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Archivi della categoria: Neoscienze

Saturazione delle memorie, P. Manzelli

26 giovedì Ott 2017

Posted by Paola in Coscienza, Evoluzione, Neoscienze, Società

≈ Commenti disabilitati su Saturazione delle memorie, P. Manzelli

Saturazione delle memorie, Paolo Manzelli (2004)

La volontà di apprendere oggigiorno viene fortemente inibita dalla troppa informazione non motivante l´EGO, pertanto l’unico modo per riattivare la volontà di sapere risiede nell’essere estremamente concisi ed innovativi nelle forme espressive per generare la curiosità di intendere e significare ulteriormente personalizzando ciò che viene appreso.

Il nostro cervello per la formazione storica dell’EGO individuale e collettivo, necessita di evolversi come un sistema di anticipazioni che utilizza il memorizzato per favorire un pronostico sull’avvenire come è necessario per gestire il presente sulla base di ipotesi sul corso di sviluppo degli eventi.

Ricordo che da studi di Risonanza Magnetica Funzionale (RMF) sull’attività cerebrale, la capacità decisionale che fa parte del sistema volitivo, tende ad attivare alcune zone cerebrali quali l´ACUMEN (zona primariamente responsabile dell’attenzione), e porle in connessione con il Sistema Limbico (che colora la nostra vita di emozioni); tali sezioni cerebrali successivamente integrano le loro informazioni neuronali elaborate dall’intero sistema cerebrale, focalizzandole nella parte posteriore del cosiddetto “Giro del Cingolo”, dove sembra si concentri la capacità di valutazione del beneficio che si ottiene dall’apprendimento, in relazione alla elaborazione delle attese; quest’ultime sono in gran misura il frutto delle capacità di rielaborazione prospettica delle memorie.

Pertanto la crescita fuor di misura di informazioni frammentarie, che spesso vengono giudicate obsolete in relazione al quadro delle prospettive storiche di sviluppo sociale ed individuale, che determinano la Formazione cosciente dell’EGO, conducono il sistema mnemonico verso la saturazione, e di conseguenza la memoria diviene incapace di generare una fertile rielaborazione del sistema di riferimento cognitivo in senso prospettico ed anticipativo.

In tal senso è il valore di anticipazione delle memorie che decade, proprio in quanto la memoria non è facilmente rieleborabile per gestire il presente in una prospettiva di futuro sviluppo e ciò incide fortemente nel demotivare ogni ulteriore apprendimento.

Paolo Manzelli, Università di Firenze

Fonte originale: http://www.neuroscienze.net

La pienezza del vuoto, Trinh Xuan Thuan (Libro)

28 giovedì Set 2017

Posted by Paola in Filosofia, Libri, Neoscienze

≈ Commenti disabilitati su La pienezza del vuoto, Trinh Xuan Thuan (Libro)

La pienezza del vuoto: dallo zero alla meccanica quantistica, tra scienza e spiritualità – Trinh Xuan Thuan, Casa Editrice Ponte alle Grazie

Dalla Premessa

(…) Come l’infinito, il vuoto non ha mai cessato di manifestarsi sotto le apparenze più varie, in differenti ambiti del pensiero umano. Ha attirato l’attenzione non soltanto di filosofi e teologi, ma anche di matematici, fisici e cosmologi, e ogni volta l’incontro con esso ha consentito all’uomo di crescere e progredire. Come notava giustamente Leonardo da Vinci, di tutti i grandi concetti che ci portiamo dentro, quello di nulla è senza dubbio il più fecondo.

Il vuoto si è manifestato nel mondo della matematica sotto forma di zero. A tal proposito sorge un interrogativo: perché, nonostante i notevoli progressi realizzati dai Greci in campo matematico, lo zero non è nato in Occidente, bensì in Oriente? Perché ha suscitato una così grande paura nei pensatori occidentali, mentre è stato accolto a braccia aperte da quelli orientali? Perché si è dovuto attendere che il genio matematico indiano gli conferisse finalmente, nel Quinto secolo d.C., lo status di numero a pieno titolo? Nel primo capitolo tenteremo di rispondere a tali quesiti. (…)

Nel secondo capitolo analizzeremo i primi tentativi scientifici di definire il concetto di vuoto. In che modo il vuoto ha fatto il suo ingresso nelle scienze fisiche con l’atomismo di Leucippo e Democrito, verso il Quinto secolo a.C.? Perché le voci degli atomisti furono subito soffocate da quelle assai più influenti di Platone e soprattutto di Aristotele, il quale proclamò che «la natura aborrisce il vuoto»? (…)

Nel terzo capitolo prenderemo in considerazione l’idea aristotelica del cosiddetto «etere», una «quintessenza» invisibile, più leggera dell’aria, dell’acqua, della terra e del fuoco, che pervaderebbe l’universo intero. In che modo si è evoluto, nel tempo, questo concetto? Perché grandi scienziati come Newton, con la teoria della gravitazione universale avanzata nel 1687, e Maxwell, con la sua dimostrazione della natura elettromagnetica della luce, effettuata nell’Ottocento, hanno sentito il bisogno di fare riferimento all’etere per corroborare le loro ipotesi? Le teorie scientifiche devono essere sottoposte alla verifica sperimentale o all’osservazione. Come si può dimostrare l’esistenza (o la non esistenza) dell’etere? (…)

Anche la meccanica quantistica, l’altra grande branca della fisica che ai primi del Novecento ha descritto il mondo degli atomi e delle particelle subatomiche, ha elaborato un’idea radicalmente nuova del vuoto. Nel quarto capitolo ci occuperemo di questa sua concezione inedita, chiedendoci, in particolare, se la materia di cui sono composti il nostro organismo e gli oggetti intorno a noi non sia altro, come affermano i fisici, che «quasi vuoto». Supponendo di eliminare tutta la materia dallo spazio, otterremmo un «vero vuoto»? (…)

Nel quinto capitolo parleremo di cosmologia, perché l’universo e il vuoto sono intimamente connessi. Com’è passato, questo universo, dalla non esistenza all’esistenza, dal non essere all’essere, dal nulla al qualche cosa? Qual è il ruolo del vuoto nella sua nascita? Come ha potuto, il vuoto, essere la causa del Big Bang, l’esplosione primordiale avvenuta 13,8 miliardi di anni fa che proiettò l’universo verso una spaventosa espansione a partire da uno stato estremamente piccolo, caldo e denso? Come ha potuto, dal vuoto, generarsi tutta la bellezza e la complessità del mondo? (…)

Infine, nel sesto e ultimo capitolo confronteremo la conoscenza razionale del cosmo con il sapere mistico orientale. Il Vuoto, infatti, svolge un ruolo essenziale nelle visioni taoista e buddista del mondo. Per i taoisti, il Tao è il Vuoto all’origine dell’universo. È identificandosi con il Vuoto originale che l’uomo diventa lo specchio del mondo e può apprendere il ritmo del tempo e dello spazio. Quanto al buddismo, parla in maniera esplicita del Vuoto o della vacuità delle cose. A causa dell’interdipendenza dei fenomeni, afferma, niente può esistere in sé e per sé, né può essere la causa di se stesso, e la realtà è priva di esistenza intrinseca. In che modo le visioni della spiritualità orientale si conciliano con la concezione scientifica del vuoto?

Questo libro si rivolge a tutte le «persone di buona volontà» interessate alle nozioni scientifiche e filosofiche sviluppatesi nel corso dei secoli sul tema del vuoto. Scrivendolo, ho cercato di evitare i discorsi troppo tecnici, in maniera da risultare accessibile anche al lettore privo di una cultura scientifica avanzata. Nel contempo, però, mi sono sforzato di non rinunciare in alcun modo al rigore e alla precisione dell’esposizione. Il testo è accompagnato da illustrazioni che da un lato aiutano a comprendere meglio i concetti, dall’altro allietano la lettura.

Trinh Xuan Thuan Parigi, giugno 2016

– Estratto da: Thuan, Trinh Xuan. La pienezza del vuoto: Dallo zero alla meccanica quantistica, tra scienza e spiritualità – Ponte alle Grazie.

 

La teoria delle superstringhe e la materia di settore nascosta: intervista al fisico John Hagelin, C. Montana (2006)

15 sabato Apr 2017

Posted by Paola in Coscienza, Neoscienze, Realtà Parallele

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La teoria delle superstringhe e la materia di settore nascosta: intervista al fisico John Hagelin, Cate Montana (What the Bleep) (2006)

Esplorando il mondo misterioso della materia e dell’energia oscura, ci troviamo di fronte a “una forma completamente trascendentale e non manifesta di energia e di materia” che può essere uguagliata al Vuoto biblico. Indagheremo ora, invece, qualcosa di presente nei regni manifesti chiamata materia di settore nascosta.
Quanto nascosta è la materia di settore nascosta? Molto nascosta. Bisogna essere ben ferrati nella teoria delle stringhe per averla sentita almeno nominare. Fortunatamente, mentre stavamo esaminando le centinaia di pagine di trascrizione che abbiamo compilato per il secondo film del Bleep, ci siamo imbattuti in un breve accenno alla materia di settore nascosta come un potenziale “universo di pensiero” proprio in una delle interviste al dr. John Hagelin. Tale è stato l’interesse destato che siamo tornati da lui a fargli delle domande – e come siamo contenti di averlo fatto! All’inizio questa intervista è un po’ tecnica. Non mollate. Porta, infatti, il luoghi molto interessanti.

WTB – La materia di settore nascosta è la stessa cosa della materia oscura? È collegata all’energia oscura? O è completamente diversa?

Hagelin – Sono tre cose totalmente indipendenti.

WTB – Allora com’è che la teoria delle superstringhe apre la possibilità a una sfera del pensiero, che si dice sia chiamata materia di settore nascosta?

Hagelin – Beh, devo iniziare dicendo che questa indagine sulla materia di settore nascosta in relazione alla sfera del pensiero è speculativa ed è principalmente opera mia. Detto ciò, le teorie delle superstringhe – in pratica – prevedono tutte la presenza della materia di settore nascosta, che per molti aspetti è simile alla materia familiare, formata di particelle e forze, e per altri aspetti, minori, può essere diversa. Ciò che rende nascosta la materia di settore nascosta, è che, almeno nell’interpretazione comune, interagisce con la materia di settore osservabile o materia comune, solo attraverso la sua influenza gravitazionale.

Se questo fosse veramente il punto, tale materia nascosta sarebbe quasi irrilevante per il nostro mondo di materia ordinaria, perché l’interazione gravitazionale tra qualsiasi cosa è normalmente troppo debole per assumere un qualche interesse. Del resto, ci sono eccezioni in quantità a tale affermazione. Se la materia di settore nascosta si aggrega in pianeti e stelle, potrebbe avere un forte effetto gravitazionale su di noi. O, se la materia di settore nascosta si aggrega attorno al sole a causa dell’attrazione gravitazionale del sole stesso, o si aggregasse attorno alle galassie a causa dell’attrazione gravitazionale delle galassie stesse, quella materia di settore nascosta si aggiungerebbe alla forza di gravità del sole; si aggiungerebbe alla forza di gravità delle galassie.

Ci sono circostanze, perciò, nelle quali l’interazione con la materia di settore nascosta attraverso la forza di gravità potrebbe essere d’interesse. Detto ciò, la materia di settore nascosta diventa veramente interessante quando riconosciamo che la prima premessa, ovvero che interagisca con noi solo in modo gravitazionale, è generalmente falsa. Oltre alla sua interazione gravitazionale, la materia di settore nascosta può avere, e spesso ha su di noi una debole influenza elettromagnetica. Eppure anche come debole influenza elettromagnetica, forse mille volte più debole della normale influenza elettromagnetica, è lo stesso miliardi di volte più potente della forza di gravità. Preso atto delle sue interazioni elettromagnetiche nei confronti della materia comune, la materia di settore nascosta diventa molto più affascinante.

WTB – Perché l’hai definita “la sfera del pensiero”? O tale riferimento si rifà alla sfera del pensiero solo potenzialmente?

Hagelin – Tale materia è un buon candidato per un mondo-pensiero – o un mondo di pensiero – numero uno: a causa delle sue dettagliate proprietà, un vasto soggetto sul quale possiamo ritornare. Numero due: perché abbiamo bisogno di una spiegazione fisica per il pensiero. Abbiamo bisogno di un qualcosa, quando ci si guarda dentro nel profondo, per connettere il cervello fisico con il campo unificato di consapevolezza. E il campo unificato della consapevolezza esiste alla dimensione super-unificata di 10 alla meno 33 cm, che è molto al di sotto della dimensione nucleare.

WTB – Ti riferisci alla scala di Planck?

Hagelin – Sì. E se quella è la sfera della consapevolezza, e sono sempre più innumerevoli le ricerche a suggerire la possibilità che definitivamente lo sia – si tratta del campo unificato, la scala di Planck. Abbiamo bisogno di un qualcosa che connetta la consapevolezza al cervello fisico e ai neuroni; per fornire una connessione tra quello che è un organo molto macroscopico, il cervello – e persino i neuroni e il DNA dentro ai neuroni – con la microscopica scala di Planck.

WTB – Ti riferisci al lavoro di Roger Penrose con Stuart Hameroff?

Hagelin – Sì, c’è un legame. Roger Penose, infatti, fu tra i primi ad insinuare che il fenomeno che chiamiamo consapevolezza potrebbe in definitiva essere un fenomeno di scala di Planck. Ecco la connessione. Ha lavorato su certi meccanismi che aiutano a renderlo plausibile. Non credo sappia della teoria delle superstringhe e della materia di settore nascosta. Potrebbe esserne alquanto eccitato. La materia di settore nascosta ci dà, in molti modi, una connessione tra la consapevolezza ed il cervello fisico, e questo, di nuovo, richiederebbe una scala di forze molto, molto corte. E sono le proprietà della materia di settore nascosta che la rendono un legame davvero naturale tra la fisica dell’infinitamente piccolo e la sfera della consapevolezza, e la fisica macroscopica del cervello.

Bisogna che tale connessione esista, perché la consapevolezza è intimamente connessa con la percezione sensoriale, i nostri organi di movimento, e l’attività del cervello umano. Però, la consapevolezza fondamentalmente non è creata dal cervello. Può essere riflessa dal cervello, modulata dal cervello, ma non creata. Non secondo la mia comprensione, e non secondo l’esperienza diretta di quello che è la consapevolezza nei secoli, specialmente ora, in questa generazione, con la rinascita della meditazione. E l’abbondanza di ricerca sulla meditazione, l’esperienza della consapevolezza stessa, afferma che è fondamentale nella creazione e trova la sua fonte ultima in questo campo unificato di intelligenza alla base della mente e della materia. Questa è l’esperienza diretta.

Un numero sempre crescente di prove dà supporto al ruolo fondamentale della consapevolezza nell’universo fisico. Ora che arriviamo a comprenderla come il campo unificato, dovremmo comprendere la mente. Dovremmo capire il pensiero, che è il vero collegamento tra la pura e astratta consapevolezza e il cervello fisico.

La materia di settore nascosta ha delle meravigliose proprietà che si prestano a fornire un tale collegamento tra la piccolissima sfera della consapevolezza e la più macroscopica sfera del cervello. Una delle chiavi di tali proprietà si chiama invariabilità di dimensione. E l’invariabilità di dimensione è un elemento interessante della materia di settore nascosta. L’invariabilità di dimensione significa, in pratica, che la grandezza non conta. Questo non è vero nella fisica comune. E non è vero per le grandissime particelle in generale. Qualsiasi cosa fatta di comune materia non ha un’invariabilità di dimensione.

Possiamo prendere un essere umano ed ingrandirlo fino a 10 volte la nostra altezza, 10 volte la nostra larghezza e 10 volte la nostra profondità, e si potrebbe pensare che, insomma, come faremmo a saperlo [se succedesse]? Se ingrandissimo gli alberi, ed ingrandissimo la nostra casa ed ingrandissimo il nostro letto, come potremmo mai sapere di essere 10 volte più grandi? Beh, lo sapremmo. Alla fine crolleremmo sotto il nostro stesso peso. Perché il nostro peso – ecco una spiegazione basilare – il nostro peso cresce al cubo della nostra altezza. La resistenza delle nostre ossa, però, cresce solo al quadrato della lunghezza e della larghezza dell’osso. Le cose, quindi, non crescono in scala alla rinfusa. Gli esseri umani hanno la loro dimensione ideale, non potremmo essere molto più grandi, non potremmo essere molto più piccoli, semplicemente non potrebbe funzionare. Lo stesso con gli insetti. Hanno una dimensione caratteristica, e non si può semplicemente fare un insetto gigante come si faceva nei film dell’orrore negli anni ’50 e sperare che il poveretto sopravviva.

Le cose hanno una misura o dimensione naturale nel nostro mondo di grandi particelle giganti. Questo, però, non è il caso nel regno del settore nascosto,. E la fisica del settore nascosto – i suoi meccanismi, la sua meccanica – è tutta a invariabilità di dimensione. Che significa che la dimensione delle cose semplicemente non conta? Significa che si potrebbe avere un meccanismo o un fenomeno nel settore nascosto che interagisce con il cervello, e può essere della grandezza del cervello o di un neurone. Si può avere un’interazione tra la materia di settore nascosta e la materia cerebrale. Quello stesso meccanismo potrebbe letteralmente, e lo farebbe, restringersi fino alle dimensioni di un punto. La stessa dinamica potrebbe avvenire alla dimensione di un punto, al contrario di questa dimensione più macroscopica e fornire questa specie di ponte di invariabilità di dimensione tra la fisica delle grandi dimensioni nel cervello e la fisica microscopica della scala di Planck. Perciò fornisce una connessione naturale tra il grande e il piccolo trascendendo, completamente le dimensioni.

Questo è un tantino tecnico, ma è un punto importante. Aiuta a descrivere perché la dimensione non conta. E l’altra cosa è, per i meditatori e altri che l’hanno sperimentato, o persino lo sperimentano regolarmente, che noi abbiamo una speciale fisiologia sottile; talvolta è definita corpo mentale, talvolta corpo sottile, o corpo astrale. Abbiamo un veicolo fisico più sottile legato a noi che, in certe circostanze, si può muovere indipendentemente dal corpo. E quel veicolo contiene la nostra consapevolezza. È come un contenitore di consapevolezza, un contenitore o veicolo per il pensiero. E con questo potete viaggiarci. Potete imparare a sviluppare l’abilità di lasciarvi alle spalle il vostro corpo fisico e entrare in quello sottile – non è qualcosa che raccomando. Seppure, in certe circostanze avviene spontaneamente. Non è una capacità particolare che vale la pena di coltivare, e ha persino i suoi piccoli rischi. E’ però un’esperienza conosciuta, e certamente anche una mia esperienza. E’ per questo che posso parlarne con una sicurezza empirica basata sull’esperienza, o esperimento.

C’è un corpo più sottile di quello che chiamiamo “corpo fisico” e è intimamente associato con quello che chiamiamo pensiero, o mente. E nel momento che vi capita di fare tale esperienza, specialmente se siete un fisico o un ingegnere, dovete chiedervi: “Questo, di che cosa è fatto?”

E presto vi troverete a scartare le solite possibilità. È fatto di luce? No. Quella sarebbe una naturale prima supposizione perché è, in un certo senso, un veicolo luminoso e traslucido. La luce, però, non resta unita. Non si può avere una palla di luce appiccicosa. La luce si disperde in ogni direzione. Non ha la capacità di aderire in quello che si definisce un solitone, o pezzo, o veicolo di qualche sorta. Quindi non è luce – e di certo non forza di gravità, e nemmeno la forza nucleare forte o debole, perché quelle sono forze a raggio limitatissimo. E alla fine esaurisci le possibilità, e ti rendi conto che abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo. Magari, qualcosa di nuovo che appare alquanto complicato. Probabilmente non è solo un tipo di particella o un tipo di forza, ma uno stato aggregato di forze e particelle … proprio come gli atomi sono tenuti assieme da fotoni di luce, elettroni, protoni, neutroni e particelle.

Quindi, un esame relativamente elementare delle caratteristiche di base di questo corpo sottile, o corpo di pensiero, rivela che è formato di materia non convenzionale. E allora la fisica a quel punto si fa avanti e limita le possibilità a una. Quella possibilità è la materia di settore nascosta. Perché, non è nient’altro. Quando si arriva alla materia di settore osservabile, quando si arriva al mondo delle forze e particelle che formano la materia osservabile, sappiamo ciò che sono. E sappiamo che non ce ne sono altre.

Fondamentale a questa spiegazione di tale materia collegata al pensiero, o forse, persino quale sostanza dei nostri corpi di pensiero, è il bisogno di quel corpo di pensiero fatto di materia di settore nascosta di interfacciarsi, in qualche modo, con il nostro cervello fisico. Come avviene? Come si intensifica quella connessione, o persino in che modo si sfrutta quella connessione per sviluppare rare abilità?

Beh, poiché la materia di settore nascosta è elettricamente carica, benché debolmente – chiamiamola carica elettricamente in modo frazionale – non ha la carica elettrica di un elettrone o protone, ma qualcosa come un millesimo di quello. Ciò significa che si attaccherà in modo lasso, elettrostaticamente, alla materia comune. Proprio come un qualcosa che ha una piccola carica elettrica, come un pezzo di plastica carico di elettricità statica aderirà alla mano o alla vostra maglia.

Ci nutriamo di cibo. Respiriamo aria, ma consideriamo ora quei cibi che sono pieni di materia organica. E questa stessa materia organica avrà probabilmente attaccate a sé piccole quantità di materia di settore nascosta. E così il corpo potrebbe accumulare materia di settore nascosta. Potrebbe persino concentrare materia di settore nascosta in diversi organi, nel cervello. Questo è speculativo, ma sto insinuando, possibilmente, che quelle che noi chiamiamo strutture subcorticali o gangli basali, cose come la ghiandola pituitaria, l’ipotalamo, ecc. potrebbero facilmente concentrare quantità di materia di settore nascosta che si agganciano al nostro DNA, o forse persino si agganciano alla sinapsi neurale.

Una volta che abbiamo la materia di settore nascosta “incrostata” sopra, o incorporata nella nostra ghiandola pituitaria ad esempio, quella stessa materia, che si è concentrata nella ghiandola pituitaria, scruterà direttamente nel mondo del settore nascosto. Perché essere fatti di materia di settore nascosta, che contiene cariche di settore nascoste analoghe alla carica elettrica, interagirà elettromagneticamente. Ma non al normale fotone del nostro mondo osservabile, particelle, luce, la forza dell’elettromagnetismo – ma ad un fotone di quel settore, che è una forza analoga nel mondo del settore nascosto che noi sappiamo che c’è e deve esserci.

È un altro tipo di luce. È essenzialmente come la nostra luce, ma non rilevante per il nostro mondo. È un tipo di luce diversa che è rilevante per questo mondo di pensiero; rilevante per il mondo del settore nascosto. E se abbiamo materia di settore nascosto incrostata sul nostro cervello da qualche parte, allora quella può scrutare direttamente nel mondo di settore nascosto attraverso il fotone di quel settore, che può vedere tutto nel “mondo nascosto” come noi vediamo con i nostri occhi fisici il nostro mondo. A patto che il nostro sistema nervoso concentri ed accumuli materia di settore nascosta, attraverso questo tipo di materia, ha una finestra in questo mondo di pensiero.

WTB – Allora, in sostanza, risuoneremo alla sua frequenza? Perché il nostro sistema ne è impregnato fino al punto di risonanza?

Hagelin – Sì, ben detto. Tecnicamente, potrei affermare che le frequenze potrebbero essere le stesse del nostro mondo. Ma non è tanto la frequenza del fotone il punto, è l’identità… quale tipo di fotone. Un fotone che vede la normale carica elettrica? O il fotone tipo del settore nascosto che vede solo cariche di settore nascoste? Perciò quello che hai detto è corretto. Voglio dire, il mondo della frequenza potrebbe non essere esattamente quello. … Significherebbe che se i nostri corpi di settore nascosto fossero semplicemente attaccati ai nostri corpi fisici attraverso un collegamento elettrostatico, quel legame si potrebbe facilmente interrompere – proprio come si può tirar via un pezzo di plastica statica dalle dita. E potrebbe muoversi indipendentemente. E potrebbe certamente riattaccarsi. Potresti essenzialmente portar via la tua mente con te e riportarla indietro.

Queste sono idee ancora in evoluzione, consistenti con quello che sappiamo della fisica e del regno del pensiero. E uno dei forti motivi perché questa ricerca continui è per eliminazione; di base si tratta della mancanza di una comprensione alternativa su ciò che il pensiero è. Come poter connettere il sottostante mondo della consapevolezza con la scala di Planck, e il mondo fisico del cervello e dei processi cognitivi; e come comprendere di che cosa è fatto questo corpo di pensiero universalmente sperimentato? Com’è che possiamo avere un contenitore che trasporta la nostra soggettività o consapevolezza e che si può muovere separatamente dal corpo fisico – un’esperienza che è stata riportata, veramente, in ogni regione ed in ogni cultura nel mondo. Queste esperienze, se ci si guarda dentro, non si possono ignorare – forzano un ripensamento su che cos’è il pensiero. Non si possono “spazzare” queste anomalie lasciandole sotto il tappeto, per sempre – benché ci sia una naturale tendenza a farlo.

E se vuoi capire che cos’è il pensiero nel contesto di quello che sappiamo essere le leggi della fisica, inclusi gli ultimi sviluppi nella super-unificazione basati sulle superstringhe, si è veramente forzati nella direzione della materia di settore nascosta.

Uno dei motivi per i quali il progresso in questo campo è stato così lento è che ci sono veramente così pochi teorici delle stringhe, qualcuno in grado di pensare – voglio dire persone familiari con quello che è successo nella fisica, specialmente nell’ultima decade, interessate a fenomeni quali la consapevolezza. Il sovrapporsi di queste due comunità – chiamiamole la comunità della consapevolezza e quella della fisica – è così raro ancora; e per comunità della fisica intendo quegli scienziati che lavorano nei settori d’avanguardia della comprensione di come l’universo funziona e di che cosa è fatto, quella sovrapposizione è così piccola che il progresso in questo campo è certamente stato impedito. Forse ci sono persone eccellenti, come Bill Tiller.

Sfortunatamente, sono pochissimi quelli che hanno un’attuale comprensione dell’universo com’è conosciuto oggi. La gran parte di quello che oggi conosciamo dell’universo si è in realtà imparato nell’ultima decade. Il che significa che al momento non ci sono molti collaboratori e sviluppi in questa materia.

Fonte originale: Estratto da Scienza e Conoscenza n.18 (ottobre-dicembre 2006)

Che cos’è la coscienza? D. Chalmers (Libro)

24 venerdì Feb 2017

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Libri, Neoscienze

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david-chalmersChe cos’è la coscienza?, David Chalmers – Edizioni Castelvecchi

La coscienza pone i problemi più sconcertanti alla scienza della mente. Non c’è niente che conosciamo più intimamente dell’esperienza cosciente, ma non c’è niente che sia più difficile da spiegare. Negli ultimi anni, tutti i tipi di fenomeni mentali hanno ceduto all’indagine scientifica, ma la coscienza ha caparbiamente resistito. In molti hanno cercato di spiegarla, ma le spiegazioni sembrano sempre non essere all’altezza della situazione. Alcuni sono stati indotti a credere che il problema sia intrattabile e che non esista una spiegazione accettabile.

Per progredire nel problema della coscienza, dobbiamo fare i conti direttamente con esso. Nel mio articolo inizierò isolando la parte davvero difficile del problema, separandola dalle parti più facili da trattare in modo da mostrare perché essa sia così difficile da spiegare. Criticherò alcuni lavori recenti che utilizzano metodi riduzionisti per parlare della coscienza e spiegherò come sia inevitabile che questi metodi falliscano nel padroneggiare la parte più difficile del problema. Una volta riconosciuto questo fallimento, si può andare avanti. Nella seconda parte dell’articolo, spiegherò che se ci muoviamo verso un nuovo genere di spiegazione non riduzionista diventa possibile offrire una descrizione naturalistica della coscienza.

Propongo quindi la mia tesi per una tale descrizione: una teoria non riduzionista basata sui principi della coerenza strutturale, dell’invarianza organizzativa e di un duplice aspetto dell’informazione.

Indice

Parte prima – Affrontare il problema della coscienza

1. Introduzione – 2. I problemi facili e il problema difficile – 3. La spiegazione funzionale – 4. Alcuni studi-caso – 5. L’ingrediente extra – 6. La spiegazione non riduzionista – 7. Abbozzo di una teoria della coscienza: I) Il principio della coerenza strutturale; II) Il principio dell’invarianza organizzativa; III) Il duplice aspetto della teoria dell’informazione – 8. Conclusione

Parte seconda – Progressi nel problema della coscienza

In questa seconda parte del testo vengono riportati alcuni passaggi dell’articolata risposta di Chalmers ai numerosi studiosi che, da più parti, hanno espresso commenti, obiezioni e proposte relative all’articolo Affrontare il problema della coscienza (N.d.T.).

L’universo è una simulazione?, R. Paura

07 martedì Feb 2017

Posted by Paola in Neoscienze, Realtà Parallele, Società

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roberto-paura-180x180L’Universo è una simulazione?, Roberto Paura

Teorizzato dai filosofi, studiato dai fisici, preso sul serio dai titani della Silicon Valley: torna il più radicale dei dubbi.

Roberto Paura è dottorando di ricerca in comunicazione della fisica all’Università di Perugia. Giornalista scientifico, ha lavorato per Città della Scienza e Fanpage.it e ha fondato la rivista Futuri. È redattore della rivista di studi culturali Quaderni d’altri tempi.
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Nell’aprile scorso l’American Museum of Natural History di New York ha ospitato l’annuale “Isaac Asimov Memorial Debate” e ha invitato alcuni ospiti illustri a discutere del quesito “Il nostro universo è una simulazione?”. Per l’esattezza si trattava del filosofo David Chalmers, autore di Che cos’è la coscienza?; e dei fisici teorici Zohreh Davoudi, James Gates Lisa Randall e Max Tegmark. A moderare l’incontro c’era l’astrofisico Neil deGrasse Tyson, il volto più noto della divulgazione scientifica americana. Tanta concentrazione d’intelligenza per una domanda così bizzarra sembrerebbe una perdita di tempo. Se non che tutti i relatori, con l’eccezione di Lisa Randall, sono sostenitori più o meno convinti del cosiddetto simulation argument: l’ipotesi secondo cui l’universo sarebbe una simulazione informatica programmata da una super-intelligenza esterna alla nostra realtà. Specificità tecnologiche a parte, non si tratta di un’idea nuova. Dal velo di Maya alla caverna di Platone, dal dubbio metodico di Al-Ghazali al genio maligno di Cartesio, per finire con l’esperimento mentale del cervello nella vasca di Putnam; lo scetticismo circa l’autentica natura della realtà ha attraversato tutte le epoche e le latitudini del pensiero.

A rimetterlo in circolo nella sua formalizzazione più contemporanea è stato il filosofo analitico svedese Nick Bostrom. Direttore dell’Institute for the future of humanity di Oxford, nel 2003 Bostrom ha pubblicato su Philosphical Quarterly un paper dal titolo “Are you Living in a Computer Simulation?”. Dopo aver riepilogato le tesi a favore della nostra futura capacità di creare al computer menti dotate di consapevolezza, nel testo Bostrom speculava sulla possibilità che una civiltà super evoluta fosse in grado di sviluppare non solo una simulazione della realtà così ricca di informazione da essere indistinguibile dalla realtà stessa ma addirittura “un numero astronomico” di tali simulazioni. Da ciò desumeva, su basi probabilistiche, l’esistenza di forti indizi per ritenere che anche la nostra realtà non sia altro che una di queste simulazioni, realizzata da un’altra civiltà super intelligente ed esterna al nostro mondo.

A ciò aggiungeva un’altra congettura: se una civiltà simulata raggiungesse, grazie al progresso tecnologico, lo stadio post-umano, sarebbe a sua volta in grado di realizzare una simulazione dell’universo dotata di esseri coscienti. Se una simile eventualità si verificasse nel futuro della nostra civiltà, essa non solo dimostrerebbe che è possibile programmare simulazioni ma, ipso facto, aumenterebbe le nostre probabilità di vivere all’interno di una di esse. E non solo: una simulazione all’interno di una simulazione (una nested simulation, come la chiama Bostrom) richiederebbe un dispendio di calcolo, per i computer su cui gira la prima simulazione, tale che i programmatori di questa dovrebbero impedire questa possibilità o terminare il programma. Per questo motivo, sostiene Bostrom, il simulation argument non è solo un affascinante passatempo intellettuale ma un’ipotesi da prendere con la massima serietà dato che potrebbe rappresentare il principale e più sottovalutato existential risk per la prosecuzione della nostra civiltà.

Partito un po’ in sordina, con il passare degli anni, l’argomento di Bostrom ha attirato una crescente attenzione negli ambienti filosofici ,scientifici e tecnologici ed è diventato uno dei più discussi all’interno delle élite imprenditoriali della Silicon Valley. Non stupisce quindi che a sdoganarlo definitivamente presso il grande pubblico ci abbia pensato proprio un esponente di quelle élite: Elon Musk. Il quale, nel giugno 2016, ha dichiarato che, a suo parere, la possibilità che il nostro universo non sia una simulazione sia di appena una su un miliardo. Dato il pedigree del CEO di Tesla e Space X, la dichiarazione ha fatto presto il giro del mondo e destato immenso scalpore.

Una congettura fantascientifica
E dire che, per non farsi cogliere impreparati, sarebbe bastato leggere della buona fantascienza. È da tempi non sospetti infatti che questo genere si confronta con storie che attingono dalla stessa tradizione scettica a cui si è abbeverato Bostrom. Il tunnel sotto il mondo, per esempio, è un racconto scritto nel 1955 da Frederik Pohl. Il protagonista, Guy Burckhardt, vive in una tipica cittadina americana, Tylerton, dove la tranquillità è continuamente scossa da insistenti slogan commerciali urlati dagli altoparlanti di furgoncini che girano per le strade proponendo l’ultimo modello di frigorifero o l’ultima marca di sigarette. Una serie di stranezze, però, suggeriscono a Burckhardt che qualcosa non va come dovrebbe. Prima scopre che a Tylerton ogni giorno è sempre il 15 giugno; poi, che le persone intorno a lui sono tutte robot. Infine – nelle ultime, agghiaccianti righe del racconto – che la sua città è stata distrutta da un’esplosione e ricostruita in miniatura su un tavolo: Buckhardt stesso non è che una replica robotica in miniatura del vero Buckhardt. Il suo mondo finisce, alla lettera, sull’orlo di un tavolo di laboratorio.

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Quattro anni dopo Philip Dick avrebbe ripreso questi temi nel suo celebre Tempo fuor di sesto, dove Ragle Gumm, il protagonista, impegnato quotidianamente a risolvere il gioco a premi di un giornale, inizia a dubitare della realtà che lo circonda a seguito di una serie di coincidenze, che partono dal momento in cui cerca senza successo di accendere la lampadina del bagno tirando una cordicella che non c’è mai stata. Gradualmente scopre l’amara verità: la sua città è una finzione creata tutta intorno a lui, per ricordargli la sua infanzia negli anni Cinquanta e permettergli di risolvere con tranquillità il gioco a premi che nasconde in realtà una posta molto più grande di quanto sospetti, ossia la possibilità di prevedere la traiettoria dei missili balistici lanciati dal nemico nel corso di una lunga guerra nucleare.

Nel 1964 Daniel Galouye fa un passo più avanti e in Simulacron-3 (recentemente riproposto dall’editrice Atlantide con il titolo Il mondo sul filo) fa entrare finalmente in scena il potere della simulazione informatica. Douglas Hall, il protagonista del romanzo, uno dei capo-progettisti della simulazione “Simulacron-3”, in grado di replicare alla perfezione il mondo reale, scopre che il suo collega Fuller si è tolto la vita dopo aver fatto una scoperta spaventosa: il loro universo è in realtà una simulazione, creata con gli stessi scopi di Simulacron-3 (raccogliere e analizzare i feedback degli utenti sulle loro preferenze di consumo per orientare le strategie aziendali e le politiche pubbliche). Il romanzo di Galouye introduce per primo l’idea che, attraverso la capacità dei nostri computer di realizzare simulazioni sociali sempre più sofisticate, si possa arrivare a scoprire che anche il nostro mondo sia, a sua volta, creato al computer.

Se ai tempi di Galouye l’idea di simulare un intero universo al computer pareva una remotissima fantasia, l’anno scorso un videogioco come No Man’s Sky ha dimostrato che, almeno in parte, già oggi potrebbe non essere più così. Realizzato da un piccolo team indipendente, NMS è infatti in grado di creare fino a diciotto quintilioni di mondi alieni grazie a uno speciale algoritmo che, per ciascun pianeta, genera una fauna, una flora e una geografia peculiare e unica. “La fisica di ogni altro gioco è finta”, ha dichiarato il suo capo-progettista, Sean Murray.

Quando sei su un pianeta, sei circondato da un fondale tridimensionale, un cubo su cui qualcuno ha dipinto stelle o nuvole. Se c’è un ciclo giorno-notte, è perché ci sono graduali transizioni tra una serie di fondali diversi. Con noi, quando sei su un pianeta, puoi spingere lo sguardo fino alla curvatura di quel pianeta. Se cammini per anni, potresti fare il giro del mondo e tornare esattamente allo stesso punto in cui sei partito. Il nostro ciclo giorno-notte avviene perché il pianeta sta ruotando sul suo asse e ruota intorno al sole. È fisica reale. Abbiamo persone che scendono da una stazione spaziale su un pianeta e quando ripartono, la stazione non è più lì; il pianeta è ruotato. I giocatori lo hanno segnalato come bug.

Certo, per quanto tutto questo sia impressionante, No Man’s Sky resta comunque un universo intangibile e vuoto, in termini di intelligenza: non ci sono esseri viventi con una propria coscienza, per cui non è una vera simulazione. Ma se abbiamo fatto così tanti passi avanti da quando la fisica dei videogiochi si limitava a simulare il lancio di una pallina contro un muro di mattoni virtuali, cosa ci riserva il futuro?

Verso la superintelligenza?
Nel suo libro La realtà nascosta, il fisico e matematico Brian Greene ha calcolato che un computer quantistico “non più grande di un portatile ha la capacità di eseguire l’equivalente di tutto il pensiero umano sin dagli albori della nostra specie in una piccola frazione di secondo”. Stiamo inoltre investendo grosse cifre nella capacità di simulare il cervello umano per carpire il segreto della coscienza umana. L’obiettivo originario dell’Human Brain Project di Henry Markram, già coordinatore del Blue Brain Project, era proprio questo: grazie a un finanziamento di un miliardo di euro dalla Commissione Europea, e massicci investimenti di aziende private come la IBM, lo Human Brain Project intendeva creare entro il 2023 una simulazione completa del cervello umano su un supercomputer: possibile preludio allo sviluppo di una vera e propria superintelligenza artificiale, anche se il progetto sembre essere stato ridimensionato negli ultimi tempi.

Personalità come Stephen Hawking, Bill Gates e lo stesso Elon Musk hanno tuttavia recentemente messo in guardia da simili sviluppi, che, a loro giudizio, potrebbero rivelarsi un vicolo cieco per la civiltà umana. Le ragioni sono diverse, ma una di esse ha a che fare proprio con la congettura della simulazione: come nel film Matrix, infatti, è possibile che delle superintelligenze artificiali decidano di perseguire obiettivi completamente diversi da quelli che vorremmo assegnare loro, giungendo alla conclusione che la nostra esistenza possa compromettere la loro. Di conseguenza, esse potrebbero ridurci in schiavitù e proiettare le nostre coscienze in una perfetta simulazione del nostro mondo per non farci rendere conto del vero stato in cui siamo stati costretti. Questo scenario è stato suggerito proprio da Bostrom nel suo influente Superintelligence (2014), il libro che ha convinto Musk a destinare alcuni milioni di dollari al Future of Life Institute di Boston per ricerche destinate a minimizzare i rischi connessi allo sviluppo di intelligenze artificiali (tra i destinatari del finanziamento c’è lo stesso Bostrom, per lo sviluppo a Oxford di uno Strategic Artificial Intelligence Research Center).

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Nel 1963 Philip Dick ebbe una visione spaventosa: alzando lo sguardo al cielo notò una faccia metallica che lo fissava con malvagità. Questa visione lo turbò a lungo. Anni dopo, il 2 marzo del 1974, un fatto del tutto banale – un ciondolo a forma di pesce, l’antico simbolo protocristiano, indossato da una ragazza – scatenò in lui tutta una serie di visioni e sogni: un turbinio di quadri psichedelici, intere pagine di libri mai letti, radio che continuavano a trasmettere anche una volta staccata la spina, fino all’inquietante premonizione di un problema di salute di suo figlio che i dottori avrebbero effettivamente diagnosticato quando Dick lo portò a visitare. Lo scrittore di fantascienza si convinse, come nella trama di una delle sue tante storie, che il suo mondo non era reale, ma una “prigione” costruita da una civiltà malvagia da lui identificata nell’antico Impero Romano, intenzionata a mantenere l’umanità in una perenne schiavitù.

Le visioni e le apparizioni sarebbero “crepe” della simulazione attraverso le quali è possibile indovinare l’esistenza di un livello di realtà superiore, come gradualmente Dick giunse a ricostruire nelle circa ottomila deliranti pagine che costituiscono L’Esegesi, pubblicata per la prima volta nel 2011 in una versione “riassuntiva” di circa 1200 pagine, tradotte in Italia nel 2015 da Maurizio Nati per l’editore Fanucci. Accade così anche in Tempo fuor di sesto o, per uscire dai confini dickiani, in Simulacron-3 e nelle sue versioni cinematografiche: cose che non sono al loro posto, strane amnesie, radio che trasmettono quello che non dovrebbero trasmettere. Queste cose succedono anche nella nostra realtà, ma è facile attribuirle a disturbi psicologi, paranoie o allucinazioni. Esistono allora modi attraverso i quali potremmo scoprire di vivere effettivamente in una simulazione? Indizi incontrovertibili, o comunque verificabili attraverso il metodo scientifico? Forse sì.

L’ipotesi alla prova
Uno di questi possibili indizi è stato studiato da Zohreh Davoudi, una delle partecipanti all’Asimov Memoriale Debate, in un paper pubblicato nel 2012. Il lavoro di Davoudi e colleghi parte da considerazioni che riguardano lo stato dell’arte di una particolare teoria fisica, quella della cromodinamica quantistica (QCD), che descrive la forza nucleare forte che fa interagire e tiene uniti i quark per formare neutroni, protoni e altre particelle subatomiche. Il metodo più potente per studiare la QCD prevede oggi l’utilizzo di sofisticate simulazioni informatiche chiamate tecniche di QCD su reticolo. In queste simulazioni lo spazio-tempo viene discretizzato (per comodità di utilizzo e per questioni di coerenza dei modelli teorici), e viene descritto non come un continuo ma come da un reticolo composto da una serie di cubi di scala femtometrica (di un milionesimo di miliardesimo di metro).

A questa scala e per questo tipo di interazioni, le simulazioni della QCD su reticolo sono repliche affidabili della realtà. Secondo Davoudi, allora, nei prossimi anni lo sviluppo tecnologico potrebbe consentire di far evolvere queste simulazioni. E arricchendole, le simulazioni potrebbero a quel punto arrivare a replicare anche le altre forze della natura (la forza nucleare debole, quella elettromagnetica e la gravità). E sviluppandole ancora si potrebbe arrivare finalmente a simulare un intero universo. Secondo Davoudi, insomma, gli ipotetici “simulatori di universi” potrebbero essere partiti a loro volta da un reticolo fentometrico non continuo (magari per motivi di ricerca scientifica pura), ed essere arrivati a una simulazione estremamente sofisticata su scala cosmologica che ha generato il nostro universo.

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A questo punto se il nostro universo è una simulazione elaborata e potente basata su un reticolo, dovremmo riuscire a trovare qualche traccia di questo reticolo studiando la struttura fine del cosmo. Le dimensioni degli ipercubi – i “pixel” della realtà – che costruiscono il nostro universo simulato, però, potrebbero essere inferiori alla lunghezza di Planck (la lunghezza più piccola misurabile in natura), e quindi i “pixel” potrebbero non essere rilevabili da nessuna osservazione diretta. Ma anche in questo caso rimane qualche possibile soluzione: “Nel nostro universo le leggi della fisica sono le stesse in tutte le direzioni. Ma in un reticolo questo cambia. Dal momento che non c’è più un continuum spazio-temporale, le leggi della fisica dipenderebbero dalla direzione”, spiega al New Scientist Silas Beane, uno degli autori del paper. La simulazione potrebbe mostrarsi, per esempio, nella distribuzione dei raggi cosmici ad altissima energia. Invece di provenire da tutte le direzioni, infatti, per motivi di coerenza della teoria, i raggi cosmici ad altissima energia dovrebbero a quel punto mostrare direzioni preferenziali che dipendono proprio dalla struttura del reticolo su cui avviene la simulazione. “Abbiamo calcolato che se i simulatori usassero un reticolo con dimensioni di circa 10^-27 metri, l’energia limite cambierebbe per direzioni diverse”, spiega Beane. Data anche la rarità di questi fenomeni, però, al momento gli esperimenti non sono ancora in grado di indagare i raggi cosmici ad altissima energia con il dettaglio necessario per osservare la distribuzione e dirimere la questione.

Un ulteriore perfezionamento della simulazione potrebbe tra l’altro correggere anche questo “errore”, rendendolo invisibile anche alle nostre misurazioni indirette; ma resta un fatto: un universo simulato dev’essere per sua natura finito, perché le risorse dei potenziali simulatori sono finite. Pertanto, il volume che contiene la simulazione sarà a sua volta finito e ciò implica uno spazio-tempo discreto; per cui “in principio resta sempre la possibilità per il simulato di scoprire i simulatori”. Una di queste possibilità, secondo il cosmologo e matematico John Barrow, è quella di rilevare delle possibili modifiche alle costanti di natura e alle leggi fondamentali che i simulatori potrebbero aver avuto bisogno di introdurre di tanto in tanto per correggere gli errori strutturali della simulazione che si accumulano nel tempo. Come scrive nel suo Il libro degli universi: “se i simulatori usassero i codici informatici di correzione degli errori per premunirsi dalla fallibilità generale delle loro simulazioni (e li simulassero su scala inferiore al nostro codice genetico) […] avverrebbero allora improvvisi cambiamenti in apparente contraddizione con le stesse leggi di natura che gli scienziati simulati erano abituati a osservare e predire”.

Uno dei partecipanti all’Asimov Memorial Debate, James Gates, direttore del Center for String and Particle Theory all’Università del Maryland di College Park, crede di aver trovato qualcosa del genere all’interno di un formalismo della supergravità, una delle tante teorie proposte in questi anni per provare a descrivere la gravità quantistica. Per ordinare geometricamente il modo in cui, in questa teoria, le particelle sono classificate, Gates e i suoi colleghi usano infatti delle figure molto complesse, chiamate “adinkra”, che nella cultura Ashanti rappresentato una sorta di ideogrammi. Non sono dei semplici disegni, però: gli adinkra sono la visualizzazione di un meccanismo più complesso, e il loro funzionamento ha effettivamente delle analogie con i codici di correzione degli errori utilizzati in informatica. Se questi “adinkra” giocassero davvero un ruolo essenziale nella rappresentazione della natura di una (eventuale) teoria del tutto della supergravità, avremmo quindi una teoria che descrive l’universo e che incorpora al suo interno dei codici binari in grado, forse, di riparare la realtà da errori di trascrizione, confermando l’ipotesi della simulazione. Quelle di Gates restano però ipotesi per ora forse troppo fantasiose, non verificabili, al limite della fisica nota, e non hanno raccolto molto successo nella comunità scientifica.

Le costanti della natura
Tuttavia, anche senza scomodare concetti così complessi, esistono altri strani indizi in natura, molto più noti e ben studiati, che potrebbero spingerci a conclusioni inquietanti. È noto da tempo, per esempio, che esistono certe “coincidenze” nelle leggi di natura che permettono alla vita come la conosciamo di esistere. Una di esse è la cosiddetta “risonanza” del carbonio, che è l’elemento chimico fondamentale della vita. Il carbonio nasce all’interno dei nuclei delle stelle grazie ai processi di fusione nucleare, in particolare alla fusione di tre atomi di eli. Tuttavia la possibilità che tre atomi di elio collidano in uno stesso istante è così irrisoria da non sembrare sufficiente a consentire la produzione delle quantità di carbonio che osserviamo nell’universo. Fred Hoyle, negli anni Cinquanta, suggerì una soluzione: due atomi di elio collidono e si fondono formando l’isotopo berillio-8, e questo, anziché decadere immediatamente perché instabile, resta “vivo” per un tempo insolitamente più lungo, sufficiente a ricevere la collisione di un altro atomo di elio e trasformarsi in carbonio. Il meccanismo che consente ciò si chiama “risonanza” e dipende dal fatto che il berillio-8 ha quasi la stessa energia dei due atomi di elio che lo hanno creato, e analogamente le masse del berillio-8 e di un altro atomo di elio possiedono lo stesso livello energetico di un nucleo eccitato di carbonio-12; ciò produce una risonanza che consente all’atomo di berillio di mantenersi stabile fino a cento miliardesimi di miliardesimo di secondo, il tempo sufficiente per collidere con un altro atomo di elio e formare il carbonio. Senza questa “coincidenza”, noi non staremmo qui a parlarne.

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Questa e molte altre coincidenze hanno spinto gli scienziati a introdurre la congettura del multiverso: il nostro non è che uno di innumerevoli universi dove le costanti di natura assumono tutti i valori possibili, e solo in pochi, tra cui il nostro, questi valori consentono l’esistenza della vita. Ma, secondo gli scienziati che si interessano alla congettura della simulazione, potrebbe esserci un’altra spiegazione: qualcuno, lì fuori, ha “progettato” l’universo apposta per la vita. La comunità scientifica inorridisce di fronte a questo cosiddetto “principio antropico”, perché ritiene sia un modo per reintrodurre nella scienza il ruolo di un Progettista, ossia Dio. Ma se il progettista fosse semplicemente una civiltà post-umana?

Lo scrittore di fantascienza e studioso di cibernetica Stanislaw Lem trattò della congettura della simulazione nella sua imponente Summa Technologiae del 1966, purtroppo ancora inedita in Italia. Ma nel 1971 scrisse sull’argomento un racconto, Non Serviam, pubblicato nella raccolta Vuoto assoluto. Non Serviam è la storia della nascita della “personetica”, la scienza fittizia della creazione di personalità simulate all’interno di mondi virtuali, definita da alcuni “la più crudele tra le scienze ideate dall’uomo”. Anche se le simulazioni create dal professor Dobb non sono identiche alle nostre – per esempio i “personoidi” non si riproducono sessualmente –, sono rette dalle stesse leggi fisiche. “Oggi è possibile confezionare un ‘mondo’ abitato nel giro di un paio d’ore – il tempo necessario per inserire nel computer i dati di uno dei programmi di base”, si legge nel racconto di Lem.

La creazione dell’universo simulato si svolge a velocità accelerate e, analogamente, il programmatore può far scorrere il tempo più velocemente per saltare certi stadi dello sviluppo della civiltà personoide, per poi farlo combaciare con il tempo reale al fine di raccogliere i dialoghi e i pensieri dei singoli personoidi e studiarli. Tra questi ci sono esempi di dibattiti dei personoidi su Dio e sul perché della loro esistenza, del tutto identici a quelli che ci poniamo nel “mondo reale”. Discorsi che mettono a disagio il loro creatore, il professor Dobb, che presto si ritroverà, sotto la pressione dei costi energetici sempre più alti per far funzionare l’esperimento, a staccare la spina: “Spegnerò le macchine e sarà la fine del mondo. Cercherò di rimandare quell’istante il più possibile. È l’unica cosa che posso fare e non mi sembra esattamente degna di lode. Si tratta di quel che volgarmente viene definito ‘uno sporco lavoro’. Detto ciò, spero che nessuno si sia fatto venire strane idee. Se sì, sono affari suoi”.

Supervisione di Cesare Alemanni e Matteo De Giuli.

Sito dell’autore: http://www.robertopaura.it/

Fonte: http://www.iltascabile.com/scienze/luniverso-e-una-simulazione/

Sul determinismo e il perseguimento dei propri sogni (Consigli stoici), M. Pigliucci

12 giovedì Gen 2017

Posted by Paola in Filosofia, Massimo Pigliucci, Neoscienze, Stoicismo

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massimo_pigliucciSul determinismo e il perseguimento dei propri sogni (Rubrica di Consigli Stoici), di Massimo Pigliucci (2017)

[Lo Stoicismo è una filosofia pratica, e come Epitteto ricorda spesso ai suoi studenti: “Se non hai imparato queste cose per mostrarle nella pratica, per che cosa le hai imparate?” (Discorso I, 29-35) Essendo d’accordo, ho dato inizio alla rubrica “Consigli Stoici”, una versione filosoficamente informata e, si spera, utile, delle rubriche classiche nei giornali di tutto il mondo. Se desiderate sottoporre una domanda alla rubrica Consigli Stoici, inviate un’email a <massimo at howtobeastoic dot org>. Vi prego di considerare che i consigli dati in questa rubrica si basano su opinioni strettamente personali e riflettono la mia comprensione, forse non corretta, della filosofia stoica.]

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D. scrive: “Qual è la reazione di uno stoico ai concetti moderni di QI (Quoziente d’Intelligenza, ndt) e di genetica? Nelle società dove un alto QI è legato al raggiungimento di traguardi accademici in materie di elevati contenuti, e conseguenti benefici conferiti dalla società, cosa farebbe uno stoico di fronte a questo determinismo genetico? Cosa risponderebbe uno stoico a chi avesse un’intelligenza mediocre ma che vuole disperatamente raggiungere una competenza in abilità di alto livello? Una vita a perseguire i propri sogni, anche costantemente e inevitabilmente fallendo, è più significativa di una vita in cui si è rinunciato ai propri sogni? Oppure, si dovrebbe consigliare di vivere una vita più pratica? Gli stoici avevano il concetto del talento innato?”

Un’ottima domanda e, se posso dirlo un po’ immodestamente, ha fatto la domanda alla persona giusta, poiché non sono soltanto un praticante dello stoicismo, ma sono un biologo specializzato proprio nelle interazioni gene-ambiente.

Quindi, permettimi di iniziare con un po’ di background scientifico. Come sai, gli stoici pensavano che fosse importante studiare non solo l’ “etica” (termine con il quale intendevano il modo in cui si vive la vita) ma anche la fisica (che comprendeva le scienze naturali). Questo perché non ci si può orientare nel mondo in modo efficace se non si ha un’idea soddisfacente di come il mondo in realtà funziona. Quindi, una conoscenza scientifica di base è molto più attuale a come uno stoico si approccia alle questioni etiche.

Sia il concetto di ereditarietà che quello di QI è molto controverso. E non intendo solo negli ambiti politico-ideologici. Sì, è vero che la sinistra tende a rifiutare ogni discussione su QI ed ereditarietà perché li vede come un indebolimento della libertà umana, così come è vero che è tipico della destra abbracciarli al fine di mantenere ciò che preferiscono, lo status quo sociale. Sto parlando di dibattiti scientifici. Un buon compendio delle questioni principali si può trovare nel saggio del mio amico e collega Jonathan Kaplan [1] e molto altro nel mio libro Phoenotypic Plasticity: Beyond Nature and Nurture.

La conclusione, comunque, è questa:

1. Il QI misura una porzione dell’“intelligenza” analitica (comunque la si vuole definire) fortemente influenzata culturalmente e, di conseguenza, il risultato del test varia a seconda dell’età, il livello di istruzione e la modalità del parto. Con questo non s’intende dire che il test non misuri nulla che valga la pena di essere misurato, ma che qualunque sia la cosa misurata, viene ridotta semplicisticamente a un singolo numero che esclude un buon numero di complessità rilevanti.

2. L’ereditarietà non – ripeto – non misura il grado di determinazione genetica di un tratto. Tanto per cominciare, l’ereditarietà è una misurazione statistica che ha senso solo a livello di popolazione e non di individuo. Quindi, quando noi diciamo, per esempio, che l’altezza di un uomo ha un’ereditarietà dell’80%, non significa che l’80% della mia altezza dipende dai geni e il 20% dalle influenze ambientali. Significa, piuttosto, che l’80% della cosiddetta variazione fenotipica dell’altezza in una determinata popolazione si collega statisticamente con la variazione genetica di quella popolazione. Per comprendere perché questo non è la stessa cosa del determinismo genetico,  consideriamo questo semplice esempio: l’ereditarietà del numero delle narici negli umani è zero perché, fondamentalmente, non c’è una variazione per questo tratto della nostra specie (tutti quanti abbiamo due narici). Eppure questo tratto è, come risulta, fortemente determinato geneticamente: non esiste ambiente dove si sviluppino una, o tre, o un altro numero di narici che non siano due.

3. Contrariamente a quanto comunemente malinteso, l’ereditarietà è una misura locale e non generale, nel senso che varia per la particolare costituzione genetica di una popolazione come per l’ambiente in cui l’individuo cresce. Questo, a sua volta, significa che non ha senso dire che l’ereditarietà del QI è “x”. Si dovrebbe, invece, dire che l’ereditarietà del QI per quella particolare popolazione e in quella particolare gamma di ambienti è “x”. Cambiate la costituzione genetica della popolazione, o dell’ambiente, e otterrete un numero differente. Talvolta un numero radicalmente differente.

4. Per di più, ciò che importa veramente non è il singolo numero dato all’ereditarietà (a livello di una popolazione), ma a una serie di funzioni individuali (per ciascuno di noi) che si collegano al fenotipo (in questo caso, il QI), il genotipo e l’ambiente, per via di quella che viene chiamata “norma di reazione”. Una norma di reazione è una curva specifica di un genotipo che appare come in questa immagine:

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La conoscenza del set delle norme di reazione in una popolazione di organismi ci dice con precisione come la costituzione genetica di questi organismi interagisce con la gamma ambientale per incontrarsi, verosimilmente, con quegli organismi che sono sensibili a una gamma di fenotipi corrispondente. Questa interattività genotipo-ambiente si manifesta nel fenomeno conosciuto come plasticità fenotipica, il fatto che laddove non vi siano norme di reazioni piatte (p.e., non parallele all’asse dell’ambiente) il fenotipo espresso per un dato genotipo sarà una funzione dell’ambiente.

5. In ultimo, in termini di background scientifico, si evince che è pressoché impossibile misurare le norme di reazione negli umani, per il semplice motivo che non possiamo clonare le persone e crescerle in condizioni controllate (vi sono questioni sia logistiche che etiche a precluderlo). Quindi, possiamo soltanto ipotizzare indirettamente il dato di plasticità di un determinato tratto. Nel caso del QI, noi sappiamo che è plastico (dato che è influenzato da uno sviluppo precoce, dalla disponibilità di risorse materiali, dall’istruzione e così via), ma non sappiamo quanto, e neppure conosciamo la variabilità della plasticità nella specie umana.

Mi scuso per essermi dilungato su questo, ma come ho detto – da una prospettiva strettamente stoica – fare chiarezza scientifica è necessario. Ora, avendo saldamente in mente questo background scientifico, risponderò più specificamente alle tue domande.

Dato che non conosciamo il grado di determinismo genetico del QI (che, come ho detto, non si misura con l’ereditarietà), in un certo senso le tue prime domande si vanificano. Lo stoico non se ne farebbe nulla del QI e della genetica per la semplice ragione che non se ne sa molto. Non è una conoscenza pratica su cui basarsi.

Vorrei puntualizzare che gli stessi stoici furono, di fatto, sia materialisti che deterministi: credevano in una causa ed effetto universale. Le persone tendono a dimenticare che la nostra genetica non è la sola cosa che contribuisce a determinare la nostra vita. Le influenze ambientali sono anche loro deterministiche, e così pure (complesse e difficilissime da misurare) lo sono le interazioni genetico-ambientali, congiuntamente raccolte dalle idee di plasticità e norme di reazione. Così, in un certo senso, dal punto di vista stoico la domanda è mal posta: a prescindere che sia dai geni, dalle condizioni ambientali o (molto più realisticamente) da entrambi, la nostra vita è comunque determinata.

[Questo spesso, ed erroneamente, porta le persone a una sorta di nichilismo. Tratterò la risposta stoica a questa reazione, nota come “argomento futile”, la prossima settimana.]

Comunque, per quanto riguarda l’intelligenza, le tue domande successive restano pertinenti: cosa direbbe uno stoico a chi è dotato di un’intelligenza mediocre ma vuole disperatamente raggiungere una competenza in abilità di alto livello? Una vita a perseguire i propri sogni, anche costantemente e inevitabilmente fallendo, è più significativa di una vita in si è rinunciato ai propri sogni?

Vorrei iniziare dicendo che uno stoico non direbbe nulla a nessuno, a meno che non gli sia chiesto esplicitamente (come tu stai facendo con me). Non si impugna lo stoicismo come un bastone per colpire gli altri sulla testa. È, innanzitutto e principalmente, per il proprio miglioramento personale.

Comunque, supponendo che qualcuno ti chieda un consiglio, la prima risposta come stoico sarebbe che la sola vita degna di essere perseguita è quella dell’eccellenza morale ottenuta con la pratica delle virtù. E questo non ha nulla a che vedere con il tipo di lavoro ci si ritrova a fare, cosa che cade sotto la categoria degli indifferenti preferibili. Sull’argomento Seneca dice:

“La virtù non è cambiata dalle situazioni; quelle spiacevoli e difficili non la rendono peggiore, come non la rendono migliore quelle gioiose e liete. … Metti da una parte un uomo onesto e ricco, dall’altra uno nullatenente ma che possiede tutto dentro di sé: entrambi saranno ugualmente uomini onesti, anche se godono di una diversa fortuna. (Lettera LXVI, Sui vari aspetti della virtù, 15 e 22). [2]

Cambia “ricchezza” e “fortuna” con “professione” e “QI”, e il senso è lo stesso.

Poi, gli stoici erano persone molto pratiche: se qualcosa si rivela irraggiungibile, allora è folle continuare a sognarci sopra. Si deve invece fare il punto della situazione e focalizzarsi su che cosa si può fare e farlo al meglio.

Io posso sognare di essere un grande calciatore ma non ne ho la costituzione, non sono portato e non ho iniziato ad allenarmi quando ero abbastanza giovane. Sarebbe sciocco da parte mia continuare a sognarci sopra trascurando la mia professione attuale, rischiando forse la povertà per la mia famiglia come conseguenza dei miei sogni. Lo stesso si applica nel voler essere un attore, un musicista, uno scrittore o un banchiere di Wall Street (anche se devo ammettere che quest’ultimo è il più remoto dei miei sogni).

Ci tengo a dire, tuttavia, che questo non è un consiglio a rassegnarsi di fronte all’avversità. Anche ben prima di diventare stoico, ero determinato a perseguire una carriera accademica. Sapevo che questo era pressoché impossibile in Italia, dove sono cresciuto, per la cronica carenza di fondi e ancor più per il canceroso livello di nepotismo nelle università. Così me ne sono andato e mi sono trasferito negli Stati Uniti, dove una combinazione di fortuna, determinazione e qualche talento mi hanno permesso di diventare ciò che sognavo di diventare.

Se avessi beneficiato dello Stoicismo fin dall’inizio, avrei fatto esattamente la stessa cosa, ma il mio atteggiamento sarebbe stato più sano. Proprio come nel caso del famoso arciere nel “De Finibus” di Cicerone, diventare un professore universitario sarebbe stato “da scegliere e non da desiderare”, in quanto la decisione di perseguire questa carriera e gli sforzi che ho fatto, spettavano a me; ma l’esito finale non è stato:

“Se un uomo si proponesse di colpire con un giavellotto o una freccia un bersaglio, il suo scopo finale,  che per noi corrisponde al sommo bene, farebbe tutto quel che può per centrarlo. L’uomo, in questo contesto, dovrebbe fare di tutto per colpirlo; benché faccia di tutto per colpirlo, per noi il suo “Fine ultimo”, per così dire, corrisponderebbe a ciò che chiamiamo il Sommo Bene nel vivere la vita, e colpire il bersaglio, in realtà, per noi sarebbe “da scegliere” e non “da desiderare”.” (Cicerone, De Finibus Bonorum et Malorum, III 22)

Traduzione: Paola (con revisione dell’autore)
Testo originale: On determinism and the pursuit of your dreams

Note

[1]  Heritability: a handy guide to what it means, what it doesn’t mean, and that giant meta-analysis of twin studies

[2] Citazione in italiano da: Seneca, Lettera a Lucilio – Ed. Acrobat (a cura di Patrizio Sanasi)

* Genotipo – Costituzione genetica, patrimonio ereditario di un individuo. Il risultato dell’interazione fra il genotipo di un individuo e l’ambiente nel quale i geni si esprimono costituisce il fenotipo.  (NdT, da Treccani.it)

* Fenotipo – In genetica, l’insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali di un organismo determinate dall’interazione fra la sua costituzione genetica e l’ambiente. (NdT, da Treccani.it)

Il Registro Akashico, Mind Expanding

28 mercoledì Dic 2016

Posted by Paola in Neoscienze, Personaggi, Realtà Parallele

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gridIl Registro Akashico – Il Campo d’Energia del Punto Zero, Mind Expanding (2012)

Ervin Laszlo, filosofo e teorico sistemico, considera che la scienza si stia trovando, alla fine, nella posizione di elaborare una Teoria del Tutto. Traendo spunto dalle anomalie riscontrate nella cosmologia e dal suo sviluppo, nonché dalla fisica quantistica, dalla biologia e dagli studi sulla coscienza, sostiene che la scoperta della fisica del campo di energia del punto zero (ZPE) corrisponde anche alla scoperta di un campo universale di informazione.

I mistici e i saggi hanno a lungo sostenuto l’esistenza di un campo cosmico interconnesso che sta alla radice di tutta la realtà e che conserva e trasmette informazioni, un campo conosciuto come Registro Akashico. Uno dei più grandi veggenti e mistici che ripetutamente faceva riferimenti ai Registri Akashici durante le sue sedute con le persone, fu Edgar Cayce. Edgar Cayce nacque nel 1877 e morì nel 1945, e durante tutta la sua vita fece migliaia di letture psichiche a persone di tutte le parti del mondo.

Cayce fu sempre molto rispettato per queste sue doti intuitive e influenzò moltissimo la vita dei suoi pazienti. Anche il campo della medicina olistica venne profondamente influenzata poiché alcuni rimedi naturali furono da lui estratti dai Registri Akashici. È facile studiare il suo lavoro, perché non solo ha diligentemente segnato ogni sessione che faceva, ma anche anni di contatti successivi con i suoi pazienti iniziali. Grazie a questo, ha raccolto forse il maggior numero di prove e di informazioni su come i Registri Akashici funzionano per noi.

Cayce credeva che i Registri Akashici contenessero tutta la storia di ogni singola anima fin dall’alba della creazione. Cayce disse spesso che questi registri ci vedono collegati gli uni agli altri; contengono ciò che poi produce ogni simbolo, archetipo o storia mitologica che abbiano avuto una reale influenza sugli schemi del comportamento umano.

Quando gli chiedevano dove si trovassero questi Registri, Cayce rispondeva che si trovavano in una “matassa di tempo e spazio”, dicendo ai molti che si interessavano del suo lavoro che “i registri sono ovunque”. Credeva inoltre che i Registri fossero scritti in una specie di “energia eterica” di natura simile a quella del pensiero. Questo si collegherebbe all’“etere” di cui si sta interessando la scienza.

I Registri sono impressi o codificati nell’energia e vengono continuamente riscritti sulla base delle nostre scelte, dei nostri pensieri e delle nostre emozioni. Riteneva che rivelare il passato di una persona durante le sue sessioni fosse utile nel portare alla consapevolezza cosciente lo sviluppo di quell’anima. Non cessava mai di enfatizzare che i Registri vengono scritti da ciascuno di noi con la sua libera scelta e libero arbitrio del momento presente. Evidenziava anche che le nostre scelte nel presente di quel momento permettono che si manifestino nella nostra vita possibilità future presenti nei Registri Akashici.

Cayce spiegava che i Registri Akashici di ogni persona non solo conservano tutto il passato, ma contengono anche tutte le future possibilità e i potenziali che riguardano la nostra vita. Credeva che, fondamentalmente, noi richiamiamo il potenziale di una serie di possibili futuri nelle semplici interazioni della nostra vita quotidiana acquisendo in modo subconscio i dati che già sono stati immagazzinati.

La teoria di Cayce che tutti i potenziali del nostro futuro già esistono nei Registri Akashici semplicemente in attesa che noi li richiamiamo in azione per libera scelta, è fortemente simile alla visione che sarebbe emersa decenni dopo nel nuovo contesto scientifico della Meccanica Quantistica e poi con la Teoria del Tutto suggerita da Ervin Laszlo.

Ciò supporta inoltre che i nostri pensieri creano davvero la nostra realtà e di conseguenza è questa nostra percezione che definisce per ciascuno di noi ciò che è vero.

Gli scienziati della fisica quantistica hanno ultimamente scoperto un nuovo ambito di tempo e spazio che hanno chiamato il Vuoto Quantistico. Sono proprietà del tempo e dello spazio di nuovissima scoperta che si manifestano continuamente, tuttavia sembra solo ora chiaro che questo vuoto è un medium super-denso cosmico privo di attrito che veicola la luce e tutte le forze universali naturali. Ervin Laszlo nel suo libro Science and the Akashic Field dimostra potrebbe trattarsi non solo di un mare super-denso di energia priva di attrito, ma anche di un mare di informazioni che veicolano le esperienze “storiche” della materia.

Queste recenti scoperte nel campo della fisica quantistica  possono dimostrare la realtà del Campo Akashico nell’equivalente del campo di punto zero che sottintende allo spazio stesso. Nel suo libro, Laszlo afferma che il vuoto quantistico essenzialmente “genera il campo olografico che è la memoria dell’universo”.

Questo Campo Quantistico consiste di un invisibile mare di fluttuazioni energetiche da cui emerge ogni cosa: atomi e galassie, gli esseri viventi e anche la coscienza. Questo Campo Akashico di Punto Zero, o “Campo-A” come lo chiama Laszlo, non è solo la fonte originaria di tutte le cose che emergono nel tempo-spazio, ma anche la costante e imperitura memoria dell’universo. Il “Campo-A” conserva tutte le registrazioni di tutto ciò che è accaduto nella vita, sulla Terra, e nel cosmo, e lo collega a tutto ciò che deve ancora accadere. In sostanza, è ciò che aiuta un universo a sapere come diventare un universo, alle piante come diventare piante e così via… Veicola letteralmente tutte le informazioni della vita stessa.

Laszlo comunica l’elemento essenziale della sua visione di un “Universo Informato” in un linguaggio accessibile e chiaro. L’Universo Informato si presta a sostenere le nostre intuizioni più profonde sull’unità della vita e dell’intera creazione. In merito al tema della Teoria di Universo Informato è interessante notare che anche Cayce credeva che i registri sono collegati a ciascuno di noi e che l’universo è in realtà “ordinato”.

Laszlo suggerisce inoltre che il Campo-A è come un ologramma che è stato impresso di tutto ciò che è stato o sarà, similmente a ciò che asseriva Cayce, cioè che i Registri Akashici contenevano tutto ciò che è stato e tutti i potenziali del nostro futuro.

Se questa nuova teoria del Campo Akashico fosse vera, allora tutta l’antica conoscenza scritta riguardo il Registro Akashico o “Libro della Vita” non sono semplici miti ma parte integrante del nostro mondo. Se questo campo universale di energia viene scritto dai nostri pensieri e dalle nostre azioni, allora sarebbe ragionevole credere che vi si può accedere in modo conscio. Se può essere scritto consciamente, allora molte eventi passati e traumatici che sono conservanti nel Campo-A, potrebbero essere liberati e in tal modo aumentare l’energia dei potenziali positivi della vita di una persona. —

Fonte: http://www.mindexpanding.wordpress.com

Traduzione: Paola

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