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Archivi della categoria: Neoscienze

Sensemaking

28 sabato Mag 2022

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Linguaggio, Neoscienze, Percezione, Società

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1. Nell’organizzazione

Il sensemaking o sense-making è il processo attraverso il quale le persone danno significato alle loro esperienze collettive. È stato definito come “lo sviluppo retrospettivo in corso di immagini plausibili che razionalizzano ciò che le persone stanno facendo”. Il concetto è stato introdotto negli studi organizzativi da Karl E. Weick negli anni ’70 e ha influenzato sia la teoria che la pratica. Weick intendeva incoraggiare uno spostamento dal tradizionale focus dei teorici dell’organizzazione sul processo decisionale e verso i processi che costituiscono il significato delle decisioni che vengono emanate nel comportamento.

Non esiste una singola definizione concordata di sensemaking, ma c’è consenso sul fatto che si tratta di un processo che consente alle persone di comprendere questioni o eventi ambigui, equivoci o confusi. I disaccordi sul significato del sensemaking consistono se consideare il sensemaking come un processo mentale all’interno dell’individuo, un processo sociale o un processo che si verifica come parte della discussione; oppure se sia un processo quotidiano in corso oppure si verifica solo in risposta a eventi rari; oppure se sensemaking descrive gli eventi passati oppure considera il futuro.

[da: https://en.wikipedia.org/wiki/Sensemaking]

2. Nella Scienza dell’informazione

Mentre il sensemaking è stato studiato da altre discipline sotto altri nomi per secoli, nella scienza dell’informazione e nell’informatica il termine “sensemaking” ha segnato principalmente due argomenti distinti ma correlati. Il sensemaking è stato introdotto come metodologia da Brenda Dervin negli anni ’80 e nell’interazione uomo-computer dai ricercatori PARC Daniel Russell, Mark Stefik, Peter Pirolli e Stuart Card nel 1993.Nella scienza dell’informazione, il termine è spesso scritto come “sense-making”. In entrambi i casi, il concetto è stato utilizzato per riunire le intuizioni tratte dalla filosofia, dalla sociologia e dalle scienze cognitive (in particolare dalla psicologia sociale). La ricerca sul sensemaking viene quindi spesso presentata come un programma di ricerca interdisciplinare.

Come processo – Il sensemaking può essere descritto come un processo di sviluppo di una rappresentazione sofisticata e di organizzazione delle informazioni per servire un compito, ad esempio, il processo decisionale e la risoluzione dei problemi (Russell et al., 1993). Gary A. Klein e colleghi (Klein et al. 2006b) concettualizzano il sensemaking come un insieme di processi che viene avviato quando un individuo o un’organizzazione riconosce l’inadeguatezza della loro attuale comprensione degli eventi. Il sensemaking è un processo attivo a due vie di inserimento dei dati in un frame (modello mentale) e l’installazione di un frame intorno ai dati. Né i dati né la cornice vengono prima; i dati richiamano i frame e i frame selezionano e collegano i dati. Qualora non vi sia un’adeguata corrispondenza, i dati possono essere riesaminati o un quadro esistente può essere rivisto. Questa descrizione assomiglia al modello di riconoscimento-metacognizione (Cohen et al., 1996), che descrive i processi metacognitivi che vengono utilizzati dagli individui per costruire, verificare e modificare modelli di lavoro (o “storie”) nella consapevolezza situazionale per spiegare una situazione non riconosciuta. Tali nozioni riecheggiano anche i processi di assimilazione e di accomodamento nella teoria dello sviluppo cognitivo di Jean Piaget.

Come metodologia – Brenda Dervin ha studiato il sensemaking individuale, sviluppando teorie sul “gap cognitivo” che gli individui sperimentano quando tentano di dare un senso ai dati osservati. Poiché gran parte di questa ricerca psicologica applicata si basa sul contesto dell’ingegneria dei sistemi e dei fattori umani, mira a rispondere alla necessità che i concetti e le prestazioni siano misurabili e che le teorie siano verificabili. Di conseguenza, il sensemaking e la consapevolezza situazionale sono visti come concetti di lavoro che consentono ai ricercatori di indagare e migliorare l’interazione tra le persone e le tecnologie dell’informazione. Questa prospettiva sottolinea che gli esseri umani svolgono un ruolo significativo nell’adattarsi e rispondere a situazioni inaspettate o sconosciute, così come situazioni riconosciute. Il lavoro della Dervin si è in gran parte concentrato sullo sviluppo di una guida filosofica per il metodo, compresi i metodi di teorizzazione sostanziale e la conduzione della ricerca.

Interazione uomo-computer – Dopo la pubblicazione nel 1993 (Russell et al., 1993) di un documento fondamentale sul sensemaking nel campo dell’interazione uomo-computer (HCI), ci fu molta attività sulla comprensione di come progettare sistemi interattivi per il sensemaking, e workshop sul sensemaking si sono svolti in importanti conferenze HCI.

[da: https://en.wikipedia.org/wiki/Sensemaking_(information_science)]

Traduzione: Paola

Genesi: il grande racconto delle origini, G. Tonelli – Conferenza (2019, Video)

04 sabato Set 2021

Posted by Paola in Conferenza, Evoluzione, Filosofia, Inserimenti, Neoscienze, Storia, Video

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Genesi: il grande racconto delle origini – Guido Tonelli, Conferenza Rinascimento Culturale (2019) (Video)

Guido Tonelli (1950) è un fisico, accademico e divulgatore scientifico italiano, professore ordinario presso l’Università di Pisa. Ha partecipato ed è stato portavoce dell’esperimento CMS presso il CERN, che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs. (Wikipedia)

Libri di Guido Tonelli

Un universo in costante evoluzione, Trinh Xuan Thuan (estratto)

22 domenica Ago 2021

Posted by Paola in Filosofia, I Ching, Neoscienze, Percezione, Taoismo

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L’idea di una costante interazione tra il Vuoto e il Pieno, cioè tra il non essere e l’essere, implica una trasformazione incessante dei fenomeni naturali. Poiché il vuoto evolve in permanenza verso il Pieno e viceversa, niente può essere eterno e immutabile. Questa idea della trasformazione incessante ha fatto la sua comparsa molto presto e la rinveniamo per esempio nell’I Ching o Libro dei Mutamenti. Considerato uno dei testi più importanti del pensiero universale, l’I Ching risale al primo millennio a.C. Distilla l’essenza di millenni di saggezza cinese ed è composto tra le altre cose da sessantaquattro segni, chiamati «esagrammi» (un esagramma è una serie di sei linee), che si basano sul simbolismo dello Yin e dello Yang, ovvero del Pieno e del Vuoto, e che erano utilizzati in origine per gli oracoli. Negli esagrammi il Pieno, associato allo Yang, è rappresentato dal tratto continuo, mentre il Vuoto, associato allo Yin, consta di una linea spezzata, ossia di due trattini separati da uno spazio. È questo Vuoto il responsabile delle trasformazioni dell’universo. Gli esagrammi rappresentano, in pratica, l’impermanenza del cosmo, il movimento dei fenomeni naturali nelle loro trasformazioni. Come i segni si mutano in continuazione gli uni negli altri, i fenomeni evolvono continuamente da una forma all’altra. L’I Ching, come in seguito i testi taoisti, tenta dunque di descrivere sia i cambiamenti incessanti della natura, sia le non meno mutevoli e oscillanti relazioni umane.

L’idea di un mutamento perpetuo è in armonia con quello che dice la cosmologia moderna: contrariamente a quanto asseriva la concezione aristotelica, l’universo è in costante evoluzione. Aristotele era convinto che il cielo, regno degli dèi, fosse perfetto e che niente potesse cambiare, perché ciò che era perfetto non poteva essere migliorato. Ancora negli anni Cinquanta del Novecento, la teoria cosmologica dell’universo stazionario sosteneva che, in media, l’universo non cambiasse né nel tempo né nello spazio. Solo nel 1965, dopo la scoperta della radiazione fossile, si impose la teoria del Big Bang, che fece tabula rasa dell’idea di staticità e immobilità e conferì all’universo una storia: il cosmo acquisì così un passato, un presente e un futuro. Nato con una spaventosa deflagrazione da una condizione di calore e densità estremi, l’universo si dilata in continuazione e la sua espansione accelerata continuerà a ridurne la densità e a raffreddarlo sempre di più, fino alla fine dei tempi. Non solo l’universo cambia, ma tutte le strutture che contiene evolvono a loro volta. Dai pianeti alle stelle, dalle galassie agli ammassi di galassie, nulla è permanente. Le stelle nascono, vivono la loro vita consumando consumando il loro combustibile di idrogeno ed elio e muoiono espellendo nel mezzo interstellare il gas arricchito di elementi chimici prodotto dalla loro alchimia nucleare. Questo gas collassa sotto l’effetto della gravità per dare origine a una nuova generazione di stelle, e così inizia un nuovo ciclo. I cicli di vita e di morte delle stelle, però, non si misurano in termini di un secolo come la vita umana, ma in termini di milioni e perfino miliardi di anni.

Non soltanto tutto cambia, ma tutto si muove. Pianeti, stelle, galassie e ammassi di galassie sono in perpetuo moto, come partecipassero a un fantastico balletto cosmico. Nell’istante in cui leggete queste righe, la Terra vi trascina nello spazio a 30 chilometri al secondo nel suo viaggio annuo intorno al Sole. Nel contempo, il Sole ci conduce a 230 chilometri al secondo attraverso il mezzo interstellare, perché, ogni 250 milioni di anni, compie una rivoluzione intorno al centro della Via Lattea. La nostra galassia corre a sua volta a 90 chilometri al secondo verso la sua vicina, la galassia di Andromeda, attirata dalla sua gravità. E non è finita: si aggiunge a tutto ciò il moto del Gruppo Locale e del Superammasso Locale, che si sovrappone al moto di espansione dell’universo. Il mondo delle particelle elementari non è da meno. La fisica contemporanea ci insegna che, anche nell’infinitamente piccolo, tutto si muove. Nella stragrande maggioranza, le particelle sono instabili: si disintegrano spontaneamente. Così un neutrone libero, non imprigionato in un nucleo atomico, si trasforma in protone dopo una quindicina di minuti, emettendo emettendo un elettrone e un neutrino. Quasi tutte le particelle che compaiono all’interno degli acceleratori esistono per un lasso di tempo di gran lunga inferiore a un battito di ciglia, un milionesimo di secondo o meno, poi spariscono. Le più stabili, come l’elettrone, il fotone e il neutrino, non vivono isolate, e prima o poi l’interazione con altre particelle cambia la loro natura o le fa sparire. Come il vuoto si trasforma in pieno e viceversa, l’energia di una particella può trasformarsi in materia o, al contrario, la materia può diventare luce e annichilirsi con l’antimateria. A causa del principio di indeterminazione dell’energia, innumerevoli particelle virtuali popolano lo spazio intorno a noi. Apparendo e scomparendo secondo cicli infernali di vita e morte di durata infinitesima, incarnano in massimo grado l’instabilità del mondo, dove tutto è mutazione e trasformazione.

– Estratto da: La pienezza del Vuoto, Trinh Xuan Thuan – Edizioni Ponte alle Grazie, 2017

Vedi anche: La Pienezza del Vuoto (libro)

Catalogo dei tentativi falliti di dialogo tra specie, V. Grasso (da Il Tascabile)

01 sabato Mag 2021

Posted by Paola in Neoscienze, Percezione, Realtà Parallele, Società

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Il primo dicembre 2020, a Portorico, è collassato il radiotelescopio di Arecibo. È crollato il ricettore principale: i cavi che lo tenevano insieme si sono rotti per il progressivo deterioramento del telescopio, vittima, negli anni, degli uragani e delle tempeste tropicali. Per molti, il collasso del telescopio ha esemplificato il frantumarsi di uno dei grandi sogni della comunità scientifica: trovare segni di vita extraterrestre.

Inaugurato nel 1963, il radiotelescopio di Arecibo portò a numerose scoperte nell’ambito della ricerca astronomica e fisica: la definizione del periodo di rotazione di Mercurio; la scoperta della prima pulsar binaria – un sistema composto da due stelle di neutroni che ruotano una intorno all’altra emettendo fasci di luce regolari – che valse il Premio Nobel per la fisica a J. H. Taylor Jr. e Russell Alan Hulse; la scoperta dei primi pianeti extrasolari nella costellazione della Vergine. Centrale nell’attività di Arecibo fu  il programma SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), fondato negli anni Sessanta dagli astronomi Frank Drake e Carl Sagan.

Nel 1974, dal telescopio di Porto Rico, viene inviato un messaggio radio cifrato in direzione di M13, noto anche come Ammasso Globulare di Ercole, un insieme di centinaia di migliaia di stelle che orbitano al centro della galassia di Ercole, situate a più di 20.000 anni luce di distanza dal nostro pianeta. Il messaggio di Arecibo, che di fatto costituisce il primo tentativo scientifico di comunicazione intergalattica, impiegherà a raggiungere la sua destinazione circa 25.000 anni dal momento dell’inizio del suo viaggio, e dovremo attenderne altri 25.000 per ricevere un’eventuale risposta. Alcuni reputano questa prova un semplice esercizio di stile tecnologico. (continua)

Testo integrale: https://www.iltascabile.com/scienze/comunicazione-alieni/

Addomesticare le emozioni distruttive, intervista a D. Goleman (da Innernet, 2008)

07 giovedì Gen 2021

Posted by Paola in Coscienza, Inserimenti, Intervista, Neoscienze, Percezione, Percorsi spirituali, Stati altri di coscienza

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La meditazione può cambiare il cervello? Daniel Goleman, autore del best seller Intelligenza emotiva, dà delle risposte sorprendenti. Recenti ricerche ci dicono che il cervello è estremamente plastico, a patto che attraversiamo esperienze sistematiche e ripetute; in questo senso le pratiche meditative sembrano le migliori per trasformare le emozioni distruttive.

Nel suo libro Emozioni Distruttive, in collaborazione con il Dalai Lama, riporta le ricerche sul cervello e sulla meditazione e suggerisce una via per lavorare sulle emozioni distruttive.

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Nel tuo nuovo libro, Emozioni distruttive, scrivi che “riconoscere e trasformare le emozioni distruttive è il cuore della pratica spirituale”. Puoi dirci cosa intendi con “emozioni distruttive”?

Daniel Goleman: Esistono due punti di vista: uno orientale, l’altro occidentale. Secondo il punto di vista occidentale – quello della scienza e della filosofia moderne – le emozioni distruttive sono quelle che provocano un danno a se stessi o agli altri. E “danno”, qui, è inteso nel senso più ovvio: fisico, affettivo, sociale. Il punto di vista orientale è più sottile. La concezione buddista, così come è emersa dalle conversazioni con il Dalai Lama alla conferenza intitolata “Mind and Life” nel marzo 2000, è che le emozioni distruttive sono quelle che disturbano il proprio equilibrio interiore, mentre quelle sane favoriscono l’equilibrio della mente. (continua)

Articolo completo: http://www.innernet.it/addomesticare-le-emozioni-distruttive/

Il numero: l’archetipo dell’ordine, M. Teodorani

05 martedì Feb 2019

Posted by Paola in I Ching, Inserimenti, Linguaggio, Neoscienze, Realtà Parallele, Stati altri di coscienza

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Il numero: l’archetipo dell’ordine, Massimo Teodorani [estratto da: Sincronicità, Macro Edizioni]

Il numero stesso è un archetipo. Del resto se ne era accorto bene lo stesso Jung proprio quando studiava l’I Ching e le sue caratteristiche sincroniche. I numeri hanno un significato profondo, ed è questa la ragione per la quale essi apparivano così frequentemente nelle pratiche divinatorie dell’I Ching. Essendo il numero un archetipo, esso è connesso direttamente alla sincronicità. Dal momento che lo scopo del numero è quello di portare ordine, Jung lo denominò “archetipo dell’ordine”. Il numero inoltre appare in quei simboli del “sé” – ovvero di quella parte di noi che ci ricollega all’inconscio collettivo – che sono i mandala, i quali hanno spesso la struttura quaternaria, oppure fatta da multipli di 4.

Come si vedrà in seguito, proprio la struttura quaternaria del mandala giocherà un ruolo predominante nel porre le basi della psicofisica sognata da Pauli e da Jung. Il numero sembra essere usato dall’inconscio proprio per creare ordine. Non è dunque un artefatto dell’uomo, bensì la manifestazione di una realtà superiore che noi possiamo usare come strumento sia per metterci in collegamento sincronico con la dimensione superiore che per costruire le leggi della scienza che hanno alla loro base una formulazione matematica.

I numeri servono come mediatori tra la realtà esterna e quella mentale. Pauli era completamente d’accordo con Jung al punto tale che riteneva che il concetto di archetipo dovesse essere compreso in maniera tale da includere le idee delle serie continue dei numeri interi in aritmetica e il concetto di continuo in geometria. Questo potrebbe aiutare a capire per quale ragione le teorie matematiche, proprio come quelle su cui lavorava Pauli, che sono nate solo ed esclusivamente da intuizioni provenienti dal profondo della psiche, possano poi essere messe in pratica per spiegare la realtà fisica.

L’inconscio stesso è infatti in grado di produrre spontaneamente strutture matematiche consistenti di numeri naturali e in certi casi anche di “matrici” (proprio come quelle che usò Pauli per descrivere quantitativamente certi importanti concetti della meccanica quantistica), al fine di esplicitare palesemente e alla luce della coscienza delle forme di ordine. I numeri, dunque, sembrano rappresentare sia un attributo della materia che il fondamento inconscio dei nostri processi mentali. Per questa ragione, sia per Jung che per Pauli, le forme rappresentate dai numeri sono quel particolare elemento che unisce i regni della materia e della psiche. (…)

Il numero è sia un veicolo di conoscenza che un legante tra due mondi tra loro complementari e costituenti quella totalità che si esplica nel mondo quantico.

Noi sappiamo che quel linguaggio simbolico che è la matematica rappresenta le fondamenta della fisica moderna. Ma allora ci si potrebbe chiedere: quali sono le fondamenta della matematica e per quale ragione funzionano così bene? Se non siamo in grado di rispondere a questa domanda, allora la scienza che riusciamo a padroneggiare così bene è basata su cose che ancora non capiamo. In sostanza lo scopo di Pauli era di rispondere anche a questa domanda, e la risposta la si trova solo concependo una nuova fisica che unisca la materia alla mente.

L’ipotesi archetipica del numero fu particolarmente sviluppata da  un’altra importante analista della scuola di Jung che ebbe in cura Pauli, la dottoressa Marie-Louise von Franz. Questa studiosa, sicuramente la massima divulgatrice del pensiero di Jung, arrivò a fissare con chiarezza i concetti di archetipo studiati come una sonata di piano a quattro mani da Pauli e da Jung. Von Franz arrivò a capire che tutti i fenomeni mentali e fisici sono aspetti complementari della stessa realtà unitaria trascendentale.

Alla base di essi esistono certe fondamentali forme dinamiche chiamate “archetipi”. Ogni specifico processo, sia esso fisico o mentale, è una particolare rappresentazione di alcuni di questi archetipi. In modo particolare, gli archetipi del numero forniscono la base per tutte le possibili espressioni simboliche. È dunque possibile, in linea di principio, che un “linguaggio neutro”, costruito sulla base di queste rappresentazioni simboliche astratte che sono gli archetipi del numero, possa fornire una descrizione altamente unificata di tutti i fenomeni mentali, psichici, parapsichici e fisici. (…)

Estratto da: Sincronicità, il legame tra Fisica e Psiche da Pauli e Jung a Chopra – Macro Edizioni

Massimo Teodorani è un astrofisico e divulgatore scientifico. Dopo la laurea in Astronomia ha conseguito il dottorato di ricerca in fisica stellare. Ha lavorato presso gli osservatori di Bologna e al radiotelescopio del CNR di Medicina (BO). Svolge tuttora ricerche teoriche nel campo del progetto SETI e prosegue la sua ricerca sulla fisica dei fenomeni luminosi anomali. Per Macro Edizioni ha pubblicato numerosi libri tra cui: Tesla, lampo di genio; Bohm, la Fisica dell’Infinito; Marco Todeschini, spaziodinamica e psicobiosifica; Entanglement; e Teletrasporto.

Minuscoli universi chiamati “uomini”, E. Boncinelli

19 mercoledì Dic 2018

Posted by Paola in Evoluzione, Inserimenti, Neoscienze, Percezione

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Dagli atomi alle galassie – Minuscoli universi chiamati «uomini», Edoardo Boncinelli (2003)

Ànthropos micròs còsmos, l’uomo è un piccolo universo, un microcosmo.

Con questa affermazione contenuta in un frammento di Democrito del quarto secolo avanti Cristo inizia la fortuna di un concetto che è stato ripreso innumerevoli volte attraverso i secoli: quello che raffigura appunto l’uomo come un microcosmo, un’immagine rimpicciolita dell’universo stesso e un suo compendio. Soprattutto nel Medio Evo quest’immagine è molto piaciuta e ha dato luogo ad innumerevoli riflessioni che tendono a fare dell’uomo un piccolo universo a sé ma anche un tramite per penetrare, per analogia o allusione, i misteri del cosmo e controllarne le trasformazioni. «Fintanto che il cervello resterà un mistero, resterà un arcano anche l’universo» ha detto il grande neurobiologo spagnolo Ramòn y Cajal non troppo tempo fa. Che ne è oggi di questa idea, oggi che la scienza ci ha rivelato l’esistenza di mondi arcani e remoti, nell’infinitamente piccolo come nell’infinitamente grande? Da una parte ci sono gli atomi, più piccoli di un milionesimo di millimetro, e le particelle ancora più minuscole che li compongono; dall’altra le stelle e le galassie, per le quali si ragiona in termini di milioni di chilometri. Noi ci troviamo più o meno nel mezzo e abitiamo un mondo caratterizzato da oggetti le cui dimensioni vanno dal millimetro al chilometro e tempi che vanno dal secondo al decennio.

Questo è anche il mondo nel quale si è sviluppata ed evoluta la vita sul nostro pianeta. È naturale, perciò, che tutti gli animali siano in grado di percepire e comprendere gli eventi che hanno luogo a questa scala. Anche il nostro cervello è in grado di osservare e comprendere facilmente realtà che si misurano in termini di metri e di minuti. Non siamo invece particolarmente attrezzati a rappresentarci eventi che abbiano luogo a scale molto diverse e ci siamo anche stupiti, chi sa perché, del fatto che la fisica atomica e nucleare ci abbiano dimostrato che gli atomi e le particelle subatomiche non sono solo più piccoli ma sono anche molto diversi. Queste minuscole entità obbediscono cioè a leggi diverse e inconsuete che sono difficili pure da riassumere. In tempi più recenti abbiamo anche appreso che gli oggetti celesti di grandi dimensioni presentano proprietà nuove e diverse. Negli immensi spazi siderali si aggirano oggetti che incurvano con la sola loro presenza il continuo spazio-temporale, enormi quantità della cosiddetta materia oscura, per non parlare dell’energia oscura, e quelle particolarissime entità che sono i buchi neri.

Perché dovremmo meravigliarci del fatto che non riusciamo a capire e talvolta neppure a dire come funzionano questi mondi così lontani e inattingibili? Eravamo fatti per ben altro. I nostri sensi e la nostra capacità di rappresentare e immaginare sono sintonizzati sul quotidiano e il consueto. Considerando i mondi dell’infinitamente piccolo e dello straordinariamente grande non possiamo che affidarci ad analogie o ad immagini mentali più o meno fedeli. Oppure a leggi matematiche non facilmente interpretabili, quelle leggi che per quanto riguarda gli oggetti del nostro mondo sono poco più di riassunti di un gran numero di affermazioni, ma che per i fenomeni che hanno luogo in questi mondi remoti rappresentano l’unica forma possibile di conoscenza e di previsione.

L’uomo e la sua storia si collocano in una nicchia spazio-temporale molto ristretta, una sorta di meso-mondo collocato a mezza strada fra un micro-mondo e un mega-mondo. A quello apparteniamo e quello siamo in grado di comprendere. Ciò significa che gli altri mondi non esistono o che non hanno le proprietà che noi gli attribuiamo? Nemmeno un po’. La nostra stessa esistenza è anzi la migliore dimostrazione della necessità del piccolo e del grande. Senza di questi non potremmo esistere e probabilmente non potrebbe esistere neppure la vita. Prendiamo gli atomi. Anche un tavolo o una roccia sono costituiti di molecole e di atomi ma per comprendere molte delle loro proprietà questo fatto può essere ignorato. Non così per la vita e per la vita intelligente. Un essere vivente deve necessariamente essere costituito di cellule e per poter pensare deve possedere anche un cospicuo numero di cellule nervose. Le cellule sono a loro volta piccoli mondi organizzati e sufficientemente autonomi che non possono non essere formati da un numero enorme di unità costitutive elementari. Se i mattoni del mondo fossero delle dimensioni a noi familiari, anche solo dell’ordine dei millimetri, non ci sarebbero esseri viventi e noi non ci saremmo.

All’estremo opposto, oggi sappiamo che se l’universo non fosse tanto grande, non sarebbe trascorso abbastanza tempo dall’inizio del tutto e questo non sarebbe stato sufficiente perché potesse evolvere una forma di vita intelligente su un pianeta che presenti condizioni ambientali relativamente stabili come la nostra Terra. Insomma, perché noi esistiamo è necessario che il mondo contenga realtà incommensurabili che si comportino in maniera incomprensibile. Il sorprendente è che almeno in parte riusciamo a comprenderle. E a parlarne.

Fonte: SWIF, 28/11/2003

Edoardo Boncinelli è stato capo del Laboratorio di Biologia Molecolare dello Sviluppo presso il Dipartimento di Ricerca Biologica e Tecnologica (DIBIT) dell’Istituto Scientifico H. San Raffaele; è inoltre professore di Biologia e Genetica presso l’Università Vita-Salute e Direttore di ricerca CNR presso l’Istituto di Farmacologia Molecolare e Cellulare del CNR di Milano.

Fisico di formazione, si è dedicato allo studio della genetica e della biologia molecolare degli animali superiori e dell’uomo prima a Napoli (presso l’Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica, I.I.G.B., del CNR), dove ha percorso le tappe fondamentali della sua carriera scientifica, e poi a Milano. E’ membro dell’Accademia Europea e dell’EMBO, l’Organizzazione Europea per la Biologia Molecolare, ed è stato Presidente della Società Italiana di Biofisica e Biologia Molecolare. [ndr]

http://www.boncinelliedoardo.com/

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