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Archivi della categoria: Percezione

Le lingue modificano il modo in cui guardiamo il mondo?, F. Batisti (da Il Tascabile)

05 venerdì Nov 2021

Posted by Paola in Linguaggio, Percezione, Società

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Immaginate di essere ospiti a casa di qualcuno per un tè. Passato un po’ di tempo chiedete dov’è il bagno e il padrone di casa vi dice “dopo il corridoio gira a sud, poi la seconda porta a ovest”. Con tutta probabilità siete in casa di una persona che parla una lingua diversa dalla vostra, una delle molte di lingue che si basano su un sistema di coordinate spaziali geografiche, “assolute” invece che “egocentriche” come quelle a cui siamo abituati (per cui il bagno è “dopo il corridoio a destra, poi la seconda porta a destra”). Secondo l’antropologo Stephen Levinson, che ha studiato le conseguenze cognitive della descrizione spaziale nella lingua guugu yimithirr, popolazione aborigena australiana, chi parla questo genere di lingue è costretto a costruirsi una sorta di “bussola mentale” per soddisfare la richiesta di essere costantemente a conoscenza della direzione cardinale in cui si è orientati – e finisce per ricordarla anche a distanza di anni, quando racconta qualche evento che ha vissuto.

La struttura di una lingua richiede di rispettare determinate regole per poter essere parlata in maniera coerente e comprensibile. Ciò che tutti noi facciamo imparandone una qualsiasi è abituarci lentamente ma inesorabilmente a fare nostre queste “richieste” e ciò, verosimilmente, lascia un segno permanente nei meccanismi della nostra mente. Possiamo dire che le lingue impongono ai propri parlanti un’immagine della realtà che è diversa da lingua a lingua? Che una lingua può cambiare la comprensione dei concetti più basilari di chi la parla, come lo scorrere del tempo, la posizione degli oggetti, la dinamica degli avvenimenti?

L’affascinante e controversa idea che ciascuna lingua contribuisca a costruire la realtà oggettiva dei propri parlanti è stata chiamata nei primi decenni del Novecento “relatività linguistica”, in un audace tentativo di analogia con la relatività in fisica, che in quegli anni aveva dato grande popolarità ad Albert Einstein. Senza scendere nei dettagli della sua genesi, possiamo dire che quest’idea viene etichettata ancora oggi come “ipotesi Sapir-Whorf”, dal nome del linguista Edward Sapir e del suo allievo Benjamin Lee Whorf, a dispetto del fatto che né i due formularono una singola proposta nettamente identificabile come tale, né tantomeno lo fecero congiuntamente. Di solito, ad essere riconosciuto come padre del “principio di relatività linguistica” è infatti il solo Whorf, noto per la sua eclettica vita intellettuale. Studiò ingegneria chimica all’MIT senza brillare e per mantenersi, in seguito, lavorò come perito chimico per una società di assicurazioni. Infine si iscrisse a Yale seguendo le lezioni di linguistica di Sapir, di cui finì addirittura per rilevare la cattedra a ridosso della morte, prima che lo stesso Whorf morisse prematuramente di cancro. Whorf si avvicinò allo studio del linguaggio tramite la lettura di testi settecenteschi d’ispirazione cabalistica che ravvisavano un rapporto speciale tra lingua e misticismo, e per quanto negli anni di Yale fosse rientrato, per così dire, nei binari della linguistica scientifica del tempo (tanto che svolse approfondite ricerche sul campo studiando lingue di comunità native meso e nordamericane), l’interesse per il mistico non lo abbandonò mai: il suo ultimo saggio, Language, Mind, and Reality, pubblicato postumo, apparve su una rivista indiana di teosofia. (continua)

Testo integrale: https://www.iltascabile.com/scienze/lingua-pensiero-realta/

La scomparsa dei riti, Byung-Chul Han (Libro)

30 sabato Ott 2021

Posted by Paola in Filosofia, Libri, Percezione, Personaggi, Società, Storia, Tempo

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La scomparsa dei riti, Byung-Chul Han – Edizioni Nottetempo (estratto)

I riti sono azioni simboliche. Tramandano e rappresentano quei valori e quegli ordinamenti che sorreggono una comunità. Creano una comunità senza comunicazione, mentre oggi domina una comunicazione senza comunità. A costituire i riti è la percezione simbolica. Il simbolo (dal greco symbolon) indica originariamente il segno di riconoscimento tra ospiti (tessera hospitalis) L’ospite spezza a metà una tavoletta di argilla e ne dà un pezzo all’altra persona in segno di ospitalità. In tal modo il simbolo serve per il riconoscimento. Questa è una forma particolare di ripetizione:

“Riconoscere non è vedere di nuovo qualcosa. I riconoscimenti non sono una serie di incontri, ma riconoscere significa piuttosto: conoscere qualcosa per ciò che ci è già noto. E costituisce l’autentico processo dell’”accasamento” (Einhausung) umano – una parola di Hegel, che voglio usare in questo caso – il fatto che ogni riconoscimento sia sciolto dalla contingenza della prima presa di conoscenza e sia elevato all’idealità. Noi tutti lo sappiamo assai bene. Nel riconoscimento è implicito il fatto che ora si conosce più propriamente di quanto si potesse fare nella confusione momentanea del primo incontro. Il riconoscere vede il permanente nel fuggevole. [Charles Taylor, Il disagio della modernità]

La percezione simbolica, intesa come riconoscimento, percepisce ciò che dura: il mondo viene liberato dalla propria contingenza e ottiene un che di permanente. Oggi il mondo è assai povero di simboli: i dati e le informazioni non possiedono alcuna forza simbolica, per cui non consentono il riconoscimento. Nel vuoto simbolico si perdono quelle immagini e quelle metafore capaci di dare fondamento al senso e alla comunità stabilizzando la vita. L’esperienza della durata si attenua, mentre la contingenza aumenta radicalmente.

I riti si lasciano definire nei termini di tecniche simboliche dell’accasamento: essi trasformano l’essere-nel-mondo in un essere-a-casa, fanno del mondo un posto affidabile. Essi sono nel tempo ciò che la casa è nello spazio. Rendono il tempo abitabile, anzi lo rendono calpestabile come una casa. Riordinano il tempo, lo aggiustano. (…)

Oggi al tempo manca una struttura stabile. Non è una casa, bensì un flusso incostante: si riduce a una mera sequenza di presente episodico, precipita in avanti. Nulla gli offre un sostegno, e il tempo che precipita in avanti non è abitabile.

I riti stabilizzano la vita. Parafrasando Antoine de Saint-Exupèry, potremmo dire che i riti sono nella vita ciò che le cose sono nello spazio. Per Hannah Arendt è la resistenza delle cose a offrire loro un’”indipendenza dagli uomini”. Le cose hanno “la funzione di stabilizzare la vita umana”. La loro oggettività sta nel fatto che “gli uomini, malgrado la loro natura sempre mutevole, possono ritrovare il loro sé”, cioé la loro identità, “riferendosi alla stessa sedia e allo stesso tavolo”. [Richard Sennett, Il declino dell’uomo pubblico]

Le cose sono il punto fermo, stabilizzante della vita. I riti hanno la medesima funzione: stabilizzano la vita per mezzo della proprio medesimezza (Selbigkeit), della loro ripetizione (Wiederholung). Rendono, dunque, la vita resistente. L’odierna coazione a produrre sottrae alle cose la loro resistenza: essa distrugge consapevolmente la durata allo scopo di produrre di più, di costringere a un maggior consumo. L’indugiare, d’altro canto, presuppone cose che durano; se le cose vengono solo usate e consumate, ecco che indugiare diventa impossibile. E dal momento che la stessa coazione a produrre destabilizza la vita smontando ciò che dura nella vita, essa distrugge anche la resistenza della vita, sebbene quest’ultima si allunghi. (…)

Sono le forme rituali che, come la cortesia, rendono possibile non solo un bel rapporto interpersonale, ma anche un bel rapporto delicato con le cose. Nel quadro rituale, le cose non vengono consumate o spese, bensì usate – così possono anche invecchiare. In preda alla coazione a produrre, ci rapportiamo alle cose e al mondo non come utilizzatori, bensì come consumatori. Di ritorno, le cose e il mondo consumano noi. Il consumo senza scrupoli ci attornia insieme alla sparizione, che destabilizza la vita. Le pratiche rituali fanno sì che ci rapportiamo armoniosamente non solo con le altre persone, ma anche con le cose…

Indice: – Avvertenza  – Coazione a produrre  – Coazione all’autenticità  – Rituali di chiusura  – Festa e religione  – La vita in gioco  – La fine della Storia  – L’impero dei segni  – Dal duello alla guerra coi droni  – Dal mito al dataismo  – Dalla seduzione al porno

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– Byung-Chul Han (Seul, 1959), è un filosofo e docente sudcoreano che vive in Germania. I suoi interessi vanno dall’etica alla filosofia sociale, dalla fenomenologia all’antropologia, dall’estetica alle comunicazioni di massa, in particolare nel campo dei cultural studies e in chiave interculturale, prestando attenzione a fenomeni globali e contemporanei. [Wikipedia]

Negli abissi luminosi, A. Tonelli (Libro)

06 mercoledì Ott 2021

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Libri, Percezione, Percorsi spirituali, Personaggi, Realtà Parallele, Spiritualità, Storia

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Negli abissi luminosi. Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia antica, a cura di Angelo Tonelli – Edizioni Feltrinelli (2021)

Estratti dall’Introduzione

Nella nostra epoca – contrassegnata dal trionfo della tecnica e della scienza sempre più saldate in un binomio che esalta la dimensione della razionalità funzionale – è già in atto una scissione dell’interiorità, che è destinata a crescere esponenzialmente con la rivoluzione cibernetica in corso di intensificazione, rivoluzione che costringe e costringerà sempre di più gli umani a potenziare il “pensiero meccanico”, ovvero un lógos riduttivo e segmentato, privato del suo respiro cosmico, a tutto svantaggio di quella che Jung chiamava anima, e di quello che i Greci chiamavano noûs. (…)

In altri termini, in Occidente e nel resto del mondo assoggettato al modello occidentale, si è assistito nel corso della storia e negli sviluppi della cultura, ovvero della mente collettiva, a un progressivo “furto d’organo”: ovvero a una castrazione antropologica dell’umanità, vale a dire all’amputazione del centro più profondo degli individui che li connette all’armonia segreta del cosmo. Ciò è avvenuto attraverso il silenziamento, o la caricatura o la ghettizzazione di tutte le esperienze mistiche, iniziatiche, sapienziali ben radicate nel nostro Occidente greco e magnogreco, a sua volta originariamente connesso con il sostrato sciamanico e sapienziale eurasiatico. In questo consiste l’inattuale attualità delle esperienze sciamaniche, mistiche e sapienziali di cui qui si tenta di offrire una significativa sintesi al lettore che non si accontenti di una politematica escursione nell’antropologia del mondo antico, ma miri a cogliere vertici coscienziali e abissi luminosi e numinosi che i nostri padri e madri spirituali sapevano elicitare ora in lampeggiamenti e folgorazioni estatiche, ora in vertigini mistiche e iniziatiche. E condensarle nelle voci più alte della Sapienza, da Pitagora a Eraclito a Empedocle a Parmenide. E altri ancora. (…)

Per i Greci il noûs, già in Parmenide, Eraclito, Empedocle, e poi in Aristotele, Platone, e ancora più tardi in Plutarco, negli Oracoli caldaici e nel Neoplatonismo, è l’intuizione profonda, l’“occhio dell’anima”, il fulcro dell’interiorità individuale che tutto connette e ricompone nel Grande Uno. È il distillato sapienziale di esperienze – e non percorsi intellettuali – sciamaniche, meditative, contemplative che coinvolgono sangue e sentire, pensiero ed emozione dilatando i confini dell’organismo psicocorporeo ed egoico (il luogo del principium individuationis) fino a traboccare – nella trance dionisiaca, nell’ékstasis apollinea – in un Oltre che è interiorità profonda del singolo che si rovescia in profonda cosmicità del medesimo: coscienza oceanica, luogo in cui il singolo coincide con l’Uno, o meglio in cui l’Assoluto che è nel singolo è ipso facto l’Assoluto che è nell’Uno e di cui l’Uno è nome, perché dell’Assoluto non si può predicare nulla.

A questo stato di coscienza approssimano lo sciamanesimo e le esperienze di trance ed estasi della Grecia antica, ma anche musica e danza e poesia, con diversi gradi di intensità, e diversi approcci. (…)

(Testi originali latino e greco a fronte)

Indice
– Introduzione – Dioniso – Coribanti, musica e manìa – Oracoli e sciamanesimo apollineo – I misteri di Samotracia – Epimenide – Abaris – Ermotimo – Aristea – Zalmoxis – Appendice iconografica

Angelo Tonelli – (1954) poeta, autore e regista teatrale, tra i massimi grecisti viventi, ha studiato Filosofia Antica a Pisa con Giorgio Colli. Ha pubblicato tra l’altro diverse opere di poesia e saggi. Per i “Classici” di Feltrinelli ha tradotto e curato Dell’Origine (1993) di Eraclito, La terra desolata. Quattro quartetti (1995) di T.S. Eliot, il primo volume di Le parole dei Sapienti (2010), dedicato a Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso e il volume Eleusis e Orfismo (2015)

Un universo in costante evoluzione, Trinh Xuan Thuan (estratto)

22 domenica Ago 2021

Posted by Paola in Filosofia, I Ching, Neoscienze, Percezione, Taoismo

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L’idea di una costante interazione tra il Vuoto e il Pieno, cioè tra il non essere e l’essere, implica una trasformazione incessante dei fenomeni naturali. Poiché il vuoto evolve in permanenza verso il Pieno e viceversa, niente può essere eterno e immutabile. Questa idea della trasformazione incessante ha fatto la sua comparsa molto presto e la rinveniamo per esempio nell’I Ching o Libro dei Mutamenti. Considerato uno dei testi più importanti del pensiero universale, l’I Ching risale al primo millennio a.C. Distilla l’essenza di millenni di saggezza cinese ed è composto tra le altre cose da sessantaquattro segni, chiamati «esagrammi» (un esagramma è una serie di sei linee), che si basano sul simbolismo dello Yin e dello Yang, ovvero del Pieno e del Vuoto, e che erano utilizzati in origine per gli oracoli. Negli esagrammi il Pieno, associato allo Yang, è rappresentato dal tratto continuo, mentre il Vuoto, associato allo Yin, consta di una linea spezzata, ossia di due trattini separati da uno spazio. È questo Vuoto il responsabile delle trasformazioni dell’universo. Gli esagrammi rappresentano, in pratica, l’impermanenza del cosmo, il movimento dei fenomeni naturali nelle loro trasformazioni. Come i segni si mutano in continuazione gli uni negli altri, i fenomeni evolvono continuamente da una forma all’altra. L’I Ching, come in seguito i testi taoisti, tenta dunque di descrivere sia i cambiamenti incessanti della natura, sia le non meno mutevoli e oscillanti relazioni umane.

L’idea di un mutamento perpetuo è in armonia con quello che dice la cosmologia moderna: contrariamente a quanto asseriva la concezione aristotelica, l’universo è in costante evoluzione. Aristotele era convinto che il cielo, regno degli dèi, fosse perfetto e che niente potesse cambiare, perché ciò che era perfetto non poteva essere migliorato. Ancora negli anni Cinquanta del Novecento, la teoria cosmologica dell’universo stazionario sosteneva che, in media, l’universo non cambiasse né nel tempo né nello spazio. Solo nel 1965, dopo la scoperta della radiazione fossile, si impose la teoria del Big Bang, che fece tabula rasa dell’idea di staticità e immobilità e conferì all’universo una storia: il cosmo acquisì così un passato, un presente e un futuro. Nato con una spaventosa deflagrazione da una condizione di calore e densità estremi, l’universo si dilata in continuazione e la sua espansione accelerata continuerà a ridurne la densità e a raffreddarlo sempre di più, fino alla fine dei tempi. Non solo l’universo cambia, ma tutte le strutture che contiene evolvono a loro volta. Dai pianeti alle stelle, dalle galassie agli ammassi di galassie, nulla è permanente. Le stelle nascono, vivono la loro vita consumando consumando il loro combustibile di idrogeno ed elio e muoiono espellendo nel mezzo interstellare il gas arricchito di elementi chimici prodotto dalla loro alchimia nucleare. Questo gas collassa sotto l’effetto della gravità per dare origine a una nuova generazione di stelle, e così inizia un nuovo ciclo. I cicli di vita e di morte delle stelle, però, non si misurano in termini di un secolo come la vita umana, ma in termini di milioni e perfino miliardi di anni.

Non soltanto tutto cambia, ma tutto si muove. Pianeti, stelle, galassie e ammassi di galassie sono in perpetuo moto, come partecipassero a un fantastico balletto cosmico. Nell’istante in cui leggete queste righe, la Terra vi trascina nello spazio a 30 chilometri al secondo nel suo viaggio annuo intorno al Sole. Nel contempo, il Sole ci conduce a 230 chilometri al secondo attraverso il mezzo interstellare, perché, ogni 250 milioni di anni, compie una rivoluzione intorno al centro della Via Lattea. La nostra galassia corre a sua volta a 90 chilometri al secondo verso la sua vicina, la galassia di Andromeda, attirata dalla sua gravità. E non è finita: si aggiunge a tutto ciò il moto del Gruppo Locale e del Superammasso Locale, che si sovrappone al moto di espansione dell’universo. Il mondo delle particelle elementari non è da meno. La fisica contemporanea ci insegna che, anche nell’infinitamente piccolo, tutto si muove. Nella stragrande maggioranza, le particelle sono instabili: si disintegrano spontaneamente. Così un neutrone libero, non imprigionato in un nucleo atomico, si trasforma in protone dopo una quindicina di minuti, emettendo emettendo un elettrone e un neutrino. Quasi tutte le particelle che compaiono all’interno degli acceleratori esistono per un lasso di tempo di gran lunga inferiore a un battito di ciglia, un milionesimo di secondo o meno, poi spariscono. Le più stabili, come l’elettrone, il fotone e il neutrino, non vivono isolate, e prima o poi l’interazione con altre particelle cambia la loro natura o le fa sparire. Come il vuoto si trasforma in pieno e viceversa, l’energia di una particella può trasformarsi in materia o, al contrario, la materia può diventare luce e annichilirsi con l’antimateria. A causa del principio di indeterminazione dell’energia, innumerevoli particelle virtuali popolano lo spazio intorno a noi. Apparendo e scomparendo secondo cicli infernali di vita e morte di durata infinitesima, incarnano in massimo grado l’instabilità del mondo, dove tutto è mutazione e trasformazione.

– Estratto da: La pienezza del Vuoto, Trinh Xuan Thuan – Edizioni Ponte alle Grazie, 2017

Vedi anche: La Pienezza del Vuoto (libro)

Catalogo dei tentativi falliti di dialogo tra specie, V. Grasso (da Il Tascabile)

01 sabato Mag 2021

Posted by Paola in Neoscienze, Percezione, Realtà Parallele, Società

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Il primo dicembre 2020, a Portorico, è collassato il radiotelescopio di Arecibo. È crollato il ricettore principale: i cavi che lo tenevano insieme si sono rotti per il progressivo deterioramento del telescopio, vittima, negli anni, degli uragani e delle tempeste tropicali. Per molti, il collasso del telescopio ha esemplificato il frantumarsi di uno dei grandi sogni della comunità scientifica: trovare segni di vita extraterrestre.

Inaugurato nel 1963, il radiotelescopio di Arecibo portò a numerose scoperte nell’ambito della ricerca astronomica e fisica: la definizione del periodo di rotazione di Mercurio; la scoperta della prima pulsar binaria – un sistema composto da due stelle di neutroni che ruotano una intorno all’altra emettendo fasci di luce regolari – che valse il Premio Nobel per la fisica a J. H. Taylor Jr. e Russell Alan Hulse; la scoperta dei primi pianeti extrasolari nella costellazione della Vergine. Centrale nell’attività di Arecibo fu  il programma SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), fondato negli anni Sessanta dagli astronomi Frank Drake e Carl Sagan.

Nel 1974, dal telescopio di Porto Rico, viene inviato un messaggio radio cifrato in direzione di M13, noto anche come Ammasso Globulare di Ercole, un insieme di centinaia di migliaia di stelle che orbitano al centro della galassia di Ercole, situate a più di 20.000 anni luce di distanza dal nostro pianeta. Il messaggio di Arecibo, che di fatto costituisce il primo tentativo scientifico di comunicazione intergalattica, impiegherà a raggiungere la sua destinazione circa 25.000 anni dal momento dell’inizio del suo viaggio, e dovremo attenderne altri 25.000 per ricevere un’eventuale risposta. Alcuni reputano questa prova un semplice esercizio di stile tecnologico. (continua)

Testo integrale: https://www.iltascabile.com/scienze/comunicazione-alieni/

Tempo e I Ching, Intervista a T. McKenna

27 sabato Mar 2021

Posted by Paola in Filosofia, I Ching, Linguaggio, Percezione, Taoismo

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Tempo e I Ching – Terence McKenna, Intervista
(trasmissione televisiva: Thinking Allowed Productions – 1988)


 

Jeffrey Mishlove – Salve e benvenuti, sono Jeffrey Mishlove. Oggi esamineremo la natura del tempo e la relazione tra tempo e mente umana. In studio con me c’è Terence McKenna, specialista in tradizioni sciamaniche e allucinogeni. Terence è co-autore con suo fratello Dennis di “Psilocybin: The magic mushroom grower’s guide”, e anche di “The invisibile landscape: time, hallucinogenes and the I Ching”. Inoltre, è lo sviluppatore di un software informatico, il Timewave Zero, nonché fondatore di Botanical Dimensions, un’organizzazione non-profit dedicata alla salvaguardia delle piante allucinogene e il loro utilizzo da parte delle popolazioni tribali di tutto il mondo. Benvenuto, Terence.

Terence McKenna – È un piacere essere qui.

JM – È un piacere essere di nuovo con te. Sapete, i popoli sciamanici e i primi popoli di tutto il mondo sono stati coinvolti in sistemi di ciò che chiamiamo divinazione. Poteva essere lanciando delle ossa, o utilizzando l’I Ching, o guardando le tracce di animali, o le nuvole di fumo, ma ogni sistema sembrava considerare una sorta di modalità unica di collegare la mente umana con la natura stessa del tempo per comprenderne i cicli e conoscere, forse anche predire, il futuro.

TM – Sì, è certamente vero che i popoli primitivi e aborigeni hanno avuto un’ossessione per il tempo, ossessione del resto condivisa anche dalle società storiche. Il tempo sembra essere la dimensione su cui abbiamo la più grande ansia, forse perché è la dimensione in cui vediamo con meno chiarezza. Molte persone in tutto il mondo hanno affrontato questa mancanza di chiarezza riguardo al tempo interessandosene e sviluppando vari metodi di divinazione. I Maya, ancora oggi sugli altopiani del Guatemala, praticano una divinazione molto complicata. I popoli africani hanno complessi sistemi divinatori …

JM: Per non parlare delle enormi vendite dell’I Ching, dei tarocchi e di prodotti astrologici qui negli Stati Uniti.

TM: Sì, l’I Ching è il sistema divinatorio ne plus ultra. Sembra che, molto presto, abbia catturato l’immaginazione degli Orientalisti occidentali James Legge e Richard Wilhelm. Le loro traduzioni lo resero disponibile nella lingua occidentale, e lo psicologo Carl Jung, nell’inventare e trattare il fenomeno che lui chiamava sincronicità, rese popolare l’I Ching usandolo come esempio di questo particolare fenomeno.

JM: So che nella letteratura di oggi, specialmente nella psicologia trans-personale, ci sono molti psicoterapeuti che usano l’I Ching come parte integrante della loro pratica. E i parapsicologi hanno trovato prove schiaccianti che le coincidenze del lancio delle monete nell’I Ching hanno validità psicologica.

TM: Sì, la cosa che mi ha stupito dell’I Ching e mi ha così profondamente coinvolto è che sembra funzionare contro ogni aspettativa razionale. Lo svolgimento di questa casuale attività ritualistica sembra quindi dare una lettura che è, infatti, applicabile a una situazione unica. La spiegazione di Jung era quella che lui chiamava connessione o sincronicità. Cioè semplicemente l’idea che fosse possibile una coincidenza di corrispondenza tra uno stato interno, uno stato psicologico e un evento esterno. Un esempio ovvio di questo è quando si pensa a qualcuno a cui non pensiamo da anni e un’ora dopo, nella posta, troviamo una sua lettera. Jung era affascinato da questo tipo di apparente coordinamento di sfera psichica interiore e mondo esterno, tridimensionale e oggettivo.

Il mio approccio è andato un po’ più in profondità di quello di Jung, in quanto sentivo di aver guardato molti sistemi divinatori con l’idea che stavo guardando delle produzioni di una cultura, produzioni della mente umana che erano in larga misura arbitrarie. Il mio coinvolgimento con l’I Ching mi ha portato molto lentamente e con riluttanza alla conclusione che non si tratta semplicemente del prodotto di una mentalità culturale o della posizione di un particolare popolo in un tempo e in un luogo, ma piuttosto che gli antichi Cinesi avevano in qualche modo acquisito un vantaggio, anche sulla fisica moderna, producendo una teoria sul tempo che poteva realmente e oggettivamente essere correlata alla nostra esperienza. In altre parole, una teoria del tempo molto più simile alla descrizione di un fisico che a quella di uno sciamano. Nella tua introduzione hai fatto riferimento al software Timewave Zero che abbiamo sviluppato. Quello che noi abbiamo fatto è stato semplicemente di formalizzare la nozione di Tao facendo uno studio approfondito della matematica inerente alla struttura della sequenza dell’I Ching.

Vedi, la maggior parte delle persone ha familiarità con il fatto che l’I Ching è composto da esagrammi; gli esagrammi hanno sei linee; possono essere spezzate, possono essere intere. Meno noto è il fatto che vi è una tradizione molto antica, precedente anche alla dinastia Han, di una particolare sequenza come la sequenza corretta. Si chiama sequenza di Re Wen. E mentre tutti gli studiosi hanno concordato che la sequenza di Re Wen è in qualche modo primaria, nessuno ha mai spiegato come fosse stata ordinata.

JM: Intendi, l’ordine degli esagrammi da 1 a 64.

TM: Esatto. Perché il primo esagramma ha tutte le linee intere? Perché il secondo esagramma ha tutte le linee spezzate? E così via, e così via. Ho effettuato un’analisi matematica esaustiva delle proprietà della sequenza di Re Wen e ho raggiunto una serie di conclusioni come, per esempio, che non è una sequenza casuale; è stata costruita molto, molto attentamente, per conservare certi obiettivi matematici. Per esempio, il numero di linee che si spezzano nel passare da un esagramma all’altro è organizzato e controllato in modo tale che alla fine si ha un rapporto di pari a dispari di tre a quattro. Eppure questo si ottiene senza alcuna rottura, un primo ordine di rotture diverse, di magnitudine 5.

JM: Ora, comincio a perdermi ..

TM: Sì, beh… tutto questo significa molto semplicemente che la sequenza di Re Wen è stata costruita da delle menti uguali a quelle dei ricercatori matematici che operano nel mondo di oggi.

JM: Mi ricorda i costruttori dei grandi templi greci che usavano il rettangolo mistico.

TM: Proporzione e simmetria sembrano essere la preoccupazione centrale. Vedi, abbiamo ereditato dalla nostra passione per la filosofia orientale l’idea di Tao. E Tao, in Oriente, è un concetto che precede l’introduzione del buddismo in Cina di molti, molti secoli. Tao è la nozione di flusso, qualcosa che va e viene, un mezzo transitorio che costruisce strutture e le separa secondo la sua dinamica interna. Ora, poiché queste nozioni sono state introdotte in Occidente dai mistici, dai filosofi e da persone con un interesse per la metafisica, non è stato immediatamente capito che una filosofia di questo tipo potrebbe essere un formalismo matematico. Se parliamo di un mezzo che va e viene, parliamo di un fenomeno meccanico-ondulatorio. Ebbene, la scienza occidentale negli ultimi 150 anni ha sviluppato un potente insieme di tecniche per affrontare il fenomeno delle onde.

JM: E a quanto sembra tu suggerisci, quindi, che i 64 esagrammi dell’I Ching, nella loro relazione matematica uno con l’altro del loro movimento sequenziale, descrivono una forma d’onda.

TM: Una forma d’onda che gli esseri umani sperimentano nel mondo come tempo e storia. Vedi, è come nella scienza occidentale, dove siamo abbastanza sicuri che esistano circa 100 elementi fisici della materia.

JM: Esatto, atomi diversi.

TM: Esatto, sono incommensurabili, e sono in qualche modo primari. I Cinesi non hanno guardato al mondo della materia, dell’energia e dello spazio, ma al mondo del tempo e hanno condotto un’analisi molto rigorosa della propria percezione scoprendo con loro stupore che il tempo è effettivamente composto di elementi.

JM: Quindi come noi abbiamo, se posso estrapolare da quello che stai dicendo, la tavola periodica degli elementi nella chimica occidentale, con cui sono definiti non solo gli elementi ma anche la loro relazione, cicli e modelli …

TM: Relazione di legame, esatto.

JM: … come abbiamo famiglie di elementi chimici, abbiamo, in altre parole, famiglie di modi di guardare il tempo…

TM: Ebbene, gli esagrammi sono gli elementi della fisica cinese del tempo. Hanno creato una scienza che rafforza le percezioni primarie che tutti abbiamo, ma per le quali non abbiamo una scienza. Per esempio, sono sicuro che hai notato che ogni giorno è come ogni altro giorno. Tuttavia, sono sicuro che hai anche notato che alcuni giorni sono radicalmente diversi da altri. Ebbene, questa regola di identicità-diversità si applica a tutti i livelli in una gerarchia temporale. I secoli sono un po’ simili tra loro, ma a volte arriva un secolo che è abbastanza anomalo. Questo noi lo chiamiamo “frattale di nidificazione di identicità-diversità”. Questo è un nuovo ramo della matematica; e, molto semplicemente, ciò che i Cinesi scoprirono intorno al 3.000 a. C. era la natura frattale del tempo, come le regole di espressione degli elementi temporali che governano l’ascesa e la caduta delle dinastie governano anche l’ascesa e la caduta degli affari d’amore e degli stati d’animo.

JM: Ora stai descrivendo questo in termini matematici, e vorrei tornare indietro e chiederti di definire il termine frattale, ma sono anche curioso di sapere come tu sembri andare avanti e indietro tra qualcosa di puramente quantitativo e qualcosa di qualitativo.

TM: Questa è la cosa interessante. I Cinesi compresero che questi elementi temporali creavano, in un certo senso, schemi di interferenza l’uno con l’altro, in modo molto simile a come i toni puri prodotti dalle note di una tastiera creano una melodia attraverso la loro interferenza l’uno con l’altro. Quindi, per esempio, se mi trovassi seduto nel risptrante di Adriano a godermi un hamburger, secondo questa teoria ci sarebbe effettivamente una relazione tra questo atto e le campagne dell’imperatore Adriano in Gran Bretagna, prima della caduta dell’Impero Romano.

Questa è la cosa sorprendente che ha capito e di cui si è servito James Joyce nella costruzione delle sue opere letterarie: un uomo, lasciando la sua casa a Dublino in un giorno del 1905 per comprare del rognone da cucinare a pranzo sta, in qualche modo misterioso, ripetendo le peregrinazioni dell’eroe Ulisse intorno al Mediterraneo per tornare dalla sua fedele moglie. Stiamo parlando di allegoria, ma l’allegoria non è mai stata presa seriamente dalla scienza: il ragionamento analogico è stato decisamente declassato nei laboratori importanti. Ma in questo antico modo cinese di guardare le cose, tutto è causato dalle sue risonanze analogiche con eventi passati e futuri che abbiano gli stessi elementi temporali incorporati al loro interno. Ora, è difficile addentrarsi in tutto questo senza ricorrere almeno a grafici e diagrammi, se non a equazioni sconcertanti.

JM: Faccio un passo indietro, perché stiamo parlando molto dell’I Ching, che è “uno” dei sistemi, un sistema molto popolare e profondamente considerato e rispettato, ma ci sono altri sistemi paragonabili: per esempio, l’Astrologia.

TM: Esatto. L’Astrologia è un altro di questi sistemi che cercano di definire le relazioni pre–potenti in natura che possono essere conosciute dall’uomo per facilitare il movimento verso il futuro. Penso che il successo dell’Astrologia sia dato dalla sua persistenza; è, dopo tutto, uno dei più persistenti strumenti intellettuali umani. È stata sviluppata quattro o cinquemila anni fa. Ma penso che ciò che preoccupa gli esseri umani moderni riguardo all’Astrologia, è che si tratta di un sistema meccanicistico… è come un gruppo di ingranaggi e ruote che possono girare tutti a una data velocità e quindi i loro stati finali possono essere predetti.

JM: Allora abbiamo nuovamente a che fare con la natura di cicli nidificati.

TM: Noi abbiamo una forte intuizione del libero arbitrio, ed è per questo che penso che la fisica quantistica, con la sua nozione probabilistica di determinazione, sia così attraente per la mente moderna. Riguardo all’I Ching sono giunto alla conclusione che non è possibile conoscere il futuro, perché se fosse possibile conoscerlo la vita sarebbe un determinismo e il pensiero si separerebbe dal significato, e tanto varrebbe chiudere bottega. Tuttavia, ciò che è possibile sapere sul futuro sono i livelli di novità che gli stati futuri realizzeranno con l’avvento di eventi imprevedibili. Ora, questo è un modo formale per dire che “sappiamo dove la strada va, ma non il panorama”. Penso che, per quanto riguarda il futuro, possiamo sapere dove va la strada ma non sapere quale sarà lo scenario. Le persone che hanno considerato la mia teoria hanno detto: “Ebbene, con queste mappe temporali che il tuo computer disegna, stai cercando di sbarazzarti del futuro”. Ma, di fatto, una mappa del tempo non elimina il futuro più di quanto una mappa del Sud America elimina la necessità di andare lì. Semplicemente permette una migliore gestione della propria destinazione.

JM: Poco fa hai menzionato la fisica quantistica, e nella fisica quantistica c’è un certo numero di nozioni diverse relative al futuro. Una nozione è quella di universi multipli, un’altra è probabilistica e sebbene non possiamo sapere con certezza cosa accadrà, possiamo affermare con differenti probabilità quali siano le possibilità. Come si collega questo alla tua visione del tempo e del futuro?

TM: Ebbene, penso che a livello macro-fisico le cose siano piuttosto rigidamente determinate con l’eccezione per gli organismi viventi. Quindi, la mia interpretazione di ciò che è la biologia e di come si relaziona alla fisica quantistica e al tempo è, in realtà, che i sistemi biologici sono amplificatori di indeterminazioni quantistico-meccaniche. Sono un modo di prendere il pizzico di indeterminatezza che esiste a livello micro-fisico e indurlo in una sorta di precipitato macro-fisico che è la vita, la coscienza e l’auto-riflessione.

JM: E tu questo lo vedi descritto nell’I Ching?

TM: Sì, penso che l’I Ching sia un sistema di modellazione astratto di scomposizione fino ai suoi elementi più semplici per poi vedere come funziona. Ora, siamo abituati a pensare alla scienza come un progresso lineare dal lontano passato al presente. Quello che io sto suggerendo è che, almeno in termini di tempo, i Cinesi del periodo pre-Han avevano una nozione del tempo molto più vera e formalmente applicabile di quella che noi stessi abbiamo. Abbiamo fallito nel nostro sforzo di assimilare il tempo nella nostra fisica a causa della nostra ossessione per la materia e la liberazione dell’energia.

JM: Ci sono alcuni studiosi che suggeriscono che il popolo africano degli Yoruba, il cui sistema di divinazione si chiama Ifa, che ha un ciclo, credo, di 244 o 264 vari miti e storie, è ancora più sofisticato dell’I Ching. Hai indagato su questo?

TM: Ho indagato. Ciò che rende l’I Ching così potente, secondo me, è che sembra essere in un’esatta analogia con il meccanismo del DNA. Ci sono 64 codoni che codificano per gli amminoacidi nel DNA e ci sono 64 esagrammi; ci sono 8 esagrammi primari e ci sono 8 amminoacidi indispensabili. Secondo me l’I Ching è veramente la migliore possibilità per l’umanità, perché ha un riflesso nella matrice biologica da cui è emersa la coscienza.

JM: In altre parole, i vari sistemi antichi di divinazione possono tutti riflettere lo sforzo degli esseri umani verso quest… verso una comprensione intuitiva della natura ciclica del tempo e del rapporto tra la mente e lo scorrere del tempo, e l’I Ching potrebbe aver centrato il bersaglio meglio degli altri.

TM: Beh, è come osservare una descrizione del XVII secolo del moto dei pianeti o una descrizione del XX secolo; ci sono miglioramenti fondamentali, ma, sì, penso che l’I Ching rappresenti una percezione primaria dell’organizzazione della mente, del tempo e della materia. E ti dirò anche in qual modo penso che abbia un vantaggio. Credo, in sostanza, che ci sia una tradizione nell’Asia centrale delle cosiddette tecniche per “fermare il cuore”. Queste sono tecniche in cui le funzioni vitali sono soppresse: la respirazione diventa minima, tutti gli input esterni sono sospesi, per cui penso che i saggi cinesi che praticavano questa forma di meditazione abbiano notato un flusso al centro dell’immobilità, e lo hanno chiamato Tao dandone una descrizione fenomenologica, non sapendo se fosse fisica, fisiologia o una divinità.

E non si sono espressi con pre-giudizio. Hanno semplicemente dato una descrizione fenomenologica del flusso trascendentale incontrato in stati di profonda estasi yogica. Ora si scopre che questa è la tecnica perfetta per studiare il tempo. Il tempo non è un fenomeno per il quale costruire macchine di otto chilometri di diametro che costano miliardi di dollari. Il tempo è un fenomeno da studiare andando a cena, forse, o vivendo delle relazioni d’amore, o guardando il passare delle stagioni, attività molto più umili rispetto alla nostra visione del saggio taoista piuttosto che dello scienziato dal camice bianco di quell’attuale religione mondiale che è la scienza. Quindi, in realtà, penso che si sia trattato di un coinvolgimento fisiologico e all’interno dell’esperienza umana.

JM: In altre parole, il laboratorio per studiare il tempo non sarebbe tanto nei nostri osservatori o nei nostri sistemi di orologi al quarzo, ma guardando dentro di noi, osservando il nostro organismo.

TM: Esattamente così. E riguardo al funzionamento della nostra psicologia, secondo me il più grande commentatore del tempo del ventesimo secolo, dopo Albert Einstein, dovrebbe certamente essere Marcel Proust. Proust ha capito molto sul tempo che sperimentiamo, ed è stato in grado di comunicarlo, più di qualsiasi altra persona vissuta prima. E ciò sta dentro i confini di quello che la maggior parte delle persone considera una produzione letteraria piuttosto effemminata ed elitaria.

JM: “La strada di Swann”?

TM: L’insieme di “Alla ricerca del tempo perduto“.

JM: Ebbene, non l’ho letto, quindi qui brancolo nel buio. Abbiamo ancora cinque minuti, potresti riassumere questo punto o approfondirlo un poco?

TM: Penso che il punto che stiamo cercando di sottolineare e che mi ha coinvolto negli ultimi anni, è che una revisione del tempo potrebbe placare gran parte di quella che viene chiamata l’ansia moderna. Inoltre, noi abbiamo limitato le categorie che eravamo disposti a considerare nell’affrontare questo problema, dobbiamo inginocchiarci agli antichi Cinesi e apprendere da loro in questa materia. L’I Ching, come sistema divinatorio di grande antichità, riflette le dinamiche del nostro materiale genetico, e inoltre, anche se non l’ho menzionato questa sera, ha anche profonde proprietà calendaristiche: può essere usato per tenere traccia del tempo e pone le basi per una comprensione di questo curioso fenomeno chiamato sincronicità, l’intreccio casuale di eventi psichici interiori ed eventi esteriori nel mondo reale. Pone le basi per comprendere l’unità di noi stessi con il mondo reale il cui discernimento è reso difficoltoso dal nostro attuale approccio.

JM: Quindi, Carl Jung, il grande psichiatra svizzero che ha scritto – tra l’altro – la prefazione al Libro dell’I Ching di Richard Wilhelm e che ha postulato la teoria della sincronicità, in realtà non ne ha fornito alcun meccanismo. Ha semplicemente detto che funziona in quel modo, cioè che la mente sembra essere collegata a questi eventi, trovando enorme beneficio terapeutico da quella comprensione. Quello che tu stai suggerendo è che il meccanismo potenziale dietro la nozione junghiana di sincronicità ha a che fare con la struttura del tempo stesso, e stai suggerendo, quindi, che la mente umana, proprio a questo livello profondo che i saggi hanno scoperto fermando le loro funzioni fisiologiche, che la mente ha una struttura parallela, una struttura isomorfica.

TM: Questo è esattamente il punto centrale: la mente emerge dalla materia. È per questo che l’I Ching lavora in entrambi i mondi: uno è il riflesso dell’altro. La chiave per guarire questo apparente dualismo sta nello studio della meccanica temporale indicata dall’I Ching. E credo che l’abbiamo fatto, formalmente, in modo matematico.

JM: Terence Mckenna, stai provocatoriamente presumendo che l’I Ching, che alcuni vedono come una religione e altri considerano una superstizione, è in realtà una scienza. E, mi sembra di capire che il vostro software Timewave Zero si propone di dimostralo.

TM: Crediamo che lo dimostri. Naturalmente, alla fine, spetterà ai nostri colleghi giudicare il valore del nostro… caso.

JM: Terence è stato un piacere. Grazie mille per essere stato con noi.

TM: È stato un piacere essere qui, Jeffrey, e parlarne con te. Non è un argomento facile, credimi.––

—————-

Fonte originale: video …. https://www.youtube.com/watch?v=Fxrt4IraHEo
Trascrizione … https://www.asktmk.com/talks/Time+and+the+I+Ching
Traduzione dalla trascrizione: Paola

Chi non traduce rinuncia a pensare, L. Canfora (da Corriere della Sera, 2013)

07 giovedì Gen 2021

Posted by Paola in Inserimenti, Linguaggio, Percezione, Società, Storia

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Tradurre è la più vitale delle attività umane. Il cammino della civiltà è una incessante traduzione. Lo capì, ad esempio, un greco d’Asia, che si chiamava Erodoto, il quale vide quanto dal mondo religioso egizio fosse passato nel pantheon greco. I popoli che non traducono, in propria lingua, la civiltà (letteraria, artistica, filosofica, religiosa, scientifica) degli altri o diventano pericolosi o, se non possono essere aggressivi, si condannano al sottosviluppo. Prima o poi se ne renderà conto (al di là dell’attuale suo euforico monolinguismo) il mondo anglosassone, nonostante la forza economico-militare con cui impone agli altri il proprio idioma. Cioè il proprio modello.

Ad Alessandria, nel III secolo a.C. convergevano le culture del mondo conosciuto e schiere di traduttori furono all’opera, come narra un bene informato dotto bizantino, per tradurre da ogni idioma in greco. Non si comprenderebbe la portata di quell’immenso fenomeno che fu l’Ellenismo — in cui si collocano le grandi «letterature di traduzione», da quella latina a quella araba — se non si tenesse conto dell’autentico «dialogo del genere umano» che è, da sempre, il tradurre. E non è un caso che «l’unità del genere umano» e la visione della Terra come «patria comune di tutti gli uomini» fossero i capisaldi delle principali filosofie ellenistiche, quantunque tra loro contrapposte su altri piani.

Almeno dall’Umanesimo in avanti, il tradurre fu pratica fondativa e formativa non più solo nel contatto vivente tra «mondi» concomitanti e persino rivali, bensì, e in pari misura, verso i «mondi» del passato: cioè verso gli antichi e il formidabile loro lascito scritto, scampato all’usura del tempo. L’Umanesimo divenne moderno interrogando, e perciò traducendo, gli antichi greci e romani. Una interrogazione, tutt’altro che tranquilla e passiva, temprata nell’esercizio del comprendere a fondo ciò che l’attività di copia, sulla scala dei millenni, aveva portato a salvazione. Fu quella una interrogazione che, avendo generato e nutrito il Principe e i Discorsi del Machiavelli, il Novum Organum di Bacone e il Sidereus Nuncius di Galilei, può considerarsi a buon diritto l’architrave della modernità. Che ci riguarda tuttora, direttamente.

Un tale imponente fenomeno non si sarebbe dato senza lo sforzo di attrezzarsi a comprendere — cioè a tradurre — quegli antichi nostri interlocutori.

Ma dove nasceva la difficoltà? Non solo nella profondità del pensiero di cui appropriarsi, ma soprattutto nella lontananza. Ed è appunto tale lontananza che fece e fa tuttora di quell’esercizio, di quello sforzo di interrogazione, un cantiere sempre aperto, sempre provvisorio, sempre passibile di prospettive prima non viste. La lontananza infatti comporta che quel lavorio sempre provvisorio del tradurre, consistente nel «colmare i silenzi del testo» (per dirla con Ortega y Gasset), divenga — proprio in ragione della distanza epocale — di gran lunga più arduo e soggettivo che nel tradurre da un contemporaneo. Il quale condivide o combatte le nostre stesse passioni e convinzioni, ha con noi necessariamente tanti presupposti in comune, e perciò, pur in altro idioma, parla non di rado il nostro linguaggio. «Non si può comprendere fino in fondo quella stupenda realtà che è il linguaggio — scriveva Ortega — se non si parte dalla consapevolezza che la lingua è fatta soprattutto di silenzi. Un essere che non fosse capace di rinunciare a dire molte cose sarebbe incapace di parlare. Ogni lingua è una equazione diversa tra l’esprimersi e i silenzi». E prosegue: «Ogni popolo tace alcune cose per poterne dire altre. Perché sarebbe impossibile dire tutto. Da questo deriva l’enorme difficoltà della traduzione: essa consiste nel dire in una lingua proprio ciò che l’altra tende a tacere. Ma allo stesso tempo si intravede quell’aspetto del tradurre che può costituire una magnifica impresa: la rivelazione dei mutui segreti che popoli ed epoche si nascondono reciprocamente». E perciò egli conclude il saggio, felicemente intitolato Miseria e splendore della traduzione, con le parole di Goethe: «Ciò che è umano è vissuto completamente soltanto da tutti gli uomini nel loro insieme».

In questa straordinaria sintomatologia e diagnosi dell’atto del tradurre è racchiusa la spiegazione di ciò che vediamo così spesso sfuggire alla miopia utilitaristica dei falsi riformatori, da sempre protesi a scacciare «l’aoristo passivo» (vedi Andrea Ichino, «Corriere», 21 ottobre) dal Liceo: cioè dalla scuola più completa e perciò davvero utile.

Non sarà sfuggito quel cenno di Ortega a «popoli ed epoche». Lo sforzo di tradurre gli antichi, infatti, è quello che comporta il massimo di capacità intuitiva. Chi ha avuto, o per avventura tuttora conserva, una qualche familiarità col patrimonio scritto greco-latino, sa quanto il valore del singolo termine (spesso polisemico e passibile persino di sfumature opposte di senso) si chiarisca solo se si è prodotta l’intuizione di ciò che l’intera frase significhi. E per converso la frase prenderà piena luce soprattutto dalla comprensione delle parole principali che la compongono. È in questa circolarità che si produce il salto verso la comprensione- intuizione. È in questa circolarità che si comprende cos’è il conoscere. È grazie a questa circolarità che si approda al sapere scientifico. In questo senso un promettente linguista approdato alla militanza politica, Antonio Gramsci, scrisse nei Quaderni del carcere che si studia il latino non già per imparare a parlare latino ma per imparare a studiare.

Chi ebbe la felice opportunità di cimentarsi nella comprensione del lascito scritto di quei remoti nostri interlocutori sa che un siffatto processo interpretativo non è mai dato una volta per tutte. Ovviamente è proprio nel cimento scolastico che si mette in moto quel processo. Nel suo nascere e man mano affinarsi nella testa degli scolari esso ha efficacia, forse incomparabile, per il continuo trapassare dall’intuizione alla sintesi. A questo «serve» il tradurre gli antichi a scuola.

Fonte originale: http://lettura.corriere.it/chi-non-traduce-rinuncia-a-pensare/

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