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INTERSEGNI – Comunicazione

04 sabato Mar 2023

Posted by Paola in I Ching, Paola, Taoismo, Tempo

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Per chi fosse interessato, è stato attivato “INTERSEGNI – Il Dao del Yi“, dedicato al Yijing (I Ching).

Yijing o Classico del Mutamento è per lo più noto come manuale di divinazione, e per alcuni è un antico retaggio superstizioso. Non è così.

Yijing è un insieme di Conoscenza e di Saggezza: conoscenza dell’uomo e delle dinamiche fenomeniche, e guida di saggezza per chi desidera vivere in modo significativo e consapevole.

Yijing è andato formandosi nei secoli come una raccolta di osservazioni delle iniziali interazioni e mutazioni di due energie primarie, Yin e Yang, rappresentate inizialmente da dei punti bianchi e neri e, successivamente, come li conosciamo oggi, da due semplici segni: linea intera (Yang) e linea spezzata (Yin).

INTERSEGNI intende aprire alcune finestre sugli ampi panorami di cui Yijing è ricco, panorami che espandono il respiro in una cosmologia di affascinante compiutezza.––

Paola

Il calendario dell’Avvento, Paola

29 venerdì Nov 2019

Posted by Paola in Paola, Percezione, Tempo

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Il calendario dell’Avvento, Paola (nota al gruppo di pratica)

Una volta ancora ci stiamo avvicinando alla fine di un calendario. Se la fine è nel contempo un punto di arrivo e di partenza, nel periodo precedente tutto ciò che è stato vissuto – nella sofferenza, nella fatica e anche nella gioia – non ci sta solo alle spalle ma anche sulle spalle.

Avvicinandoci a questa tappa non facciamo consuntivi e non stendiamo nuovi progetti, ma lasciamo andare il vecchio creando spazio per il nuovo in arrivo. Il nuovo non può accomodarsi se in noi non trova spazio libero per sé, e questo spazio non lo si crea ammassando in un angolo ciò che più non serve con l’idea di conservarlo per un ipotetico bisogno futuro.

Il futuro non contiene il passato, e non è futuro il domani generato dal passato.

Creiamo il nostro calendario dell’Avvento, e invece di scartare cioccolatini e caramelle, di recitare filastrocche e pensierini, ogni giorno svuotiamo la nostra tasca di un dolore, di un ricordo, di un pensiero fisso e tormentoso, di un rancore o di un rimorso, di un rimpianto o di un’illusione.

Lasciamo andare anche qualche gioia passata, perché talvolta le gioie passate ci impediscono di gustare quelle diverse gioie che ci attendono nel futuro.

Svuotiamoci del desiderio e delle aspettative che poggiano su fallimento e frustrazione, che ci legano ancor più stretti a qualcosa che non è più e più non sarà.

Chiudiamo i conti: paghiano un debito di riconoscenza, di affetto, di amore; azzeriamo il credito di un torto, di un’incomprensione, di un’offesa.

Togliamo e togliamo… non sentiamoci persi per quel vuoto temporaneo: è pieno di potenziali che attendono un campo dissodato, senza sassi e vecchi ceppi, per affondare le radici e germinare.

Non facciamo ora una lista di ciò che pensiamo che non serve: non lo si può sapere. Ogni giorno uscirà dalla nostra tasca un pacchettino. Riconosciamolo e liberiamolo dalla confezione dell’apparenza. Sorprendiamoci: forse mai avremmo pensato che fosse proprio quella cosa ad essere un inutile peso. Sorridiamo: com’è facile e dolce lasciare ciò che chiede di essere lasciato..–––

La stagione della semina, Paola

01 martedì Ott 2019

Posted by Paola in Coscienza, Paola, Percezione, Tempo

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La stagione della semina, Paola (nota al gruppo di pratica)

Noi siamo esseri naturali e da sempre i saggi ci invitano a seguire i ritmi della natura per stare bene. L’equilibrio della natura si manifesta in ogni aspetto della vita, e i cicli e le alternanze ne sono una manifestazione.

L’equinozio autunnale, quel breve momento di parità tra notte e giorno, apre la porta al buio per la semina… l’internalizzazione.

Con la ripresa delle nostre attività, invito a porre un nuovo seme in ciò che ciascuno di noi farà, sia in gruppo che individualmente, e questo seme è l’essere nuovi in quel che ci sembra solito e abitudinario.

Infatti, se l’azione del seminare è sempre la medesima ogni anno, i semi che vengono in quel momento gettati sono quelli prodotti da piante più ricche di esperienza e conoscenza – e mi piacerebbe poter anche dire: di saggezza –  rispetto a quelli dell’anno precedente.

Non lasciamoci ingannare dall’apparenza di un ricorso ciclico per “ripeterci” come fotocopie di noi stessi, ma inseriamo quella nota di novità che ciascuno sa scoprire dentro di sé per rendere vivo e vitale un nuovo processo di germinazione.—

La percezione della normalità, Paola

27 martedì Ago 2019

Posted by Paola in Estendere i confini, Inserimenti, Paola, Percezione, Realtà Parallele, Stati altri di coscienza

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La percezione della normalità, Paola (2005)

“La mente che si apre a una nuova idea
non ritorna mai alla dimensione precedente.”
A. Einstein

– – – – – – – – – – –

La percezione extrasensoriale ha sempre colpito e affascinato l’immaginazione e, secondo l’epoca o la cultura, è stata vista come segno di divinità, possessione o malattia. Solo negli ultimi decenni la scienza ha riconosciuto che alcune capacità, al momento poco comprese, sono connaturate all’uomo benché latenti.

Chi segue un percorso evolutivo attende la manifestazione di doti ritenute superiori desiderando sperimentare la realtà ampliata che ne deriva. Alcune volte, però, la tenera gemma della loro presenza non è riconosciuta proprio a causa di quanto ci si aspetta, poiché la pienezza di alcune capacità – nell’immaginario – è a tal punto standardizzata da impedire il riconoscimento delle sue espressioni intermedie. È come vedere un albero solo dai frutti o dai fiori, e non d’inverno quando è spoglio di ogni ornamento. Mancando questo riconoscimento, si manca la possibilità di sviluppare più rapidamente proprio quanto maggiormente desiderato.

Chi si accorge del suo iniziale germoglio, ha la felice opportunità di nutrirlo osservandone la crescita in piena consapevolezza. La consapevolezza che permette questo riconoscimento è direttamente proporzionale alla consapevolezza che si ha verso tutte le manifestazioni della vita. All’interno di questo processo, d’altra parte, ci sono atteggiamenti involontari che boicottano quanto si cerca con impegno e passione.

ESTENDERE IL CONFINE DELLA NORMALITA’

La paura che l’uomo ha dell’ignoto e dell’incontrollabile è connessa al suo istinto di conservazione.

La normalità è una linea di demarcazione piuttosto arbitraria che delimita e separa il razionale dall’irrazionale, l’accettabile dall’inaccettabile, il conosciuto dallo sconosciuto.
La normalità è come un campo arato e seminato anno dopo anno, ben sorvegliato e recintato affinché animali selvaggi e piante infestanti non ne mettano a rischio la resa prevista. Il paranormale è tutto quello che si scorge aldilà dello steccato, a perdita d’occhio, oltre la linea dell’orizzonte.

In realtà la normalità è l’Esistere con la sua miriade infinita di trasformazioni e differenze, gli sviluppi imprevedibili, i cambiamenti di stato e le modificazioni genetiche. Quello che si è soliti definire “normale” è un banale e limitato sottoinsieme nel più grande insieme del Tutto.

Estendere il limite del concetto di normalità diventa inevitabile, a un certo punto del cammino, volendo espandere consapevolezza e percezione. La percezione extrasensoriale può svilupparsi solo se non considerata estranea e diversa da una supposta normalità. Per farlo è necessario rivedere quei (pre)concetti individuali su cosa è normale o anomalo, accettabile o inaccettabile, vero o falso all’interno del proprio vissuto. Non può essere semplicemente una comprensione intellettuale, un “credere che …”, ma piuttosto un comportamento nella quotidianità, se si vuole ampliare la percezione nella realtà e non nella fantasia.

Non accettare le differenze della vita e delle sue manifestazioni come realtà normale e legittima, inibisce nell’intimo l’espressione di quella diversità che, in fondo, si desidera promuovere in se stessi. Essendo l’uomo uno in sè e con il Tutto, la paura proiettata ritorna di riflesso – in un gioco di specchi interiori ed esteriori – su ogni aspetto della realtà individuale.

Chi vuole manifestare le proprie potenzialità, deve confrontarsi con l’atavica paura dello sconosciuto/imprevedibile e con il suo parametro di coerenza, allargando poi in modo continuo e costante i limiti dell’accettazione: limiti mascherati dall’abitudine e dalle convinzioni personali, spesso sostenuti da una logica inoppugnabile e perfettamente coerente. Ogni cosa deve essere valutata quale aspetto apparente, temporaneo, non sostanziale e suscettibile di cambiamento, onde non perdere l’opportunità di maggior sperimentazione e saggezza che la Vita sempre offre a chi le si affida con fiducia.

SPOSTARE L’ATTENZIONE

Gli impedimenti all’espansione della percezione sono spesso dati – anche qui – più da un’abitudine mentale che da altro. All’inizio della sua esistenza terrena, il nostro cervello registra i dati in entrata e costruisce con essi un archivio, al quale poi successivamente noi ci limitiamo – anche nel senso di “auto-limitazione” – accettando solo ciò che corrisponde all’archiviato, quando – addirittura – non ne “anticipiamo la conclusione” secondo un copione prestabilito da determinate esperienze. È un meccanismo dell’evoluzione utile per semplificare e rendere sicura una vita impostata sulla ripetizione e l’automatismo, ma che si trasforma in una sfida impegnativa per chi vuole andare oltre.

L’ovvietà è un altro meccanismo che devia il flusso di nuove informazioni verso i reparti del “già lo so”, così del nuovo si vede solo ciò che somiglia al già noto e tutto il resto diventa invisibile. Si dovrebbe tornare bambini per avere la spontaneità dell’osservazione, superando la dipendenza da un’autorità esterna che definisce cosa e come osservare. Si tratta di tornare a osservare smantellando quelle strutture mentali che cultura, educazione e esperienze precedenti hanno – più o meno inconsapevolmente – costruito. Si tratta di ri-verificare la realtà personale costruita dalle nostre strutture mentali individuali.

L’interpretazione procede parallela al condizionamento della percezione. Si dovrebbe riuscire a osservare quanto ci troviamo di fronte senza attribuire significati o motivazioni che vengono spontanee a motivo delle strutture su cui poggiamo, permettendoci invece di non lasciarci ingannare dall’apparenza, laddove l’apparenza è la nostra interpretazione. Quando ci si permette di sospendere momentaneamente ogni aggettivo, concedendo a noi stessi, all’altro o alla cosa in sé, ulteriore tempo e spazio, è possibile notare particolari passati inosservati a una prima occhiata percepire sensazioni interiori che illuminano differentemente ombre e colori dentro e fuori di noi.

Gli inganni ottici sono giochi di prospettiva che rendono bene questa idea. Negli stereogrammi, per esempio, si deve mettere diversamente a fuoco lo sguardo nell’apparente caos di colori e linee, per “vedere comparire”, come per magia, quell’immagine che non esiste affatto all’osservazione normale.

ESTENDERE IL CONFINE DELLA PERCEZIONE

Il termine percezione indica sia l’atto che l’effetto del percepire e è relativo tanto all’aspetto fisico quanto al mentale. È una parola ambivalente e dalle molteplici accezioni, anche se il suo uso è in modo particolare utilizzato nella filosofia e nella fisiologia. E non per caso.

La percezione è data da stimoli mediati sia dai cinque sensi fisici che dai loro corrispondenti sensi sottili. Pertanto è la percezione elaborata che definisce la realtà concepita da ciascuno. Come i cinque sensi fisici sono i sensori che mettono in contatto la coscienza con un mondo definito “esterno e materiale”, così i sensi che definiscono la percezione extra-sensoriale rilevano un mondo altrettanto tangibile tramite sensori dalla differente sensibilità, atti a sconfinare i limiti del primo gruppo.

Chi pratica delle tecniche, sviluppa naturalmente la capacità percettiva, solo che molte volte non ne è consapevole: non riconoscendola, non la esercita – non esercitandola, non la rafforza. Quando si comincia a prendere coscienza di uno stato percettivo, a volte già qualcosa è in atto e è questo qualcosa che va individuato, perché può diventare l’aggancio verso ogni altro sviluppo. È opportuno osservarsi per individuare la propria caratteristica peculiare o di partenza. Tutte sono disponibili, ma – all’inizio in special modo – una o due si mostrano più consone, facili o evidenti.

Per esempio, moltissimi, frugando nella memoria, hanno uno o più ricordi di manifestazioni o stati fuori l’ordinario, poi “dimenticati”. Invece di essere mantenuti nella consapevolezza del proprio vissuto, sono stati etichettati come stranezze accidentali oppure immaginazioni, rifiutati come inspiegabili o irreali, e dunque non riconosciuti come manifeste espressioni di se stessi. Queste esperienze andrebbero ri-vissute, ri-considerate e osservate per rintracciare i meccanismi che le hanno prodotte, cercando di individuare così quella capacità che stava tentando di uscire alla luce del sole.

ABBANDONARE ASPETTATIVA E GIUDIZIO

Ciò che può distrarre la persona dal riconoscimento delle sue capacità è l’aspettativa di una manifestazione eclatante e senza passi intermedi: cosa che in genere non succede a chi opera seguendo un percorso di sviluppo, dovuto appunto al modo di operare progressivo.

Molto si svolge in sordina, nella penombra, in un’area dove la razionalità non ha accesso, ma regnano creatività, imprevedibilità e irrazionalità. e è con questi tre aspetti della nostra natura che occorre entrare in confidenza al fine di nutrire l’espressione delle nostre caratteristiche particolari.

A un certo punto, infatti, non si tratta più di praticare tecniche per lo sviluppo dell’aspetto sensitivo e irrazionale in un “ambiente protetto”, ma di osare nel concreto. Tutti gli sforzi profusi nelle tecniche (aspetto razionale) possono essere inefficaci se non viene dato altrettanto spazio e attenzione a ciò che potrebbe svilupparsi (aspetto irrazionale). Portare alla luce quello che è latente significa trasferirlo nella quotidianità, perché è con il suo uso nella vita ordinaria che può rafforzarsi.

Per esempio, se sembra in via di sviluppo l’intuizione, rafforzarla significa dare credito a quei pensieri o quelle sensazioni che potrebbero provenire da questa facoltà. Certo, si può confondere come intuizione anche un pensiero campato in aria o un desiderio inconscio, ma – di fatto – non si conoscerà la qualità di ciò che ci è passato per la mente finché non l’avremo “manifestato”, rischiando anche grossolani errori e situazioni imbarazzanti. Il paradosso è che se non si mette alla prova quanto sta emergendo, se non gli si dà la possibilità di temprarsi nella manifestazione, non è possibile esercitare e affinare la percezione di ciò che è o non è. In questa fase può aiutare il non prendersi troppo sul serio.

Nello sviluppo della propria percezione, occorre abbandonare ogni forma di giudizio e valutazione dei risultati mentre si tenta di entrare in confidenza con questi aspetti dai contorni indefiniti. Letture sul tema e esempi famosi possono essere di stimolo e offrire spunti operativi, ma tenendo presente che, se l’avvenimento visto da fuori è quello che tutti sembrano osservare, rimane assolutamente individuale come questo è vissuto o sperimentato dalla persona che lo produce.

L’aspettativa e il giudizio poggiano e si determinano in base a dati esterni e, nell’affrontare lo sconosciuto, il conosciuto non ha più la valenza prevalente su cui si basa tutta l’esperienza del mondo “normale”. Solo la normalità ha parametri che la definiscono, al di fuori di essa i termini di paragone sono semplici misure approssimative.

IL TERZO È DATO

Il metodo scientifico poggia sulla “ripetibilità” dell’esperimento: alla logica necessita la ripetibilità per poter analizzare, verificare e confrontare ciò che le sta di fronte, e secondo questa visione solo ciò che è reiterazione rientra nei parametri di “realtà”. Di nuovo, questo concetto non è applicabile durante le fasi iniziali delle capacità latenti, che si generano nell’imprevedibile e nell’estemporaneo, sembrando soggette più alle leggi del caos che a quelle della logica.

La difficoltà nel definire la ‘qualità’ della propria esperienza, si deve proprio alla visione del mondo cui siamo esposti sin dalla nascita. La pretesa di conoscere in modo logico e lineare il perché e il come entra in conflitto con l’espressione della facoltà latente che per molti, all’inizio, è svincolata dallo spazio, dal tempo e – soprattutto – dal controllo cosciente.

Per esempio, molte volte queste facoltà si manifestano spontanee in momenti di necessità o pericolo, altre volte in stati di semi-incoscienza, altre ancora durante intensi sforzi fisici o mentali, cioè situazioni in cui si può dire che la logica e la razionalità ‘collassano’ o vanno ‘in tilt’. In queste occasioni ci si chiede chi o cosa abbia agito, vedendolo come un intervento esterno. In realtà è un avvenimento interno, cioè messo in moto da un aspetto di noi che non conosciamo solo perché nessuno ce l’ha mai presentato.

Lo sviluppo di una percezione ampliata si ottiene accettando volontariamente di “‘contenere” parte della propria razionalità per dare all’irrazionale e alla sensitività quella libertà molto temuta, probabile fonte di sviluppi imprevedibili. La nuova capacità nasce dalla continua interazione tra illogicità e razionalità, e non può formarsi esclusivamente da una delle due. Si genera quando questi due aspetti della mente umana sono entrambi maturi, sviluppati e utilizzati. Per quanto improprio, si potrebbe dire – a titolo di similitudine – che si forma un “terzo cervello”.

Questo terzo è dato e non condensa e non sovrintende i due da cui si è sviluppato: cioè non è una percezione che li riassume o li governa. Ciascuna modalità rimane distinta e autonoma: razionalità e irrazionalità conservano le loro caratteristiche e le loro competenze, mentre la terza modalità esiste a sè stante e provvede in modo autonomo e diretto al funzionamento della percezione extrasensoriale, delle manifestazioni ‘paranormali’ e altro. Chi ha (o ha avuto) modo di vivere una situazione o stato ‘anomalo’ può (o ha potuto) sperimentare questa completa autonomia, dove l’azione interviene direttamente, senza alcun coinvolgimento intellettuale, in assoluta libertà e perfetta conoscenza.

PER CONCLUDERE

Coloro che ci hanno preceduto in questo viaggio hanno sempre definito l’espressione delle facoltà latenti di secondaria importanza. Fare delle facoltà paranormali un indice di evoluzione spirituale è altrettanto limitante come pensare il mondo percepito dai cinque sensi fisici come realtà definitiva e immutabile.

Il desiderio di sviluppare la percezione può essere da sprone per esercitare tecniche i cui benefici si estendono nell’invisibile, ma pensare che le manifestazioni paranormali siano il massimo ottenimento è non avere ben compreso la grandezza della coscienza.

Tutto ciò che la mente umana può pensare come apice dell’esperienza, della comprensione e della conoscenza, è semplicemente un gradino di una scala infinita. La percezione extrasensoriale è utile per una comprensione più profonda e particolare del mondo comunemente inteso, predisponendo il riconoscimento degli aspetti e dei processi sottostanti e generanti la manifestazione, maschera visibile di realtà invisibili.

La percezione extrasensoriale, ben lungi dall’essere il punto d’arrivo, è semplicemente un altro strumento di indagine disponibile a un certo punto del cammino. Come il ricercatore scientifico utilizza e acuisce i suoi sensi/strumenti fisici per approfondire e estendere la conoscenza delle innumerevoli meraviglie del mondo fisico, così il ricercatore metafisico può utilizzare e acuire la sua percezione per vivere sempre più l’esperienza di quella Realtà che trascende i concetti culturali di normalità/paranormalità – regola/eccezione – ordine/caos, e la cui incommensurabile vastità e varietà si dispiega e si concentra nell’ “Esistere”.—

– Estendere i confini, 2

Il canale di comunicazione, Paola

31 domenica Mar 2019

Posted by Paola in Estendere i confini, Linguaggio, Paola, Percezione, Realtà Parallele, Stati altri di coscienza

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Il canale di comunicazione, Paola (2005)

“Ho sentito dire che c’è una finestra
che si apre da una mente sull’altra,
ma quando non c’è parete
non c’è alcun bisogno
d’inserirvi una finestra o un chiavistello.”

Rumi

– – – – – – – – – – – – – –

La diffusione e la popolarità di messaggi canalizzati sta portando alla ribalta una potenzialità dell’uomo che spesso viene negata o relegata in ambiti più ristretti e controllati.

Molti considerano il channelling (canalizzazione) equiparabile alla medianità e il canalizzatore (canale o channel) al medium. Negli ultimi anni i due termini hanno assunto una sfumatura diversa, intendendo il medium la persona che si offre come mezzo di trasmissione perdendo totalmente o per buona parte coscienza di sé, mentre il canale o canalizzatore riceve e trasmette rimanendo cosciente. A causa della differenza tra questi due stati di coscienza, il medium – andando in trance – dà l’idea di non interferire con la trasmissione, mentre il canalizzatore si assume la responsabilità della traduzione, ed è questa particolare condizione che suscita in molti le maggiori perplessità. Nel contesto, una persona in stato incosciente sembrerebbe più affidabile di una cosciente.

Il channelling è ora portato all’attenzione da persone che trasmettono comunicazioni dalle più disparate provenienze. Questo fenomeno può essere studiato da molti punti di vista, ma ritenerlo un’alterazione della personalità o una frode per partito preso, è negare quella parte invisibile e fondamentale dell’uomo che, seppure ignorata o misconosciuta, è – secondo me – ben più preponderante dell’espressione fisica.

Coscienza e percezione espanse fanno parte dell’essere umano e, se non si mostrano in modo più comune, è solo perché si mantengono divise parti che in realtà dovrebbero essere parimenti sviluppate. Alcuni associano le facoltà paranormali, tra le quali certe forme di comunicazione, a un positivo grado di sviluppo spirituale. Poiché la letteratura sul tema riporta maggiormente casi di personaggi di una certa levatura, non pochi suppongono che queste manifestazioni riflettano l’integrità di chi le mostra, e quindi siano per se stesse una prova di affidabilità.

Da un certo punto di vista, entrare in contatto con dimensioni diverse non è necessariamente e direttamente collegato allo sviluppo spirituale, ma più semplicemente all’aspetto fisico, poiché l’azione oggettiva su questo piano si manifesta attraverso strumenti fisici. Infatti, ad esempio, c’è chi già nasce con particolari doti o chi se le ritrova a seguito di un trauma, chi ne ha pieno controllo e chi è in loro balia (con variazioni tra gli estremi). Infine, a qualcuno si sviluppano in un percorso di crescita globale.

SOGGETTIVITA’

Qualcuno associa la canalizzazione al passaggio di qualsiasi cosa proveniente dal mondo invisibile, sia che lo si intenda come subconscio della persona che come inconscio collettivo, forme pensiero, spiriti di defunti o entità di varia natura. Altri, invece, vedono in essa un nuovo modello di comunicazione spirituale ed accettano incondizionatamente che la nutrita serie di nomi esotici corrisponda ipso facto ad esseri illuminati e benevolenti di dimensioni “superiori”.

Quando si parla di comunicazione e di informazioni canalizzate, non si possono usare i criteri di valutazione di cui ci si avvale solitamente. Tutte le discussioni sull’affidabilità del canalizzatore, del materiale o della provenienza raramente hanno delle basi oggettive su cui porre od opporre testimonianze e prove.

La dinamica che più fortemente caratterizza il channelling è la soggettività. Soggettiva è la percezione di chi canalizza o dice di farlo,  soggettive sono le fonti dei messaggi – poiché a definirle sono i canalizzatori, e soggettivo è il materiale stesso, derivando dai precedenti. E in ultimo ma non ultimo, soggettiva è la risposta di chi si trova di fronte al materiale canalizzato, in quanto – alla fine – chi ne decide l’attendibilità o meno è colui che ascolta o legge.

Volendo, si potrebbe considerare questo materiale come ogni altra informazione di questo mondo: parziale e provvisoria, vera per alcuni e falsa per altri.

IL CANALE

Caratteristica di chi canalizza è il mantenimento di uno stato di consapevolezza durante la comunicazione, trovandosi in uno stato alterato di coscienza nel comune stato di coscienza di veglia. Se il medium diventa un mezzo nello stato di trance non sapendo chi e cosa sta comunicando, un canalizzatore è cosciente dei suoi differenti stati e percezioni.

Il channelling non è semplicemente un passaggio di informazioni, ma soprattutto l’affermazione dell’apertura di un canale di collegamento e comunicazione cosciente verso e con l’invisibile. In altre parole, il vero canale è quello che si apre tra la personalità fisica ed il suo aspetto invisibile, apertura che permette di veicolare le percezioni/informazioni tra i due come tra vasi comunicanti, dove il contenuto si miscela e si livella.

L’apertura di questa modalità di comunicazione determina un rapporto diretto tra la personalità fisica e le sue controparti invisibili che si manifesta principalmente e in modo particolare nell’intimo. Da un certo punto di vista, si può dire che si tratta di un atto di fiducia verso il Tutto, poiché annullando la separazione si permette l’ingresso di ciò che prima rimaneva ignorato altrove.

L’INVISIBILE

Alcuni sostengono che “l’uomo è un essere spirituale che ha esperienze terrene”, ribaltando così il concetto di uomo terreno che ha/ può avere/ persegue esperienze spirituali. Questa prospettiva attribuisce al corpo fisico lo stato di porta e strumento sulla dimensione fisica che permette a un essere spirituale di farne esperienza utilizzando parte della sua reale totalità espansa. In questa definizione risiede la capacità che ha l’essere nello stato di umano di co-esistere con tutta la sua totalità e nel contempo – tramite questa natura fondamentale – di partecipare e di entrare in contatto con le altre dimensioni dell’invisibile.

L’apertura del canale fa entrare in comunicazione la personalità umana sia con la sua diretta controparte invisibile sia con il proprio essere spirituale. Con questo si intende che nel flusso dell’invisibile che irrompe nella coscienza della personalità fisica, si muovono correnti celate ed ignorate, molte delle quali con difficoltà riconosciute come proprie.

Il mondo dell’invisibile che si dischiude non partecipa del tempo secondo il piano fisico, ma esiste in uno stato di a-temporalità che mischia e associa senza logicità umana ciò che è di tutto l’essere espanso. Pertanto, dovendo passare su un piano governato da leggi fisiche ben precise, le cose si organizzano secondo la natura di tale piano, cioè in un’aggregazione logica apparente. In questa situazione inusuale, la mente fisica della persona non di rado osserva come “altrui” ciò che invece è “proprio”, e che può provenire sia dalla sua personalità invisibile che dal suo essere spirituale espanso sulle diverse dimensioni di esperienza.

Inoltre, sia la parte invisibile che quella spirituale di ciascuno intrattengono costantemente dei rapporti con le realtà di cui essi stessi costituiscono parte integrante, per cui – grazie a questo rapporto – ci sono relazioni anche con invisibilità e spiritualità diverse dalla propria che possono, data l’attivazione del canale di comunicazione e l’assenza di confine, inter-agire a loro volta con il corpo fisico e/o la personalità.

RESPONSABILITA’

Il mondo invisibile è denso di tutto ciò che l’uomo immagina e non immagina possa esserci. Quali che siano i termini utilizzati nelle differenti culture, muoversi all’interno di esso senza lasciarsi sopraffare dalla consistenza delle coscienze che lo formano necessita di strumenti che salvaguardino l’individualità.

Il primo atto di responsabilità assunto da chi riconosce l’apertura del proprio canale è verso se stesso, in quanto tale stato può essere talmente dirompente da spezzare i legami di una personalità che, pure, ha il suo motivo di esistenza.

La centratura deriva primariamente dal conoscere se stessi, lavoro sempre in corso che fornisce l’ancoraggio utile a non perdersi nel gioco degli specchi. La centratura aiuta così la persona a gestire e gestirsi – e non ad essere gestita – perché fuori dal mondo fisico leggi e valori sono differenti e, quindi, l’interazione tra i mondi personali deve in qualche modo essere adattata al piano corrispondente, nello specifico quello fisico.

Il discernimento che si acquisisce coltivando la centratura, è uno stato di vigilanza che permette di vagliare il flusso dei dati. Aprire la porta comunicante è definitivo, ed illudersi di poterla richiudere per tornare a uno stato di “inconsapevolezza” significa in realtà lasciarla incustodita. Lo stato di vigilanza che dovrebbe caratterizzare chi si è aperto, favorisce il sottile riconoscimento di ciò che è proprio da quello altrui, poiché a questo punto pensieri ed elaborazioni possono sembrare “propri”.

Nella comunicazione tra i mondi si è responsabili in prima persona di ogni percezione raccolta, non importa quale sia la provenienza, essendo la responsabilità su questo piano di chi su questo piano agisce.

Il discernimento è particolarmente importante durante la percezione mentre la centratura pesa maggiormente nell’elaborazione del percepito. Poiché lo stato di coscienza che permette la percezione è definito alterato, cioè “altro” o “modificato” rispetto allo standard, così la trasposizione sul piano umano può incontrare una serie di filtri e strutture della personalità di cui spesso non si è consapevoli e che influiscono su integrità e chiarezza di percezione, elaborazione e trasmissione.

La qualità del collegamento e della percezione sono caratterizzati dall’integrità della persona e del suo stato di coscienza del preciso momento in cui questi avvengono. Supporre che questa apertura garantisca percezione e corretto trasferimento immutabili nel tempo, significa non tenere conto degli aspetti umani e contingenti che coinvolgono la personalità. Il continuo lavoro di raffinamento degli strumenti percettivi non garantisce di per sé la qualità della comunicazione, qualità che dipende in buona misura dal grado di consapevolezza della persona in quello specifico momento.

LA COMUNICAZIONE

Un’apertura più o meno consapevole del canale di comunicazione è più diffusa di quanto si pensi, ma – essendo spesso un processo ignorato o represso – molti pensano che si tratti di facoltà specifiche di un ristretto numero di persone, e non considerano la possibilità di stare già avendo accesso al proprio canale preferenziale, con tutte le potenzialità conseguenti. Accorgersi dell’apertura del canale di comunicazione comporta una presa di coscienza che non può essere ignorata.

Entrare in rapporto diretto con una parte di sé sconosciuta può modificare o anche (s)travolgere l’intera esistenza di una persona. I riferimenti esterni possono perdere di significato o caricarsene di totalmente diversi; i concetti acquisiti per educazione e cultura si mostrano come tali; i rapporti interpersonali assumono un carattere più ampio, riconoscendo negli altri non solo la personalità fisica ma la loro totalità; gli avvenimenti non fanno più parte di una vita terrena limitatamente intesa, ma sono riflessi e risposte che dall’invisibile si proiettano in questo mondo visibile; l’esistenza diventa agibile e fruibile su differenti piani di espressione, osservando ogni azione riverberarsi in onde che raggiungono orizzonti precedentemente nascosti alla vista.

All’interno di questa nuova realtà, colma di presenze e di differenti intendimenti, ciascuno sceglie la propria via d’azione in base a ciò che soggettivamente decide come opportuno per procedere su quel cammino che in passato seguiva indicazioni oggettive. In altre parole, aprendosi il collegamento e volendo passare all’esplorazione di mondi invisibili, cartelli e indicazioni sono nell’invisibile e, come succede visitando una regione sconosciuta, a volte occorre domandare informazioni agli abitanti del luogo ed anche, se è il caso, chiedere a qualcuno di far da guida.

LINGUAGGI E CONTENUTI

La comunicazione è condizionata dai mezzi utilizzati, siano essi strumenti tecnologici o apparati biologici. Il cervello umano traduce in termini di frequenze riconoscibili per la struttura di cui fa parte – e della quale è al servizio – qualcosa che di per se stesso è di altra natura: per esempio, traduce per il nostro corpo fisico alcune frequenza come gradazioni di calore, altre come suoni, altre ancora come colori, e così via, e per ciascuna frequenza utilizza differenti sensori e decodificatori pur facendo tutti parte del medesimo corpo. Ed ecco, poi, che alcune persone vedono i suoni, altre hanno la percezione tattile dei colori ed infine c’è chi vede e sente cose che nessuno intorno riesce a cogliere. Le capacità di ricezione ed elaborazione del cervello umano sono poco conosciute, soprattutto quando osservate fuori da una cosiddetta ‘normalità’.

La trasposizione in linguaggio e contenuto di una comunicazione di natura strettamente personale è molto individuale, potendo anche dire che – a un certo livello – questa comunicazione diventa una comunione, senza movimento da … a …, proprio come nei vasi comunicanti, dove la variazione in uno dei due comporta un’istantanea ed identica rispondenza nell’altro.

Questa dinamica coinvolge anche chi canalizza per altri. Si potrebbe dire che chi legge o ascolta comunicazioni canalizzate, osserva solo quello che fuoriesce dal vaso fisico e non l’essenza (eventualmente) immessa. Quindi, il contenuto prodotto e veicolato durante la canalizzazione può essere commisto al materiale personale di chi lo ha percepito, cioè risente non solo della sua cultura, esperienze di vita, preferenze ed interessi – ma anche del livello di centratura, discernimento ed integrità che vive. A volte, questo si mostra in modo palese quando più persone affermano di canalizzare la medesima entità.

L’OSSERVAZIONE

Centratura, discernimento e integrità sono qualità che occorrono non solo a chi ha il proprio canale aperto, ma anche a chi entra in contatto con messaggi canalizzati. Come il canalizzatore utilizza questi strumenti per mantenere la consapevolezza della propria esperienza con l’invisibile, così dovrebbe essere per chi si trova di fronte a materiale canalizzato, essendo il rapporto di responsabilità che intercorre in questo successivo passaggio di informazioni identico, seppur traslato di piano.

Come il grado di consapevolezza e di coscienza di un canale definisce la qualità del suo contatto con l’invisibile, così la qualità del canalizzatore e di quanto espone è definita dal grado di consapevolezza e di coscienza di chi legge o ascolta.

La comunicazione con l’invisibile è una realtà aperta a tutti, anche per chi non ne è consapevole, pertanto la pulizia degli strumenti di percezione e lo sviluppo di centratura, discernimento ed integrità non è responsabilità particolare di qualcuno ma di ciascuno, non importa a quale mondo si rapporti.—

– Estendere i confini, 4

La stagione della concentrazione e strutturazione, Paola

08 martedì Gen 2019

Posted by Paola in Paola, Percezione

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La stagione della concentrazione e strutturazione, Paola (nota al gruppo di pratica)

Nel ciclo delle stagioni l’inverno è il periodo da qualcuno meno amato e da altri sofferto per mancanza di luce e calore. Tuttavia, è una  mancanza solo apparente perchè il calore e la luce non sono spariti ma, semplicemente, si sono contratti. Dato che “è dal Non-Manifesto che scaturisce tutto ciò che è manifesto“, quando tutto tace e scompare dalla percezione dei sensi, quello è il momento di maggiore potenzialità.

L’inverno è la stagione che precede l’esplosione della primavera… è il momento in cui la freccia viene ritratta per fornire della massima energia il momentum in cui verrà rilasciata.

Se vogliamo entrare veramente in una nuova dimensione, non entriamo nell’inverno come in un periodo di riposo, ma come nel periodo durante il quale la nostra attività può acquisire la carica per raggiungere un obiettivo.

È, infatti, con l’inizio dell’inverno che le giornate riprendono ad allungarsi, che l’attività si rimette silenziosamente e inavvertitamente in moto. È dietro le quinte e lontano dagli occhi che si prepara ciò che poi si mostra sulla scena. L’allenamento dell’atleta è ignorato dal pubblico che assiste alla gara, e la messa a punto dell’invenzione che rivoluzionerà il mondo si svolge al riparo dalle indiscrezioni.

L’inverno non è una stasi, un fermo immagine, un tempo di attesa… L’inverno è – se lo si vuole – il periodo di maggior concentrazione delle proprie energie. È grazie al gelo che l’acqua forma i suoi splendidi cristalli, che si struttura assumendo forme di grande bellezza e armonia. Così l’inverno è il momento in cui noi possiamo avere maggior potere sulle nostre energie personali, trasformandole e strutturandole nella quiete e in un’apparente inattività. Non intralciati da fattori esterni, le plasmiamo a nostra immagine.

Vi invito, pertanto, a entrare nell’inverno attivamente e non passivamente, mantenendo accesi il vostro fuoco e luce interiori, a fare dei momenti di isolamento momenti di trasformazione, di messa a punto, di strategia, di assemblamento per ciò che vorrete manifestare per voi e al mondo come nuovo o rinnovato alla ripresa del nuovo ciclo.—

Se le foglie sono morte…, Paola

30 martedì Ott 2018

Posted by Paola in Coscienza, Paola, Percezione, Società, Stati altri di coscienza

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Se le foglie sono morte… , Paola (nota al gruppo di pratica)

Cominciano a cadere le foglie e il colore dell’autunno si fa più presente. Tra breve si aprirà quel passaggio tra i mondi che noi celebriamo come le feste di Ognisanti e Commemorazione dei Defunti. Non intendo qui ricollegare le nostre celebrazioni alla festa di Halloween o di Samhain delle antiche popolazioni irlandesi, che celebravano tra il 31 ottobre e il 1° novembre la fine del vecchio e l’inizio del nuovo anno del loro calendario. Tuttavia, in questi giorni si è consapevoli di un’apertura tra il mondo dei “vivi” e quello dei “morti”.

Per quanto mi riguarda, ciascuno di noi apre questo portale con il ricordo di coloro che ci hanno preceduto, ci hanno dato origine e di cui esprimiamo tratti fisici o caratteriali. Molti di noi conoscono le Costellazioni Familiari e hanno avuto esperienza della concretezza di come le energie dei membri della famiglia anche trapassati possono continuare a manifestarsi e interagire nel mondo dei “viventi” tramite noi, spesso inconsapevoli. Sia che si voglia considerare queste manifestazioni come ereditarietà genetica, residui energetici di nostri avi, parti neglette di noi stessi, espressioni di nostre precedenti incarnazioni o, anche, provenienti da vite parallele, questi giorni sono il momento migliore per venire a patti con esse.

Chi ha familiarità con la sua cosmologia interiore può interagire con esse attraverso i vari metodi che alcune tradizioni hanno conservato; coloro che invece non hanno tale dimestichezza, possono operare una guarigione altrettanto profonda con un atto di riconoscimento e di considerazione per i membri della propria famiglia sia viventi che trapassati; soprattutto quelli meno nominati, meno amati o di cui sfugge più facilmente la storia o il ricordo. Infatti, può capitare che siano delle ereditarietà di questi parenti “trascurati” quelle che si celano negli aspetti di noi che tendiamo a non voler mettere in discussione o a compensare. Parafrasando Bert Hellinger, ciò che si tace o che non viene rivelato esercita maggiore influenza di quel che è espresso; e, citando James Mahu: “La dimensione è sempre modellata dalla non-dimensione”.

La visita ai cimiteri è anche occasione d’incontro tra vivi che a volte non si frequentano, e questo – nonostante la brevità del momento – può favorire una guarigione per il solo fatto di essersi “riconosciuti”. Infatti, il ritrovarsi tra parenti e amici (vivi e morti, insieme) può essere occasione di una guarigione grazie a quel momento di pacificazione all’interno dell’“anima familiare”, quell’entità energetica che accoglie e accomuna tutti i più disparati moti dei singoli membri di una stessa famiglia di sangue.

Vorrei invitare – durante il prossimo periodo – a cogliere ogni segnale che l’anima familiare possa inviare, e a vivificare il rituale della visita ai cimiteri per renderlo significativo e proficuo di generosi cambiamenti.

Poichè, anche se a terra le foglie sono morte, l’albero è sempre vivo. —


Aricolo correlato: Nel mondo eterno, tempo e spazio sono diversi?, John O’Donohue

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