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Archivi della categoria: Percorsi spirituali

Addomesticare le emozioni distruttive, intervista a D. Goleman (da Innernet, 2008)

07 giovedì Gen 2021

Posted by Paola in Coscienza, Inserimenti, Intervista, Neoscienze, Percezione, Percorsi spirituali, Stati altri di coscienza

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La meditazione può cambiare il cervello? Daniel Goleman, autore del best seller Intelligenza emotiva, dà delle risposte sorprendenti. Recenti ricerche ci dicono che il cervello è estremamente plastico, a patto che attraversiamo esperienze sistematiche e ripetute; in questo senso le pratiche meditative sembrano le migliori per trasformare le emozioni distruttive.

Nel suo libro Emozioni Distruttive, in collaborazione con il Dalai Lama, riporta le ricerche sul cervello e sulla meditazione e suggerisce una via per lavorare sulle emozioni distruttive.

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Nel tuo nuovo libro, Emozioni distruttive, scrivi che “riconoscere e trasformare le emozioni distruttive è il cuore della pratica spirituale”. Puoi dirci cosa intendi con “emozioni distruttive”?

Daniel Goleman: Esistono due punti di vista: uno orientale, l’altro occidentale. Secondo il punto di vista occidentale – quello della scienza e della filosofia moderne – le emozioni distruttive sono quelle che provocano un danno a se stessi o agli altri. E “danno”, qui, è inteso nel senso più ovvio: fisico, affettivo, sociale. Il punto di vista orientale è più sottile. La concezione buddista, così come è emersa dalle conversazioni con il Dalai Lama alla conferenza intitolata “Mind and Life” nel marzo 2000, è che le emozioni distruttive sono quelle che disturbano il proprio equilibrio interiore, mentre quelle sane favoriscono l’equilibrio della mente. (continua)

Articolo completo: http://www.innernet.it/addomesticare-le-emozioni-distruttive/

Prologo, J. O’Donohue (da Anam Cara)

11 mercoledì Nov 2020

Posted by Paola in Libri, Percezione, Percorsi spirituali, Spiritualità, Tempo

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Prologo, John O’Donohue (dal libro “Anam Cara”, Ed. Corbaccio – fuori catalogo)

È strano essere qui. Il mistero non ci lascia mai soli. Dietro la nostra immagine, dietro le nostre parole, prima dei nostri pensieri, dietro la nostra mente, il silenzio di un altro mondo è in attesa. Un mondo vive in noi; nessun altro può portarci notizie di questo mondo interiore.

Ognuno è un artista: aprendo le labbra, facciamo uscire suoni dalla montagna che giace sotto l’anima; questi suoni sono le parole. Il mondo è pieno di parole; sono tanti a parlare senza sosta, ad alta voce, quietamente, nelle stanze, per strada, alla televisione, alla radio, sul giornale, nei libri. Il rumore delle parole trattiene per noi quello che chiamiamo mondo. Prendiamo suoni gli uni dagli altri e facciamo progetti, predizioni, benediciamo e bestemmiamo. Ogni giorno, la nostra tribù di linguaggio tiene insieme il mondo. L’emissione delle parole rivela quanto ciascuno di noi inesorabilmente crei. Ogni persona porta il suono fuori dal silenzio e convince l’invisibile a farsi visibile.

Gli esseri umani sono nuovi, qui; sopra di noi, le galassie danzano verso l’infinito; sotto i nostri piedi, è l’antica terra e di questa argilla siamo splendidamente plasmati. La più piccola pietra, tuttavia, è milioni di anni più vecchia di noi. Nei nostri pensieri l’universo silenzioso cerca un’eco.

Un mondo sconosciuto vuole essere riflesso: le parole sono gli specchi inclinati che fermano i nostri pensieri. Fissiamo lo sguardo in queste parole-specchi e cogliamo barlumi di significato, di appartenenza e protezione; dietro le loro lucenti superfici sono tenebra e silenzio. Le parole sono come il dio Giano, guardano all’interno e all’esterno contemporaneamente.

Se finiamo per assuefarci all’esterno, la nostra interiorità ci abbandonerà e saremo affamati di un desiderio che nessuna immagine, nessuna persona o azione potrà placare. Per rimanere integri dobbiamo restare fedeli alla nostra vulnerabile complessità; per mantenere il nostro equilibrio dobbiamo tener legati l’interno e l’esterno, il visibile e l’invisibile, il noto e l’ignoto, il temporale e l’eterno, il vecchio e il nuovo. Nessun altro può affrontare per noi questo impegno: siamo l’unico accesso a un mondo interiore.

Questa sanità è anche santità: essere santi significa essere naturali, amare i mondi che giungono a equilibrio in noi. Dietro alla facciata di immagine e distrazione, ogni persona è un artista in questo primario e ineludibile senso: ciascuno di noi è destinato e privilegiato a essere l’artista interiore che possiede un mondo unico e gli dà forma.

La presenza umana è un sacramento creatore e tumultuoso, un segno visibile della grazia invisibile. In nessun altro luogo esiste un accesso così intimo e spaventoso al mistero. L’amicizia è la dolce grazia che ci rende liberi di avvicinare, riconoscere e abitare questa avventura. Questo libro vuole essere uno specchio inclinato che ci permetta di intravedere la presenza e la potenza dell’amicizia interiore ed esteriore.

L’amicizia è una forza creatrice e sovversiva, o pretende che l’intimità sia la legge segreta della vita e dell’universo. Il viaggio dell’uomo è un continuo atto di trasfigurazione; se lo accostiamo nell’amicizia, ciò che è ignoto, impersonale, negativo e minaccioso a poco a poco rivela la sua segreta affinità con noi.

In quanto artista, l’uomo è sempre attivo nella rivelazione. L’immaginazione è la grande amica dell’ignoto, incessantemente essa invoca e libera la potenza del possibile. L’amicizia, dunque, non deve essere ridotta a un rapporto esclusivo o sentimentale; è una forza ben più estesa e intensa.

Il pensiero dei celti non fu deduttivo nè sistematico. Nella loro speculazione lirica, tuttavia, essi portarono a espressione la sublime unità di vita ed esperienza. Il pensiero celtico non era oppresso dal dualismo, non separava quanto si appartiene. L’immaginazione celtica esprime chiaramente l’amicizia interiore che stringe in un unico abbraccio Natura, divinità, mondo sotterraneo e mondo umano. Il dualismo che separa il visibile dall’invisibile, il tempo dall’eternità, l’umano dal divino era totalmente estraneo a loro; il sentimento di un’amicizia ontologica produceva un mondo di esperienza permeato di una ricca trama di differenza, ambivalenza, simbolismo e immaginazione. Per la nostra dolorosa e tormentata separazione, la possibilità di questa amicizia ricca di fantasia e unificante è il dono dei celti.

La concezione celtica dell’amicizia tova ispirazione culmine nella sublime nozione dell’anam cara. Anam è la parola gaelica per anima; cara quella per amico. Anam cara significa perciò anima- amica. L’anam cara era una persona cui si potevano confidare i segreti più intimi della propria vita; questa amicizia era un atto di riconoscimento e appartenenza. Se si aveva un anam cara, l’amicizia sfidava ogni convenzione e categoria.

Prendendo ispirazione da ciò, nel Primo capitolo esploreremo l’amicizia tra le persone, dove è centrale il riconoscimento e il risveglio dell’antica appartenenza tra due amici. Poiché il cuore dell’uomo non è mai nato definitivamente, l’amore è il continuo nascere della creatività dentro e fra di noi. Esamineremo il desiderio come presenza del divino, e l’anima come dimora dell’appartenenza.

Nel Secondo capitolo delineeremo una spiritualità dell’amicizia con il corpo. Il corpo è la nostra casa di argilla, la nostra unica dimora nell’universo. Il corpo è nell’anima: questo riconoscimento gli conferisce una dignità sacra e mistica. I sensi sono soglie divine: una spiritualità dei sensi è una spiritualità della trasfigurazione.

Nel Terzo capitolo affronteremo l’arte dell’amicizia interiore. Quando cessiamo di temere la solitudine, una nuova creatività si risveglia in noi; il benessere interiore, dimenticato o trascurato, inizia a rivelarsi. Facciamo ritorno a casa dentro di noi e impariamo a restarvi. I pensieri sono i nostri sensi interiori; permeati di silenzio e solitudine, portano alla luce il mistero del paesaggio interiore.

Nel Quarto capitolo rifletteremo sul lavoro come poetica di crescita. L’invisibile anela a farsi visibile, a esprimersi nelle nostra azioni. È questo il recondito desiderio alla base del lavoro. Quando la nostra vita interiore può mostrarsi amica del mondo esterno del lavoro, una nuova immaginazione si risveglia e grandi cambiamenti hanno luogo.

Nel Quinto capitolo affronteremo la nostra amicizia con la vecchiaia, il Tempo del raccolto della vita. Studieremo la memoria come il luogo in cui nostri giorni svaniti si raccolgono in segreto, e comprenderemo che il cuore appassionato non invecchia. Il tempo è l’eternità che vive pericolosamente.

Nel Sesto capitolo metteremo alla prova l’amicizia necessaria con il nostro compagno originario e definitivo: la morte che, invisibile, fin dalla nascita cammina con noi sul sentiero della vita. La morta è la grande ferita dell’universo, l’origine di ogni paura e negatività. L’amicizia con la nostra morte ci permetterà di celebrare l’eternità dell’anima che la morte non può colpire.

L’immaginario dei celti amava il cerchio, riconosceva come il ritmo dell’esperienza, della natura e della divinità seguisse un modello circolare. Anche la struttura di questo libro segue il ritmo circolare: si apre affrontando l’amicizia come risveglio ed esplora poi i sensi come soglie immediate e creatrici. Ciò pone il fondamento per una valutazione positiva della solitudine, che a sua volta cerca espressione nel mondo esterno del lavoro e dell’azione. Man mano che le nostre energie esterne diminuiscono, siamo messi di fronte al compito dell’invecchiamento e della morte. Questa struttura segue il circolo della vita che si dirige a spirale verso la morte e tenta di illuminare il profondo invito che essa offre.

Questi capitoli si chiudono in cerchio attorno a un nascosto, silenzioso Settimo capitolo, che abbraccia l’antico innominato nel cuore della personalità umana. Qui ha sede l’indicibile, l’ineffabile. In sostanza, questo libro ricerca una fenomenologia dell’amicizia in forma lirico-speculativa, prendendo ispirazione dall’implicita e lirica metafisica della spiritualità celtica. Più che una frammentaria analisi erudita, si propone come una riflessione in qualche modo più ampia, un colloquio interiore con l’immaginario celtico, nel tentativo di tematizzarne l’implicita filosofia e spiritualità dell’amicizia. —

– Estratto da “Anam Cara”, di John O’Donohue – edizione italiana Corbaccio (al momento fuori catalogo) Traduzione di Annalisa Agrati

John O’Donohue (1956-2008)

(Vedi anche – Nel mondo eterno, tempo e spazio sono diversi?)

Cercare l’armonia, Taoist Master A. Huang (estratto) (Libro)

05 mercoledì Ago 2020

Posted by Paola in I Ching, Libri, Master Huang, Percorsi spirituali, Taoismo

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Cercare l’armonia, Maestro Taoista Alfred Huang – estratto da “Understanding the I Ching” (Alfred Huang, 2014) (Libri)

Dalla Prefazione

In quanto cinese, considero l’I Ching come la Bibbia della Cina. Come l’acqua ha la sua fonte e gli alberi le loro radici, l’I Ching è la fonte e le radici della cultura cinese. Considero le Otto Ali scritte da Confucio e dai suoi discepoli come la migliore interpretazione dell’ I Ching, poiché Confucio e i suoi discepoli vissero dopo solo 500 anni dall’apparizione dell’I Ching di Re Wen.

Credo che l’I Ching sia una raccolta d’infinita saggezza delle esperienze delle antiche genti, esperienze che si sono accumulate nel corso di migliaia d’anni e sono state trasmesse oralmente di generazione in generazione. Dopo aver raccolto tutto il meglio di queste influenze, aggiungendo le sue esperienze di vita e la sua filosofia, Re Wen compose l’I Ching della dinastia Zhou (1).

Avevo sedici anni quando mio nonno, il mio mentore, mi introdusse all’I Ching. Mi parlò dei sei draghi che volano nel cielo e della giumenta che galoppa nella vasta pianura, il primo e il secondo esagramma – (1) Qian e (2) Kun – dell’I Ching. Mi spiegò dettagliatamente le quattro figure cinesi di yuan, heng, li e zhen, i principi guida dell’I Ching (2).

Mi disse che la maggior parte delle persone considera l’I Ching come un manuale per predire la fortuna, ma che in realtà l’I Ching è un libro che porta le persone a praticare un modo di pensare sincero e un comportamento appropriato. Chiunque pensi e agisca in accordo con le istruzioni dell’I Ching è un uomo o una donna superiore o, come si direbbe oggi, un gentiluomo o una gentildonna. Vivendo secondo i principi dell’I Ching si ottiene buona sorte e si evita sventura.

Mio nonno sottolineava anche che l’I Ching indirizza le persone a formare un’atteggiamento positivo che può essere espresso come: “il Cielo agisce con vitalità e perseveranza, la persona superiore mai cessa di mantenersi forte; e “la natura della Terra è rispondere con sottomissione, la persona superiore accresce la sua virtù per sostenere tutti gli esseri.” Come detto ugualmente da Lao Tzi: “Gli uomini seguono la Terra, la Terra segue il Cielo, il Cielo segue il TAO e il TAO segue la Natura.”

Una volta mio nonno mi parlò dell’anima dell’I Ching, e mi disse: “L’anima dell’I Ching è Cercare Armonia, il tredicesimo gua. Il tema principale dell’I Ching è cercare l’armonia, cosa che si dovrebbe perseguire con totale mancanza di egoismo e tenendo in considerazione i migliori interessi della maggioranza.”

Quando venni imprigionato nel 1966, fu in luogo orribile come mai avrei potuto immaginare. Come dovevo comportarmi con tutte le altre persone che a quel tempo avevo intorno a me? Mi ricordai ciò che l’I Ching insegnava e ciò che Confucio aveva spiegato. Il Maestro aveva detto: “Ho sentito dire che l’uomo superiore non è di parte”, e poi anche: “L’uomo superiore si contiene e non è mai litigioso; è socievole, ma non si asserra in un gruppo”. Grazie a Dio, durante i ventidue anni della mia reclusione ai lavori forzati, sono riuscito a non tradire nessuno dei miei amici e a non riportare nulla contro di essi alle autorità, sia all’interno o all’esterno della prigione… specialmente quando venivo interrogato dai mandanti governativi che mi chiedevano di riferire parole o atti dei miei compagni che fossero contro il governo o il partito. Ero estremamente felice perché quella era l’unica occasione che avevo di parlare liberamente in accordo con la mia libera volontà “riferendo” al governo tutte le buone parole e azioni dei miei amici.

Il raccolto più prezioso di quei ventidue anni di prigionia e abusi fu di aver sempre confidato nella guida Divina, essere stato come una giumenta: “Predefinendo, si perde; Seguendo, si riceve un maestro”, in accordo con il secondo esagramma dell’I Ching.

In merito alla sottomissione della giumenta, mio nonno era solito dire: “Si dovrebbe obbedire a ciò che il Divino guida.”.

Ricordo ancora il giorno in cui venni liberato e uscii di prigione. Non appena varcato il cancello, dissi una preghiera: “Caro Dio, ho superato l’esame!”

Non ho mai pensato che fosse una sofferenza ma, piuttosto, l’ho considerato un addestramento!

– Estratto da “Understanding the I Ching”, Taoist Master Alfred Huang

Traduzione: Paola

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(1) Prima dell’I Ching di Re Wen, ci furono altri due I: l’I della dinastia Xia (2005-1766 a.C.) e l’I della dinastia Shang (1766- 1122 a.C.). Sfortunatamente, di questi due libri precedenti sono rimasti solo dei frammenti.

(2) Yuan, heng, li e zhen: i quattro attributi di Cielo e Terra. Tradotti possono assumere il significato di spuntare, crescere, fiorire e fruttificare. Ciascuno di questi quattro attributi lascia il passo al successivo secondo il cambio delle stagioni, ciclicamente e ripetutamente.

Altro di Master Huang

Fondamento dell’interesse, I. Shah

16 martedì Giu 2020

Posted by Paola in Filosofia, Inserimenti, Libri, Percorsi spirituali, Spiritualità

≈ Commenti disabilitati su Fondamento dell’interesse, I. Shah

Fondamento dell’interesse, Idries Shah (estratto da: Imparare a imparare – Psicologia e spiritualità sulla Via del Sufi, Ubaldini Editore, 1993)

Qualcuno vuole sapere perchè è così difficile incontrarmi, e desidera anche che sia pubblicamente riconosciuta la mia “conoscenza nel campo spirituale”. Per ciò che riguarda la prima domanda, non è facile nè difficile; è semplicemente una questione di cifre, per me come per chiunque.

Se prendiamo come base una giornata di otto ore e una settimana di sette giorni, ne risulta che in un anno – a patto di incontrare quotidianamente una persona ogni ora, e di non fare altro che avere con ciascuna di esse un colloquio di un’ora – potrei ricevere poco meno di tremila visitatori all’anno, e ciascuno una volta sola. Ora, il numero di coloro che, nel corso di un anno, manifestano il desiderio di “parlarmi”, varia da novemila a trentamila, e se ogni anno accettassi di ricevere ciascuno dei richiedenti solo due volte, potrei soddisfare solo millecinquecento domande circa. Benchè le domande che desiderano pormi siano sempre considerate importanti, noto che l’urgenza diminuisce, misteriosamente, durante le festività e le vacanze estive…

Dopotutto, può darsi che se non facessi altro che ricevere per un’ora al giorno ogni persona che vuole vedermi, la situazione che si creerebbe porterebbe in se stessa la sua soluzione: diventeri così noioso, così incompetente, così esaurito, che la gente avrebbe sempre meno voglia di vedermi e così finirei per recuperare la mia libertà.

Allora, anzichè dover fare così, perchè non attenermi alla situazione presente, tanto più che non mancano individui felicissimi di vedersi circondati da orde e da gruppi che assorbono la loro saggezza dalla mattina alla sera?

Sono stasto criticato per aver detto questo. Si dice che questi “saggi” suscitino sempre insoddisfazione nella maggior parte dei loro discepoli, i quali – di conseguenza – passano da un guru all’altro. Se dovessi comportarmi in questo modo susciterei anch’io insoddisfazione, quando i discepoli si sarebbero stancati di vedermi continuamente e ritualmente seduto a recitare la parte del grande guru.

Io non ho nè la formazione nè la vocazione per entrare in questa giostra.

L’attività che consiste nel “vedere gente” è un’attività socio-psicologica, fatto che tutti questi “cercatori” sembrano ignorare in quanto la scambiano volentieri per una “attività spirituale”, che ovviamente non è. Coloro che amano raggrupparsi in questo modo sono tenuti a dimostrare che tale raggruppamento è una “attività spirituale”, altrimenti continueranno ad associarsi a coloro che cercano l’adulazione, la cui seconda caratteristica sembra essere molto spesso quella di non sopportare la solitudine troppo a lungo.

Quando ero giovane, il mio Maestro mi disse: “Se fosse sufficiente radunarsi per raggiungere l’illuminazione, i granelli di sabbia sarebbero diventati tutti santi, gli stormi di uccelli si disperderebbero e ogni membro dello stormo diverrebbe un Maestro spirituale, e le pecore eserciterebbero la funzione di illuminati. Allo stesso modo, se vedessimo i meno illuminati raggrupparsi attorno a cose o a persone ritenute da essi strane, interessanti o eccitanti, non avremmo sotto gli occhi un assembramento di curiosi, ma l’assemblea degli eletti…”.

Quanto alle mie “conoscenza spirituali”, ecco ciò che diceva lo Sceicco Abu-Ishaq, dell’Isola Verde (presso Algesiras, in Spagna) a Ibn el-Arabi:

“Io classifico la gente in due categorie: anzitutto c’è l’amico che ha una buona opinione di me, e ne parla bene. È un amico. Poi c’è chi parla male di me, ed è colui che parla del mio stato spirituale”.

– Idries Shah, Imparare a imparare – Ubaldini Editore

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Idries Shah (1924-1996) – Scrittore britannico, autore di alcune decine di libri di argomento psicologico e spirituale, ma anche di diari di viaggio e di studi culturali. Nel 1960 ha fondato una casa editrice chiamata Octagon Press, presentando traduzioni dei classici sufi e titoli originali. Nei suoi scritti Shah presentò il Sufismo come una forma di sapienza universale precedente all’Islam, e ponendo l’enfasi sulla dinamicità del Sufismo, la cui natura non statica sempre si adatta al tempo presente, in accordo al luogo e alla gente coinvolta. Egli formulò il suo insegnamento in termini psicologici comprensibili ad un pubblico occidentale.

Riso, Deng Ming-Dao

01 domenica Mar 2020

Posted by Paola in Deng Ming-Dao, Filosofia, Inserimenti, Percorsi spirituali, Taoismo

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Mi. Riso, seme. La croce è la rappresentazione di una pianta che sta crescendo. I quattro segni rappresentano i grani di riso. Tutta la vita inizia da un seme. Se vogliamo seguire la vita, dobbiamo solo seguire il corso del seme a seme.

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Gli antichi, porgendo agli studenti una manciata di semi da studiare, dicevano: “Senza piantare, non c’è messe. Senza coltivare, non c’è raccolto. Senza raccolto, non c’è sostentamento. E senza umiltà, a nulla servirebbero i semi.”

La coltivazione del riso comporta molte cose prima di poterlo consumare come cibo. Comporta piantare e operare in concerto con gli elementi. Comporta una cura attenta e molta pazienza. Comporta saper quando trapiantare e quando raccogliere. Operare attraverso tutte queste fasi richiede soprattutto una virtù: l’umiltà. Ci si deve chinare verso il terreno. Si deve guardare in basso per spargere i semi. Si deve camminare nel fango per trapiantare. Si devono osservare le stagioni e il tempo. Si devono accettare gli incidenti e le tempeste. Si deve attendere la maturazione.

Per coltivare il riso, non si può essere orgogliosi. Gli antichi insegnavano tutto questo ai loro studenti con una manciata di riso. Li guidavano nel corso delle stagioni e, così facendo, insegnavano loro la via.

A ciascuno di noi occorre umile diligenza per rendere la nostra vita matura.

– Estratto da: Everyday TAO, Deng Ming-Dao – HarperOne Publishing [trad. Paola]

Il “Wyrd”, estratto da Wikipedia

20 lunedì Gen 2020

Posted by Paola in Inserimenti, Percorsi spirituali, Realtà Parallele, Spiritualità, Stati altri di coscienza, Tempo

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Deriva dal protogermanico *wurdís, “fato”, radice dell’alto tedesco antico wurt e del norreno urðr, che si ritrova nel nome di una delle Norne e del pozzo sacro Urðarbrunnr (il termine norreno per “fato” era Ørlog). (…)

Il significato basilare del Wyrd si riferisce a come le azioni passate influenzino e condizionino continuamente il futuro. Ma anche come il futuro influenzi il passato. Tutte le azioni di tutti i tempi si influenzano a vicenda.

Si ipotizza che, al contrario del Fato, il Wyrd sia tutt’altro che immobile ed immutabile: non si ripete mai allo stesso modo, non è il destino individuale, ma piuttosto una rete che collega ogni elemento ed ogni creatura dell’universo, e non conosce distinzioni tra passato e futuro. Niente veniva escluso da questa visione, e ciò che fosse ritenuto negativo o distruttivo, pur essendo allontanato o combattuto, era considerato in ogni caso parte del Wyrd.

Ne deriva che qualsiasi azione personale va ad influire direttamente sul wyrd degli altri individui: ogni decisione, presa nel presente, genera un’eco che si propaga non solo nel futuro, ma anche nel passato, giacché nell’essere umano coesistono passato, presente e futuro.

Ogni azione che è, influenza ciò che sarà e ciò che è stato; ogni azione che è stata, influenza ciò che è e ciò che sarà; ogni azione che sarà, influenza ciò che è stato e ciò che è. Ma non solo: ogni azione influirà sul wyrd altrui, e quindi su presente, passato e futuro altrui. Tutto l’universo di tutti i tempi, in questo modo, sarebbe stretto nella medesima, inestricabile, rete.  (…)

Fonte: Wikipedia

La mistica del linguaggio, G. Scholem (Libro, estratto)

07 sabato Dic 2019

Posted by Paola in Filosofia, Libri, Linguaggio, Percezione, Percorsi spirituali, Spiritualità, Stati altri di coscienza

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La mistica del linguaggio, Gershom Scholem – estratto da “Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio”, Ed. Adelphi

… La rivelazione, secondo la dottrina della Sinagoga, è un evento acustico, non visivo, o per lo meno ha luogo in una sfera connessa metafisicamente con la dimensione acustica, sensoriale. Questo carattere viene sottolineato di continuo richiamando le parole della Torah (Dt 4,12): “Non avete visto alcuna immagine, soltanto una voce.” Quale significato abbia questa voce e che cosa in essa venga a espressione, è la domanda che il pensiero religioso ebraico non si è mai stancato di riproporsi.

Il legame inscindibile che unisce il concetto di verità della rivelazione e quello di linguaggio – poichè la parola di Dio, se mai l’uomo possa farne esperienza, si rende percepibile proprio nel medium del linguaggio umano – è certo una delle eredità più importanti, anzi forse la più importante, che l’ebraismo abbia lasciato nella storia della religione.

Nelle pagine che seguono ci proponiamo di interrogare la letteratura e il pensiero dei mistici ebrei per apprendere che cosa hanno da insegnarci al riguardo. Il punto di partenza di tutte le teorie mistiche del linguaggio, e perciò anche di quelle cabbalistiche, è la convinzione che il linguaggio, ossia il medium in cui si compie la vita spirituale dell’uomo, possieda un lato interno, un aspetto, che non si lascia ridurre alla pura comunicazione fra gli esseri.

L’uomo si esprime, cerca di farsi intendere dai suoi simili, ma in tutti questi tentativi vibra qualcosa che non è soltanto segno, comunicazione, significato ed espressione. Il suono che è alla base di ogni lingua, la voce che le dà forma, che la forgia elaborandone il materiale sonoro, in questa prospettiva sono già prima facie assai più di quanto entri nella comunicazione.

L’antico problema che da Platone ad Aristotele ha poi diviso i filosofi – se cioè il linguaggio si fondi su una convenzione, un accordo, o sulla natura interna degli esseri – ha sempre avuto sullo sfondo questo aspetto indecifrabile del linguaggio. Ma se il linguaggio è più della comunicazione ed espressione verbale, per come l’intendono i linguisti, se l’elemento sensibile, grazie alla cui pienezza e profondità esso prende forma, possiede quell’aspetto ulteriore che ho chiamato il suo lato interno, sorge allora la domanda: che cos’è questa dimensione “segreta” del linguaggio sulla quale da sempre i mistici concordano, da quelli dell’India e dell’Islam fino ai cabbalisti e a Jakob Boehme? La risposta è chiara: questa dimensione è determinata dal carattere simbolico del linguaggio.

Nel definire questo aspetto simbolico le teorie mistiche percorrono spesso strade divergenti. Che però qui, nel linguaggio, venga comunicato qualcosa che oltrepassa la sfera che rende possibili espressione e forma – qualcosa di inespresso che vibra in fondo a ogni espressione, qualcosa che si mostra solo per simboli e che traspare, per così dire, attraverso le fessure del mondo espressivo – è questa le tesi di fondo che ritorna in tutte le teorie mistiche del linguaggio, ed è insieme l’esperienza da cui esse hanno tratto alimento, rinnovandosi fino alla nostra generazione. (In questo senso Walter Benjamin è stato a lungo un puro mistico del linguaggio.)

Il mistico scopre nel linguaggio una dignità, una dimensione immanente o, come si direbbe oggi, un aspetto strutturale che mira non tanto a comunicare qualcosa di comunicabile, quanto piuttosto – e su questo paradosso si fonda il simbolismo – a comunicare qualcosa di non-comunicabile, qualcosa che rimane inespresso e che, se mai si potesse eprimere, non avrebbe comunque un significato, un “senso”, comunicabile. (…)

I mistici si sono sempre arrovellati su come possa il linguaggio degli dèi o di Dio intrecciarsi con la lingua parlata e come si possa districarlo da quell’intreccio. Da sempre essi hanno avvertito nella lingua un abisso, una profondità, e si sono prefissi di misurarli, di attraversarli e di superarli. (…)

– Estratto da: Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, Gershom Scholem, ed. Adelphi

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