre più fuggevole perché il cambiamento dimensionale in corso farà cambiare, e in alcuni casi crollare, le rigide istituzioni del nostro ordine sociale.

Ciò significa che quelli che cercano di controllare e gestire nei minimi particolari la loro vita troveranno più difficile mantenere il loro equilibrio emotivo. Quando l’equilibrio emotivo andrà disordinatamente con alti e bassi, sentiranno il battito del mondo accelerare e lo stress, come una cascata, si rovescerà su di loro.

L’antidoto a questo controllo ostinato è di dimostrare a voi stessi che sapete come passare a sentirvi sicuri quando vi sentite insicuri; che sapete come passare ad esprimere le virtù del cuore quando andate a cozzare contro le difficoltà della vita; e che sapete arrendervi al vostro sé superiore quando sentite il vostro ego incombere alla grande.

Tutto è certamente più facile a dirsi che a farsi, ma la maestria emozionale di sé è una meta, non una destinazione. Ricordate: non c’è nessuno che vi guarda dall’alto di una qualche impenetrabile altezza giudicando la vostra espressione imperfetta delle sei virtù del cuore. Quando vi giudicate, spesso vi è il senso di appropriatezza per il giudizio. Questo è, in realtà, una reazione del controllo: se solo aveste controllato meglio le vostre emozioni; se solo foste passati più velocemente alle sei virtù del cuore; se solo aveste perdonato più facilmente e non aveste tenuto rancore a un amico o un familiare…

Potete esser certi che imbarcandovi in questo viaggio ci saranno delle volte in cui farete dei passi falsi, non vi sentirete all’altezza e farete degli “errori”. Forse ci saranno dei momenti in cui vi sembrerà che vi manchi la terra sotto i piedi, vi sentirete impotenti, privi di soluzioni e sprofonderete nel disgusto di voi stessi. Sarà durante questi momenti che avrete bisogno di applicare la saggezza del vostro viaggio nella maestria emozionale di sé e, per quanto possa essere imperfetto o privo di prova, vi sarà più utile di ogni altro diverso consiglio perché, come hanno osservato gli antichi: il cuore è la sede dell’anima.

Appellatevi a questa saggezza, non all’idea astratta di Dio o a dei “poteri superiori”. Appellatevi alla vostra saggezza delle sei virtù del cuore e imparate a come passare ad esprimerle quando le difficoltà della vita bussano alla vostra porta. Facendo così, insegnerete ad altri intorno a voi attraverso questa espressione e intento. Facendo così, modificherete il campo elettromagnetico che vi circonda, il coefficiente di luce del vostro campo energetico. Inoltre, ciò attrarrà condizioni similari e vi darà migliore salute emozionale, lucidità mentale e benessere fisico.

IL DESIDERIO DELLA COSA-SUCCESSIVA

Il terzo sottile desiderio è il bisogno della cosa-successiva. Di solito si considera la cosa-successiva più potente della cosa del momento. Spesso gli individui vogliono passare all’idea, al sentiero spirituale o alla modalità di guarigione successiva prima di aver raggiunto la conoscenza basilare del proprio stato interiore. Sperimentano a livello superficiale senza tener conto dei valori e dei significati più profondi che esistono in loro stessi.

Per esempio, prendiamo l’argomento in questione: la maestria emozionale di sé. Pochi obietterebbero che questa sia una capacità importante da possedere, a prescindere da come sia definita nei termini delle sue componenti psicologiche o spirituali. Del resto non è cosa facile padroneggiare le proprie emozioni o anche raggiungere una ragionevole comprensione della loro natura sottile. Le emozioni sono molto multidimensionali e operano dai livelli energetici invisibili fino ai livelli pratici delle relazioni, del rendimento sul lavoro e del benessere personale. Per questo motivo, le emozioni sono una complessa rete di scambio d’energia con coloro che incrociamo sul sentiero, sia di persona che in modo virtuale per corrispondenza, al telefono, nello scambio di messaggi, chat o email, e ciò richiede perseveranza e vigilanza nella nostra pratica. Non basta farlo di tanto in tanto.

Il bisogno della cosa-successiva è il desiderio di premere il “tasto di riavvio” del proprio sistema di credo. A volte è una buona intuizione quella di rinnovare i propri punti di vista o credenze, ma altre volte ciò distrae l’attenzione verso degli aspetti superficiali dello scopo della vita, dato che vi spostate sempre alla cosa-successiva: la nuova modalità, il nuovo insegnamento, il nuovo modo di vivere. Lo stato interiore della vostra vita emozionale, i valori centrati sul cuore e la saggezza intuitiva del vostro cuore energetico sono un’infinita risorsa di intelligenza. Quando passate alla cosa-successiva, se la cosa-successiva non include il vivere dal cuore come suo principio fondamentale, potete non evolvere il vostro accesso all’infinita risorsa di intelligenza che attende dentro di voi – non nei libri, in internet, in un ashram, in una scuola, in un seminario o presso un grande maestro – ma dentro di voi.

Per quanto la cosa-successiva possa essere pubblicizzata come la più potente delle verità mai scoperte dall’umanità sul suo cammino, sarà molto più probabile che impallidirà se paragonata alla vostra stessa saggezza del cuore… se sapete come attivarla, come accedervi ed esprimerla. Ci sono migliaia di sistemi che promettono l’illuminazione e molti di essi sono validi, ma il bisogno della cosa-successiva ha spesso l’indesiderato effetto collaterale di allontanarvi proprio dall’istruttore con cui dovete soprattutto interfacciarvi: la vostra intelligenza del cuore e la forza emozionale ed energetica contenuta in essa.

L’aumento e l’accelerazione della complessità della vita ha anche accresciuto la complessità della vita spirituale individuale. Molte cosiddette pratiche spirituali vi chiedono di respirare secondo modi e ritmi specifici. Altre vi chiedono di mangiare determinate combinazioni di cibi e bevande. Altre prescrivono in gran dettaglio meditazioni e posture, e altre ancora affermano che certi colori e frequenze sonore attivano la vostra anima.

Vivere dal cuore non è centrato sulla precisione della tecnica o su complesse pratiche di controllo del corpo, della mente o delle emozioni: è la semplice pratica delle virtù del cuore nelle vostre attività di tutti i giorni, momento dopo momento. Con il tempo, questa pratica culminerà in un virtuosismo di precisione e controllo, ma ciò sarà la naturale conseguenza di pratiche semplici, non di rigidi programmi di allenamento posti fin dall’inizio; e questa è una distinzione importante.

Tutti questi tre sottili desideri sono componenti di una generale disfunzione sociale basata su un sistema di credenza superato in cui l’ambizione dell’ego prevale sulla saggezza dell’espressione del cuore. È a questo che il prossimo cambiamento di coscienza, predetto da tempo, attiene veramente. La saggezza del cuore prevarrà e diverrà l’alfiere dell’umanità, introducendo un nuovo ordine di coerenza e allineamento alle frequenze superiori della nostra natura e fonte divina.

Estratto da: Vivere dal cuore, James Mahu (stringhedeventi.com)

Fonte originale: Living from the Heart (wingmakers.com)

Il cuore del codice binario, I. T. Quartiroli

16 mercoledì Mag 2018

Posted by Paola in Coscienza, Percezione, Percorsi spirituali

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Il cuore del codice binario, Ivo Toshan Quartiroli –da indranet.org (2007)

Tutti sanno che i computer operano in base al codice binario 0/1. Esistono progetti per creare computer basati su reti neurali o computer quantici, ma nessuno di essi finora è andato al di là dei modelli teorici. La struttura interna di uno strumento riflette il modo in cui viene usato, così come la struttura molecolare di un materiale ne riflette caratteristiche macroscopiche quali il peso, la tessitura e la resistenza.

Il computer è uno strumento che ragiona e crea il mondo secondo un modello dualista. Nei linguaggi informatici utilizzati per creare il software, una delle principali strutture logiche è il costrutto «if-then-else», che consente di prendere decisioni basate su scelte e dualità.

Il modello binario dualistico è tipico della mente razionale. Il computer, in quanto estensione della mente, non fa che riflettere il modo in cui opera quest’ultima. La psicologia dell’ego ci dice che le strutture della mente si sono formate attraverso il primo evento dualistico, ovvero quando il bambino ha cominciato a distinguere le sensazioni piacevoli (bene, amore, calore, premure) da quelle spiacevoli (male, paura, abbandono, fame).

Queste sono le prime strutture mentali a nascere, e si formano quando dividiamo la nostra esperienza. Il bambino non ha ancora alcuna idea o modo di capire cosa sta succedendo intorno a lui. Ma egli ha già la capacità di avere percezioni e sensazioni. Il mondo indistinto del neonato comincia a differenziarsi tramite quelle strutture primitive, strettamente connesse alla fisiologia. In seguito, questo atteggiamento dualista viene usato per sviluppare altri e più sofisticati tipi di strutture mentali.

Nella tradizione tibetana la mente è definita in questi termini dualistici:

“Ciò che possiede la percezione della dualità – che si aggrappa o rifiuta qualcosa di esterno – è la mente. Fondamentalmente, essa è ciò che si può associare a un “altro”, ovvero a qualsiasi cosa percepita come distinta da colui che percepisce. Questa è la definizione di mente.” – Chogyam Trungpa. The Heart of the Buddha. Shambhala. Boston. 1991

Si potrebbe dire che la nostra mente non è solo uno strumento dualistico basato sulla logica, perché possiamo percepire anche le emozioni. Ma in molte tradizioni spirituali le emozioni non sono considerate qualcosa al di là della mente, anche se normalmente le percepiamo l’una distinta dalle altre. Poiché la definizione di mente nella tradizione tibetana include ciò che conosciamo come emozioni, anche gli stati mentali più piacevoli sono pur sempre contenuti mentali. Le emozioni sostengono l’attività della mente. Dice ancora Chogyam Trungpa:

“I sogni a occhi aperti e i pensieri non sono sufficienti. Da soli, risulterebbero troppo noiosi e l’artificio dualista sarebbe troppo debole. Per questo cerchiamo di creare onde su onde di emozioni: passione, aggressività, ignoranza, orgoglio… Ogni sorta di emozione.” – The Heart of the Buddha. Shambhala. Boston. 1991

Dunque le emozioni sostengono la mente dualista nel suo lavoro di divisione. Il computer stesso non è più uno strumento che incoraggia solo un’arida attività razionale: oggi esso fornisce nutrimento abbondante alle emozioni, tramite informazioni, contatti con le persone, film, email, siti erotici, musica e così via. Comunque, in quanto esseri umani, disponiamo di altre vie per la conoscenza. Se la mente è – come tutti sanno – l’organo dei pensieri, essa non è però l’unica modalità cognitiva di cui gli esseri umani dispongono. Esiste un’altra via, attraverso un “cuore” che non riguarda solo le emozioni, ma anche la ricerca della verità e la conoscenza diretta. Il cuore sa ed è aperto all’intelligenza dell’Essere: è quest’ultimo che lo guida.

Questo cuore è stato considerato dalle tradizioni spirituali un’entità spirituale dotata di connessioni con il corpo in termini energetici, come per esempio attraverso il chakra del cuore localizzato nell’area del petto. Tuttavia, in tempi relativamente recenti la scienza ha scoperto che il cuore fisico ha le sue cellule nervose, le quali si scambiano informazioni tra loro, oltre che con il cervello. Si tratta di un sistema nervoso interno al cuore del quale sappiamo ancora molto poco, ma che forse un giorno scopriremo essere il centro fisico della facoltà di conoscenza sottile. L’istituto Earthmath sta studiando i legami critici tra le emozioni, la comunicazione tra cuore e cervello, e le funzioni cognitive.Se la mente funziona tramite la modalità o/o, o questo/o altro, 0/1, il cuore opera mediante una logica e/e, riunendo ciò che la mente separa, al di là delle dualità: per esempio, noi – in quanto individui distinti – e il resto dell’esistenza.

Lo stato di illuminazione spirituale in alcune tradizioni viene chiamato «stato non-duale»: ciò allude alla cessazione delle dualità mentali. Il cuore può essere uno strumento cognitivo più vasto e profondo della mente. La sua saggezza non è frutto di quella ricerca del sapere tipica della mente. Le modalità di conoscenza del cuore non sembrano derivare dalla divisione e dal ragionamento: giungono in modo intuitivo e visionario. Secondo esse, tanto minore è il ruolo assunto dalla mente ordinaria, tanto più spazio può essere riempito dalla verità. Una mente svuotata delle sue strutture e credenze lascia spazio alle facoltà cognitive del cuore. Qual è il modo per entrare in contatto con questo lato spirituale del cuore? Attraverso l’amore, come è possibile immaginare, ma l’amore di un amante speciale…

“L’amore per la verità fine a se stessa è di fatto l’espressione del cuore essenziale. Quando si percepisce il cuore al livello dell’Essere, si può riconoscere che l’amore è l’espressione della verità. Quando comprendiamo che un requisito necessario per l’oggettività – che in genere è considerata una qualità mentale – è il puro amore per la verità – che è una qualità del cuore – osserviamo la relazione organica tra i vari aspetti dell’Essenza. È interessante ricordare che l’inizio dell’Ego è caratterizzato da una modalità difensiva, e la difesa non è altro che il nascondere una certa verità dell’esperienza. Quindi, il requisito della realizzazione interiore è l’opposto della caratteristica fondamentale dell’ego; la difesa e la resistenza sono le nemiche della verità, e l’amore è il suo alleato. L’amore per la verità, che inverte l’atteggiamento difensivo, conduce direttamente alla verità dell’esperienza, la verità contro cui ci difendevamo.” – A.H. Almaas. The Pearl Beyond Price. Diamond Books. Berkeley. 1988.

La scissione che ha creato la mente dualista è una bugia prodottasi in un’età molto precoce per difendere l’individuo dalla sofferenza intollerabile. È una bugia necessaria, umana e inevitabile che ha plasmato la vita di ognuno. Ciononostante, è pur sempre una bugia che è possibile smascherare e dissolvere tramite l’amore per la verità. La mente può sostenere gran parte del lavoro verso la verità. Ma a un certo punto della ricerca della verità più profonda essa diventerà impotente, perché la sua esistenza dipende dal celare la verità. Il cuore ama svelare quei livelli della verità che la mente non è in grado di indagare.

Anche Rudolf Steiner ha espresso bene le non riconosciute facoltà cognitive del cuore:

“Il terzo passo nella conoscenza superiore, necessario per innalzarsi all’Intuizione, può essere raggiunto solo sviluppando al massimo una facoltà che, nella nostra epoca materialista, non viene riconosciuta in quanto forza cognitiva. Quello che si svela tramite l’Intuizione può essere raggiunto solo sviluppando e spiritualizzando ai massimi livelli la capacità di amare. Un uomo deve saper trasformare questa capacità di amare in una forza cognitiva.” – Rudolf Steiner. The Evolution of Consciousness. Rudolf Steiner Press. Sussex. 1991—

Fonte originale: http://www.indranet.org/the-heart-of-the-binary-code/

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Altri articoli di I. T. Quartiroli:

* Rendendoci incorporei a velocità di banda larga, Ivo Toshan Quartiroli

* Limiti e profondità delle parole, Ivo Toshan Quartiroli

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