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Archivi della categoria: Massimo Pigliucci

Un venditore può essere uno stoico?, M. Pigliucci

03 martedì Lug 2018

Posted by Paola in Filosofia, Massimo Pigliucci, Stoicismo

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Un venditore può essere uno stoico?, Massimo Pigliucci [dalla rubrica “Consigli stoici” del blog How to be a stoic ]

D. scrive: “Come dovrebbe comportarsi eticamente chi pratica lo stoicismo se il suo lavoro implica la retorica, il persuadere gli altri e il vendere, come per esempio un venditore, un pubblicitario, ecc.? E lo stesso vale anche per chi scrive delle richieste di sovvenzioni, per gli avvocati e così via.”

Massimo Pigliucci – Questa è davvero una bella domanda, e penso che vi sia una risposta generale, anche se possono esserci differenze significative su come implementarla tra i professionisti elencati e altri che potrebbero rientrare nella stessa categoria generale.

Il modo più ovvio di affrontarla è attraverso l’etica dei ruoli di Epitteto, come l’ha brillantemente presentata il mio amico Brian Johnson nel suo libro “The role ethics of Epictetus: Stoicism in ordinary life”[1] che ho illustrato in una serie di sei articoli su questo blog [2]. Come puoi ricordare, Epitteto distingue tra i ruoli dati dal caso e dalle circostante (p.e., essere figlio di qualcuno), i ruoli che si scelgono (p.e., la carriera) e il nostro ruolo fondamentale di membri dell’umanità. Consideriamo:

“… Perché, per ogni cosa che facciamo, se non la riferiamo a uno scopo, agiremo a vanvera… Orbene, ci sono due scopi ai quali riferirsi, uno comune a tutti e uno proprio di ciascuno. Innanzitutto, si deve agire da uomini. E ciò, che cosa comporta? Non si deve agire come pecore, per quanto con mitezza, o in modo dannoso, come animali selvaggi. Lo scopo proprio di ciascuno riguarda il tipo di vita di ciascuno e la sua scelta morale. Il suonatore di cetra deve comportarsi come un suonatore di cetra, il carpentiere come un carpentiere, il filosofo come un filosofo, il retore come un retore.” – Epitteto, Diatribe III, 23, 3-5 [3]

Lo scopo “comune” citato sopra è quello che si applica a tutti gli esseri umani in quanto esseri umani. lo scopo “proprio” è quello che si applica al nostro specifico ruolo. Se sei un suonatore di cetra devi esercitarti, prenderti cura del tuo strumento e suonarlo al meglio. Se sei un filosofo devi lavorare con la tue capacità intellettuali e usarle aiutando gli altri a vivere una vita migliore e più significativa. (Nota: sfortunatamente, ciò non è il genere di cose che apprenderai nella maggior parte dei moderni dipartimenti di filosofia, ma questa è un’altra storia.)

Allora, una prima risposta alla tua domanda è che un venditore, un pubblicitario, un avvocato e così via, devono fare quello che i venditori, i pubblicitari e gli avvocati fanno. Vale a dire che se si sceglie una di queste professioni, il modo stoico di fare è di esercitarla bene.

Così dovrebbe essere, a meno che il tuo ruolo specifico nella tua professione entri in conflitto con il ruolo più ampio di essere umano. Come dice Epitteto, non si deve voler agire a casaccio, come una pecora, o distruttivamente, come un animale selvatico. Ciò significa che se il tuo lavoro ti chiede qualcosa che tu sai che non è etico ed è in conflitto con il benessere dell’umanità, allora non devi farlo. Il tuo ruolo come cittadino del mondo surclassa ogni altro ruolo che tu possa interpretare. Perché?

Perché:

“… sei cittadino del mondo e parte di esso, non una delle parti destinate a servire, ma una delle parti principali; sei, infatti, in grado di comprendere l’ordinamento divino del mondo e di meditare su quel che ne consegue. Ora, in che cosa consiste il ruolo di cittadino? Nel non avere nessun utile personale, nel non deliberare su niente come se si fosse indipendenti, ma come farebbero la mano o il piede se avessero la capacità di ragionare e di comprendere l’ordinamento della natura; e certo non avrebbero né impulsi né desideri altrimenti che rapportandoli al tutto.” – Epitteto, Diatribe II, 10, 3-4 [3]

In senso moderno l’“ordinamento divino” citato sopra può essere semplicemente inteso come ciò che ragione e giustizia richiedono, senza particolari accenti metafisici. Quindi, finora abbiamo l’idea che qualunque cosa uno faccia, dal punto di vista stoico il modo è farla bene, con integrità. Inoltre, è imposto un limite dato dal nostro più ampio dovere verso l’umanità stessa. In pratica, come potremmo imbatterci in questo limite?

Prendiamo un venditore, per esempio un venditore di automobili. Rientra nei confini stoici quando fa del suo meglio per vendere quante più auto possibili a potenziali clienti, perché questo è il ruolo di un venditore d’automobili. Ma supponiamo un contesto dove lui è in realtà consapevole che una certa auto usata ha dei difetti che il suo datore di lavoro gli ha chiesto di non rivelare, così da piazzarla in fretta e liberarsene. Qui è dove il suo dovere verso l’umanità in generale si palesa: se procede con la vendita commetterebbe un’ingiustizia verso un altro essere umano, così – stoicamente parlando – dovrebbe cortesemente rifiutarsi. Fino al punto di essere ripreso o di perdere il lavoro.

Questa è un’improba impresa per la maggior parte di noi, ma nessuno ha detto che praticare con coerenza lo Stoicismo sia cosa facile. (Direi anche che praticare una qualsiasi filosofia o religione coerentemente – compreso il Cristianesimo o il Buddismo – non sia facile.) Gli Stoici riconoscono che nessuno di noi è un saggio, e che immancabilmente non saremo all’altezza dell’ideale. Ecco come Epitteto si esprime:

“Considera a che prezzo vendi la tua scelta morale di fondo; se proprio devi venderla, uomo, almeno non venderla a basso prezzo.” – Epitteto I, 2, 33 [3]

L’idea è che dovremmo sforzarci di fare il nostro meglio e allo stesso tempo riconoscere che abbiamo dei limiti. Per esempio, tornando al nostro venditore d’auto, potrebbe non voler contrastare la richiesta del suo capo perché ha una famiglia da mantenere e non può permettersi di perdere il proprio lavoro. Questo è un compromesso comprensibile ma forse potrebbe attuare una strategia alternativa: potrebbe essere di proposito meno convincente per quelle auto che lui sa essere delle carrette, così da minare sottilmente la richiesta non etica del suo capo; e nel contempo potrebbe cercarsi un altro lavoro dove la sua integrità non viene compromessa e così mantenere la sua famiglia.

Come pensiero finale, nota che questo tipo di situazione richiama l’applicazione di tutte e quattro le virtù cardinali: il coraggio di resistere alle richieste non etiche del tuo capo; il senso di giustizia che ti permette di riconoscere che non stai interpretando il tuo ruolo di cittadino del mondo al meglio; temperanza nel rispondere al tuo capo, dato che ci sono altre cose da considerare, come il benessere della tua famiglia; e in particolar modo la saggezza pratica, sapere che le sole cose veramente sbagliate per te non sono le circostanze esterne, come il perdere il lavoro, ma le tue stesse cattive decisioni, come truffare consapevolmente il tuo cliente.—-

Traduzione: Paola (autorizzata e revisionata dall’autore)

Testo originale: Can a salesperson be a Stoic?

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Note

[1] Brian Johnson,  The role ethics of Epictetus: Stoicism in ordinary life

[2] M. Pigliucci,  The role ethics of Epictetus

[3] Epitteto, Opera Omnia a cura di G. Reale e C. Cassanmagnago, Bompiani Editore

Come bilanciare vita e carriera? (Consigli stoici), M. Pigliucci

27 domenica Mag 2018

Posted by Paola in Filosofia, Massimo Pigliucci, Società, Stoicismo

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Come bilanciare vita e carriera?, Massimo Pigliucci [dalla rubrica “Consigli stoici” del blog “How to be a stoic“]

M. scrive: “Ho 28 anni e sto studiando per un PhD in biologia evolutiva. Ho da poco famiglia e spesso ho difficoltà a conciliare i diversi aspetti della mia vita con i miei valori personali e, di conseguenza, faccio regolarmente degli sbagli. Ora, si potrebbe pensare che uno scienziato sia per lo più guidato dalla logica e dalla razionalità e, pertanto, questo lo renda ben adatto allo Stoicismo. Tuttavia, la mia impressione è che molti scienziati siano tutt’altro che logici e razionali, e so che io stesso spesso non lo sono. Vi sono moltissime potenziali frustrazioni, per esempio l’insicurezza economica, contratti a breve termine, scarse opportunità d’impiego permanente, giudizi faziosi sulle pubblicazioni, o anche un esperimento che non ha funzionato per la centesima volta.

Tutto quanto sopra potrebbe essere considerato come indifferenti non-preferiti, dato che non ho alcun controllo su molti di questi, o forse solo una piccola parte. Io cerco di accettare i possibili fallimenti e rischi dell’aver scelto di perseguire un PhD e allo stesso tempo cerco di prepararmi al peggio sperando nel meglio. Mi dico che “se intendi proseguire nell’ambito scientifico con un post-dottorato, allora hai certamente bisogno di prendere delle decisioni importanti, per cui preparati, fai conoscenze e scegli il giusto laboratorio”. Tuttavia, mi trovo abbastanza spesso profondamente frustrato dalle circostanze. “Perché devo passare dieci ore a lavorare intensamente in laboratorio senza ottenere alcun beneficio scientifico o personale, e non trascorrerle con mia moglie e mio figlio?” “Se le chance di successo sono scarse e difficili, non sarebbe meglio passare a un impiego normale (qualunque esso sia…)?”

Quindi le mie domande sono: come gestirebbe un proficiens [1] il conflitto interiore tra il fascino esercitato dalla scienza e le (potenziali) conseguenze negative del mondo reale? E quali passi posso intraprendere per controbilanciare e aumentare le probabilità e proseguire nella mia carriera scientifica?

Massimo Pigliucci – Per iniziare, sappi che la tua situazione non è affatto inusuale, ed è in realtà molto simile alla mia agli inizi della mia carriera negli anni ’90. Sono arrivato negli Stati Uniti con una borsa di studio di sei mesi, senza alcuna garanzia di ulteriori fondi. Ottenni una posizione di post-dottorato grazie al mio mentore per il PhD, ma valeva solo per un anno e ciò significava ottenere altri fondi oppure trovare lavoro in quel periodo di tempo. Poi arrivò la posizione poco remunerata di un contratto a termine (ma almeno era un contratto a termine, cosa attualmente difficile per molti giovani colleghi). La serenità mentale arrivò soltanto verso la fine dei trent’anni, dopo aver ottenuto un contratto indeterminato potendo così pianificare meglio sul lungo termine. Anche così, mia figlia è cresciuta lontano da me e il matrimonio finì in parte per motivi collegati con la mia carriera. Di fatto, la mia prima decisione della priorità della qualità della mia vita rispetto al lavoro arrivò solo intorno ai quarantacinque anni, quando decisi di trasferirmi a New York senza alcun lavoro presso un’università locale. Tutto questo per dire che ho una profonda simpatia per ciò che stai passando.

Detto questo, sembra che tu abbia afferrato bene la teoria stoica: sì, carriera, qualità della vita e anche la famiglia sono tutti indifferenti preferiti [2], naturalmente non nel senso che non ti importa di essi, ma che questi non influenzano il tuo valore come persona. Uno può avere tutto quello ed essere un essere umano meschino, mentre un altro può non avere nulla ed essere un essere virtuoso e vivere una vita degna di essere vissuta.

Inoltre, come tu stesso hai notato, queste condizioni esterne sono fuori dal tuo controllo [3], dato che non sei tu a determinare nessuno di questi risultati. Sì, puoi influenzare le probabilità di successo per una carriera come scienziato, e puoi lavorare sulle tue relazioni familiari. Ma, alla fine, puoi avere il controllo solo sui tuoi sforzi e non veramente sui risultati. È per questo che gli stoici consigliano di focalizzarsi sui propri sforzi ma di accettare qualunque risultato con equanimità, dato che arrabbiarsi o sentirsi frustrati per la mancanza di successo aggiunge soltanto un’altra auto-inflitta ferita a quella già presente.

Capire quanto sopra non è complicato; metterlo in pratica è difficilissimo. È per questo che Epitteto dice:

“Se non hai appreso in modo da dimostrare praticamente quel che hai studiato, perché mai hai studiato?” (Diatribe I, 29.35) [4]

Ma spiega anche cosa significa praticare:

“Se uno, quando si alza al mattino, rispetta e conserva questi propositi, si lava da uomo fedele e da uomo rispettoso, mangia allo stesso modo, sforzandosi di attuare praticamente, qualunque circostanza gli si presenti, i principi della sua condotta – come il corridore si comporta in ogni circostanza da corridore e il declamatore da declamatore – ebbene, ecco, in verità chi progredisce, ecco chi non ha inutilmente lasciato il suo paese.” (Diatribe I, 4.20)

Ciò che intende è che non ti puoi permettere di essere, per così dire, uno stoico della domenica. Devi essere presente, in senso stoico, ogni giorno e ogni minuto. Quell’esperimento è fallito per la centesima volta? Ripeti a te stesso: “È soltanto un esperimento, il mio valore come essere umano non dipende da esso.” (Poi, se mi è permesso, cambia esperimento, approccia le cose da un diverso punto di vista, non c’è ragione a sprecare altro tempo e risorse nel perseguire qualcosa che si rifiuta ostinatamente di funzionare.)

Non hai ottenuto quel posto o un’assegnazione di fondi? Ripeti a te stesso: “Era solo un colloquio di lavoro (o una proposta di finanziamento), il mio valore come essere umano non dipende da esso.” (Poi, di nuovo, considera seriamente se vale la pena di sottoporre nuovamente la stessa proposta piuttosto che formularne una nuova; o, più precisamente, se ti stai proponendo per il giusto impiego con il giusto curriculum.)

Come dici, già sapevi che le probabilità erano basse e il sacrificio richiesto alto. Non fraintendermi: non cambierei il mio con nessun altro lavoro al mondo. Ma ho avuto fortuna, perché ci vuole talento, sforzo e fortuna per avere successo in ambito accademico, e sfortunatamente quest’ultima gioca un ruolo ben maggiore. Ai miei tempi, ho considerato percorsi alternativi di carriera, qualora la mia prima scelta si ostinasse a non funzionare. Fortunatamente non sono dovuto ricorrere al piano B, ma è sempre saggio avere un piano B.

Naturalmente, ciò non vale solo in ambito accademico. Se si vuole diventare un attore, uno scrittore, un musicista, un pittore o un atleta, ci si trova davanti peggiori probabilità e anche maggiori sacrifici. Mi rendo conto che sentirsi dire “poteva andare peggio” è una magra consolazione, ma gli stoici devono guardare la realtà così com’è, per come meglio la conoscono, non per come desidererebbero che sia.

Questo mi porta al compromesso tra carriera e il resto della tua vita, in particolare della famiglia. Un’importante risorsa si trova nell’etica dei ruoli di Epitteto, sviluppo di una precedente versione del concetto espresso da Panezio. Ho trattato in sei articoli [5] il libro di Brian Johnson su questo tema, benché valga proprio la pena di leggere il libro.

Fondamentalmente, Epitteto pensava che noi abbiamo tre gruppi di ruoli: il primo e fondamentale è quello di essere un essere umano, un membro della polis umana; poi i ruoli assegnatici dal Logos (essere figlio, essere nato in un certa società); e infine i ruoli che abbiamo scelto in base al nostro carattere e alle nostre preferenze (la carriera ma anche le relazioni).

Il ruolo principale è quello di essere un essere umano, e sopravanza tutti gli altri. Ogni volta che prendi una decisione, stoicamente parlando, dovresti chiederti se stai facendo bene per l’umanità. Dopo di ché, ogni ruolo ti dice cosa fare per sua definizione (permettendo, naturalmente, un’interpretazione personale di ciascun ruolo come ampiamente definito dalla società):

“Se poi sei membro del consiglio di qualche città, non dimenticare che sei consigliere; se sei giovane, che sei giovane; se vecchio, che sei vecchio; se padre, ugualmente. Infatti, sempre, ciascuno di questi nomi, se lo si sottopone ad esame, consiglia gli atti che gli sono propri.” (Diatribe II, 10.10-11)

Né Epitteto né io possiamo dirti che cosa fare. Sta a te orientarti nelle complessità della tua vita. Ma i principi stoici forniscono una struttura, una specie di bussola, che ti aiuta in questa navigazione. Pertanto, devi chiedere a te stesso quanto sei disposto a sacrificare non soltanto a livello personale, ma anche nei termini della tua famiglia, nel perseguire la carriera che hai scelto. Quali sono i doveri che hai verso te stesso, il tuo partner, i tuoi figli (se ne hai)? E mentre rifletti su questo, ricorda:

“Perché sei tu che conosci te stesso, qual è il valore che ti attribuisci e a quanto ti vendi; gli uomini, infatti, si vendono a prezzi differenti. …. Solo, considera a che prezzo vendi la tua scelta morale di fondo. Se proprio devi venderla, uomo, almeno non venderla a basso prezzo.” (Diatribe I, 2.11 e 33)

Ti auguro veramente e sinceramente molta fortuna.—-

Traduzione: Paola (autorizzata dall’autore)

Testo originale: How do I balance career and life?

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Note

[1] Proficiens – una persona che afferma che “la virtù è il massimo bene” e cerca coerentemente di praticarla nella sua vita.[ndt]

[2] Vedi: The Stoic spectrum and the thorny issue of the preferred indifferents

[3] Vedi: Everything you need to know about the dichotomy of control

[4] Tutte le citazioni tradotte sono tratte da Epitteto, Tutte le opere – Traduzione C. Cassanmagnago, ed. Bompiani

[5] Vedi: The role ethics of Epictetus

Come essere stoici, M. Pigliucci (Libri)

13 martedì Mar 2018

Posted by Paola in Filosofia, Libri, Massimo Pigliucci

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Come essere stoici–Riscoprire la spiritualità dei classici per vivere una vita moderna, Massimo Pigliucci – Garzanti

(Estratto cap. 1)

In tutte le culture che conosciamo, siano esse secolari o religiose, ispirate o meno ai medesimi principi morali, una tra le questioni fondamentali è come l’uomo debba vivere: in che modo dovremmo affrontare le difficoltà e le avversità della vita? Quale condotta dovremmo tenere in questo mondo e come dovremmo comportarci con gli altri? E la domanda più importante: come prepararci al meglio per la prova ultima a cui sarà sottoposto il nostro carattere, vale a dire la morte?

(…) Per quanto mi riguarda, sono diventato uno stoico. Con questo non voglio dire che ho cominciato a mantenere un contegno impassabile e a reprimere tutte le mie emozioni. Nonostante ami molto il personaggio del signor Spock (per il quale sembra che il creatore di Star Trek, Gene Roddenberry, si sia effettivamente ispiranto a quanto conosceva – una conoscenza direi piuttosto superficiale – della dottrina stoica), uno degli equivoci più diffusi è infatti quello di ritenere che, per essere stoici, occorra assumere esattamente un atteggiamento di questo tipo. In realtà, lo scopo dello stoicismo non è reprimere o celare le emozioni ma riconoscerne l’esistenza, riflettendo su ciò che le ha provocate, e canalizzarle, usandole a proprio vantaggio; lo stoicismo insegna che esistono cose che dipendono da noi e altre invece che non sono in nostro potere, e a convogliare i nostri sforzi sulle prime senza sprecare tempo con le seconde.

Essere stoici significa perseguire l’eccellenza e adottare un comportamento virtuoso, trascorrendo il nostro tempo su questo mondo cercando di esprimerci al meglio delle nostre capacità senza mai perdere di vista la dimensione morale delle nostre azioni.

I dodici principi dello stoico

  1. Evitare reazioni affrettate
  2. Ricordarsi della transitorietà delle cose
  3. Scegliere obiettivi in nostro potere
  4. Essere virtuosi
  5. Prendersi un momento e respirare profondamente
  6. Mettere i problemi in prospettiva
  7. Parlare poco e bene
  8. Scegliere in modo accorto le proprie compagnie
  9. Rispondere agli insulti con l’umorismo
  10. Non parlare troppo di sè
  11. Parlare senza giudicare
  12. Riflettere sulla giornata appena trascorsa

Massimo Pigliucci (1964) insegna Filosofia presso la City University of New York, e cura due blog di successo: Plato’s Footnote e How To Be a Stoic. Vedi anche Wikipedia/MassimoPigliucci.

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In questo blog alcuni articoli di Massimo Pigliucci in “Consigli Stoici“

È possibile, o consigliabile, la compassione per uno stoico?, M. Pigliucci

25 lunedì Set 2017

Posted by Paola in Filosofia, Massimo Pigliucci, Stoicismo

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È possibile, o consigliabile, la compassione per uno stoico?, Massimo Pigliucci [dalla rubrica “Consigli stoici” del blog “How to be a stoic“]

J. scrive: “Sono un medico tirocinante e lavoro nel Sistema Sanitario Nazionale del Regno Unito. Come puoi ben sapere, il SSN è attualmente sotto un’intensa pressione. L’inverno è quasi sempre un momento impegnativo per la sanità, ma con una popolazione sempre più anziana, i tagli di spesa del governo, la carenza di personale e mancanza di assistenza sociale, il prossimo inverno sarà probabilmente uno dei peggiori per il SSN. Queste difficoltà hanno un impatto significativo sul personale sanitario, specialmente su quelli che stanno in prima linea. I medici si trovano a dover seguire più pazienti con minori risorse. Oltre a queste pressioni, il Sistema Sanitario Nazionale è un sistema con una sempre maggiore burocratizzazione e i medici si sentono frustrati, trovandosi incapaci di provvedere alle cure che desiderano per decisioni che non dipendono da loro. I medici si trovano a lavorare sempre più in condizioni di litigiosità, e a questo si aggiunge la paura di commettere degli errori, per non dire che ciò costringe i medici a praticare una “medicina difensiva” considerata in contrasto con i loro normali doveri di assistenza. La stessa medicina in sé pone i medici sotto una gran mole di tensioni morali, proprio a causa della sofferenza e della morte che essi vedono giornalmente. Questo per dire che essere medico del SSN è duro.

Per tutti questi motivi, viene detto che i medici devono diventare più forti, avere una maggiore resilienza. L’idea di resilienza come virtù professionale dei medici mi sembra in accordo con lo Stoicismo. Mi domandavo: a quale concetto stoico potrebbe somigliare la resilienza, e gli stoici quali consigli avrebbero dato a un medico per essere più resiliente? Mi preoccupo anche che nel richiedere ai medici di essere più resilienti possa esserci un conflitto con gli altri loro doveri di assistenza o virtù professionali come la compassione. Come si orienterebbe, in questo contesto, uno stoico? Molta della gioia e del piacere di essere medico viene dall’interazione con i pazienti, quelle stesse “esteriorità” che potrebbero anche essere fonte di stress per i medici che necessitano di resilienza. Allora, in che modo uno stoico incoraggia il distacco da quelle stesse “esteriorità” (i pazienti) su cui i medici poggiano la loro personale soddisfazione lavorativa?”

Massimo Pigliucci – Ho una cara amica che considero stoica per natura. Per molti anni ha lavorato sul campo per un’organizzazione umanitaria di soccorso nei casi di catastrofe. Abbiamo discusso spesso su come lei riusciva a sopportare la vista di tali miserie lavorando in condizioni estreme, compresa la cronica mancanza di fondi e forniture, e anche le conseguenze di decisioni prese da altri su cui lei non aveva alcun controllo.

La sua risposta sarebbe potuta venire direttamente da Epitteto: praticare, ogni giorno, una combinazione di distacco interiore ed empatia verso l’esterno, ricordare costantemente a se stessi che ciò che si sta facendo vale a prescindere dalle condizioni terribili, e che si sta veramente facendo la differenza in un mondo che ne ha bisogno. Il distacco interiore è necessario, perché se ci si lascia troppo prendere dalle proprie emozioni nella situazione, si inficia la propria capacità di gestirla. L’empatia verso gli altri è data, naturalmente, perché siamo esseri umani davanti a dei nostri compagni umani in disperata necessità. Rammentare bene perché lo si sta facendo, serve a rinnovare e rafforzare la propria risoluzione nel sopportare la situazione al fine di un maggior bene.

Ecco come Epitteto spiega la combinazione di empatia verso gli altri e distacco interiore:

“Se ti capita di vedere qualcuno che si dispera versando lacrime per un lutto o perché suo figlio è partito per altri lidi o ancora per aver subito un dissesto finanziario, fai bene attenzione a non lasciarti influenzare e travolgere dall’opinione che egli si è formato a proposito della sua sofferenza, come se effettivamente dipendesse da cause esteriori, ma tieni a portata di mano questa considerazione: «Ad affliggerlo non sono gli accadimenti in sé – chi gli sta vicino, altrimenti, ne sarebbe altrettanto colpito – bensì il giudizio che dà di tali eventi». Pertanto, sii pronto a secondare il suo dolore pronunziando parole di consolazione; puoi anche arrivare, se è il caso, a sospirare insieme a lui: ma bada che la tua serenità interiore non venga scalfita da lacrime e sospiri.” [Enchiridion, 16][1]

Questo potrebbe al momento apparire come un’ipocrisia ma, in realtà, è compassione. Lo stoico pratica la sua filosofia ricordando a se stesso che le cose esterne sono indifferenti preferiti o non preferiti, ma è anche attento a non imporre la sua filosofia agli altri, adeguando invece il proprio comportamento a ciò che può essere di maggiore conforto e utile per i suoi compagni umani.

Seneca esprime un sentimento molto simile in questo passaggio:

“Tutte le altre cose che voglio facciano coloro che hanno compassione, egli (l’uomo saggio) le farà spontaneamente e con animo elevato: porgerà aiuto alle lacrime altrui, ma non vi parteciperà; tenderà la mano al naufrago, offrirà ospitalità all’esule, farà l’elemosina all’indigente, non però quell’elemosina umiliante che getta sprezzantemente la maggior parte degli uomini che vogliono apparire misericordiosi, mentre provano disgusto per coloro che aiutano ed hanno paura di esserne toccati: ma donerà come un uomo dà ad un altro uomo qualcosa che appartiene ad un patrimonio comune; donerà un figlio alle lacrime della madre, e ordinerà di sciogliergli le catene e lo sottrarrà ai giochi dell’arena e seppellirà nella terra il cadavere anche se ha commesso dei delitti: ma farà tutto questo con mente tranquilla, con volto immutato.” [Seneca, Sulla clemenza II, 6][2]

Nota il punto in cui dice che non si dovrebbe essere gentile verso gli altri in modo offensivo e nel contempo “aver paura di essere toccati” da coloro che si sta aiutando. Qui stiamo parlando della vera compassione, non una sua spettacolarizzazione per sembrare buoni. Ma parliamo anche dell’atteggiamento interiore stoico alla calma, che viene dal sapere che si può soltanto fare ciò che è sotto il proprio controllo, unito a valutazione realistica di come funziona il mondo.

I medici del SSN dovrebbero ricordarsi dell’ambiente in cui lavorano. Naturalmente, i politici prendono decisioni opportuniste e miopi riguardo ai fondi e alle priorità. Questo è quello che loro fanno, e aspettarsi qualcos’altro è una pia illusione. A questo riguardo, Marco Aurelio è chiaro:

“Cosa ci sarà poi di male o di strano, se l’ignorante agisce da ignorante? Vedi, piuttosto, di non dover accusare te stesso per non aver previsto che la persona avrebbe commesso questa mancanza: perché dalla ragione avevi anche i mezzi per pensare che la persona verosimilmente avrebbe commesso questa mancanza, eppure te ne sei dimenticato e ti sorprende che l’abbia commessa.” [Meditazioni IX, 42][3]

A questo punto, se qualcuno pensa ancora che tutto questo non provi che gli stoici si curavano delle emozioni umane e che invece cercavano di muoversi nella vita come il dottor Spock di Star Trek, vorrei ricordare alcune cose che Seneca ha detto proprio a tal proposito:

“La prima cosa che la filosofia promette è il senso di solidarietà con tutti gli uomini; in altre parole, partecipazione e socialità.” [Lettera a Lucilio V, 4]

“Ti sto forse consigliando di essere insensibile, di volere che tu mantenga un comportamento impassibile alla cerimonia funebre e di non permettere alla tua anima di non sentire neppure un pizzico di sofferenza? Niente affatto. Questo significherebbe mancanza di sentimento più che di virtù.” [Lettera a Lucilio XCIX, 15)

Ed anche:

“È possibile che scorrano lacrime dagli occhi di chi è calmo e sereno. Le lacrime spesso scorrono senza pregiudicare la compostezza dell’uomo saggio… e in misura tale da non mostrare né mancanza di sentimento né di dignità.” [Lettera a Lucilio XCIX, 20]

In conclusione, ammiro ciò che voi giovani fate, e non so immaginare di avere la forza interiore di farlo io stesso. Ho visto medici nel sistema sanitario pubblico italiano prendersi cura dei miei nonni e poi dei miei genitori al meglio delle loro capacità, a dispetto di restrizioni simili imposte dalla mancanza di fondi e dalla burocrazia. Sono davvero lieto che ci siano tali persone al mondo, o come la mia amica stoica per natura, che ha dedicato dieci anni della sua vita, con grande rischio personale, ad aiutare migliaia di stranieri. Continua a fare ciò che stai facendo, pratica l’attenzione cosciente stoica ripetendoti i precetti che ho citato e rileggendo i passaggi rilevanti, e sappi che un numero incalcolabile di persone ti saranno eternamente grate per ciò che fai.

Traduzione: Paola (autorizzata dall’autore)

Testo originale: Is compassion possible, or advisable, for a Stoic?

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Note

[1] Traduzione a cura di Francesco Dipalo (ndt)

[2] Traduzione dal sito http://www.sentieridellamente.it

[3] Traduzione a cura di Patrizio Sanasi, Edizioni Acrobat (ndt)

Dovrei continuare a giocare d’azzardo contro chi non può permettersi di perdere? (Consigli stoici), M. Pigliucci

12 lunedì Giu 2017

Posted by Paola in Filosofia, Massimo Pigliucci, Stoicismo

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Dovrei continuare a giocare d’azzardo contro chi non può permettersi di perdere?, Massimo Pigliucci [dalla rubrica “Consigli stoici” del blog “How to be a stoic“]

M. scrive: “Sono un aspirante stoico e mi piacciono veramente i post sul tuo blog. Ho una mente analitica e di professione facevo lo psicologo per cui mi piace la riflessione, e la capacità di leggere le persone è importante per giocare a poker con successo. Amo anche la sfida e la natura competitiva del gioco. Sono fortunato a non aver bisogno di denaro, per cui non è per denaro che gioco. Infatti, tutti i proventi delle mie proprietà vanno in beneficenza una volta soddisfatte le necessità familiari. Il mio dilemma morale riguarda il giocare (e possibilmente vincere) contro persone che giocano con denaro che non possono permettersi di perdere. Uno stoico smetterebbe di giocare a poker nelle sale da gioco o nei casinò?.”

Massimo Pigliucci – È una buona domanda, e direi che la risposta è chiaramente un sì. Naturalmente, non puoi controllare ciò che le altre persone fanno, quindi è anche possibile che allontanandoti da questa attività non eviterai a nessuno la rovina finanziaria. Per quanto sia tu ad avere il controllo sul tuo giudizio e sulle tue decisioni, io non vedo nei principi stoici nessun sostegno a favore di questa pratica e alcune palesi ragioni contrarie.

La considerazione più ovvia al riguardo è, naturalmente, attraverso la lente degli indifferenti preferibili e non preferibili [1]. Mi sembra che il piacere di giocare a poker per rilassarsi sia un (debole) indifferente preferibile, nel senso che non migliora la tua virtù, tuttavia è un modo per svagarsi ed acuire anche le proprie capacità analitiche, cose entrambe che contribuiscono indirettamente alla virtù. Dopotutto, Epitteto andava ai bagni per diletto (Enchiridion 4).

(Io penso che la mente umana abbia bisogno di rilassarsi e intrattenersi perchè l’individuo mantenga una mente sana, e questa serve per poter giungere a giudizi virtuosi.)

Il problema è che portar via denaro a persone eventualmente dipendenti dal gioco con il rischio di una loro rovina finanziaria, è più che un indifferente non preferibile… è un esempio di comportamento non virtuoso. Qui sembra appropriato citare Marco Aurelio:

“Lavora: ma non con l’aria della vittima né per farti compatire o ammirare; desidera, invece, una cosa soltanto: muoverti e trattenerti come richiede la ragione della socialità.” (Riflessioni, IX.12) [2]

Oppure questa:

“Come tu stesso sei parte nel realizzare una compagine sociale, così pure ogni tua azione sia parte nel realizzare la vita sociale.” (Riflessioni, IX.23) [2]

I motivi sociali e la vita sociale non chiedono certo di sostenere le ossessioni che possano causare problemi finanziari alle persone e alle loro famiglie. Proprio all’opposto.

Un altro modo per considerare la cosa è che, potenzialmente, nell’approfittarsi di un compagno umano nella ricerca di svago si viola la dottrina dell’oikeiosis [3] come espressa da Ierocle (mi scuso per la lunghezza della citazione):

“Ciascuno di noi è, per così dire, circoscritto da molti cerchi; alcuni di questi sono piccoli, altri più larghi, e alcuni racchiudono ed altri sono racchiusi, secondo le diverse e ineguali abitudini che abbiamo gli uni verso gli altri. Per quanto riguarda il primo cerchio, che è anche il più prossimo, è quello delle nostre facoltà mentali, e anche il nostro corpo e tutto ciò che si presume sia per il bene del nostro corpo… Il secondo e successivo, che sta a una maggiore distanza dal centro e ingloba il primo cerchio, è quello in cui si pongono i genitori, i fratelli, la moglie e i figli. Il terzo cerchio dal centro è quello che contiene gli zii, le zie, i nonni e le nonne, e i nipoti… Ma il cerchio maggiore e più grande, il cerchio che racchiude tutti gli altri cerchi, è quello dell’intera razza umana… È lo scopo di colui che cerca di comportarsi in modo appropriato rispetto a ognuna di queste relazioni di riavvicinare, in un certo qual modo, i cerchi esterni a quello centrale, sforzandosi sempre e seriamente di trasporre la propria attenzione sui numerosi individui contenuti nei cerchi esterni a quello più interno.”

Ierocle continua con alcuni consigli pratici su come iniziare a “contrarre” i cerchi:

“Occorre, ugualmente, adottare la giusta considerazione per l’uso in generale degli appellativi, chiamando cugini, zii e zie con il nome di fratelli, padri e madri;  e riguardo ad altri parenti, di chiamarli zii, o cugini, a secondo delle loro età, facendo uso dell’ampia accezione di questi termini. Nell’appellarli in tal modo, sarà chiara la nostra solerte attenzione nei confronti di ciascuno di questi parenti; allo stesso tempo ciò sarà da stimolo ad applicarci ancor di più, per così dire, alla contrazione dei cerchi sopra citati.”

Quindi, se tu pensi veramente alle persone con cui giochi a poker come a tuoi fratelli e tue sorelle, li sottoporresti, in piena coscienza, al rischio di una rovina economica per soddisfare il piacere che provi ad esercitare le tue capacità analitiche? Per fortuna, la risposta è semplice: gioca a poker senza denaro, o solo con poste nominali. Allora non farai nulla di non virtuoso, e potrai continuare a trarre piacere dal gioco. —-

Traduzione: Paola (con revisione dall’autore)

Testo originale: Should I keep playing poker against people who can’t afford to lose?

————————————-

Note

[1] ] The Stoic spectrum and the thorny issue of preferred indifferents

[2] A se stesso (Pensieri) – a cura di Patrizio Sanasi, Edizioni Acrobat (ndt)

[3] Oikeiosis (dal greco οικεῖος), termine introdotto dai filosofi stoici per indicare la realizzazione, il fine ultimo degli esseri viventi che, secondo gli stoici, è la conoscenza del proprio io tramite la synaesthesis, ovvero la percezione interna. [https://it.wikipedia.org/wiki/Oikeiosis] (ndt)

Sul senso di colpa (Consigli stoici), M. Pigliucci

07 mercoledì Giu 2017

Posted by Paola in Filosofia, Massimo Pigliucci, Stoicismo

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Sul senso di colpa, Massimo Pigliucci [dalla rubrica “Consigli stoici” del blog “How to be a stoic“]

M. scrive: “Ho 24 anni e seguo lo stoicismo da circa tre anni. Anni fa ho commesso uno sbaglio, e gli errori di allora cominciano ora a farsi sentire. Quando avevo 15 anni, quasi 16, ho ingannato una persona raccontando una bugia, e per anni le ho lasciato credere di aver detto la verità. Ora la situazione è al di là di una riconciliazione tra me e quella persona, che ha nei miei confronti un profondo risentimento. Forse il sapere di aver fatto così male mi rende difficile superare questa cosa. Seguendo gli insegnamenti stoici ho imparato a ragionare di più e giustificare di meno, il che, a sua volta, limita i miei errori. E anche quando sbaglio tengo in considerazione la dicotomia del controllo, e tutte le sere rifletto se c’è qualcosa che posso migliorare la volta successiva. So che non dovrei vivere nel passato, ma quando sono solo in compagnia di me stesso, è sempre nella mia mente. Anche se è stato un errore che ho fatto da adolescente, mi chiedo perché non riesco a vedere alcun modo di giustificare le mie azioni nello sforzo di essere libero.”

Massimo Pigliucci – Già hai gli elementi per risponderti, ma non sei stato (ancora) capace di interiorizzarli. Iniziamo con il dato di fatto che il passato non è sotto il tuo controllo. Qualunque cosa tu abbia fatto, l’hai fatta, e non c’è nulla che potresti fare per disfarla. È per questo che Seneca dice:

“… che disgrazie vecchie e dimenticate rattristino gli spiriti proclivi alla malinconia e che cercano motivi di afflizione. Sia quanto è successo in passato, sia quanto dovrà succedere in futuro è lontano da noi: non sentiamo né l’uno né l’altro. Il dolore può venirci solo da quello che sentiamo.” (Lettere a Lucilio VIII, 74, 34) [1]

Aggiungo subito che con questo non intendo dire che non dovresti fare ammenda per ciò che hai fatto, e neppure che non dovresti imparare dai tuoi errori, così da diventare, ogni giorno, una persona migliore.

Da quanto scrivi, presumo che hai cercato di riparare, per lo meno di esserti sinceramente scusato per la bugia, chiedendo magari alla parte offesa cosa avresti potuto ragionevolmente fare per riparare il danno fatto. (Se non lo hai fatto, non è mai troppo tardi per farlo.) Ma sta all’altra persona accettare la tua offerta o le tue scuse, non a te. Ora, fare la cosa giusta è tutto quello che dovrebbe interessarti, perché questo è tutto ciò su cui hai potere. Detto in altro modo: tentare una riconciliazione e fare del tuo meglio per ottenerla, sta a te; ma ottenerla, in realtà, non sta a te.

In termini di apprendimento dai propri errori, anche se non sei entrato nei dettagli, sembra che tu abbia continuato a pensare a cosa è successo, per cui, presumibilmente, hai imparato la lezione.

Di nuovo, Seneca ci dice che dovremmo passare parecchio tempo a riflettere su ciò che facciamo e ad imparare ad essere più saggi:

“Come può imparare quanto serve per combattere i vizi chi si applica nei ritagli di tempo che i vizi gli lasciano? … cogliamo solo quanto è in superficie e i pochi minuti spesi per la filosofia bastano e avanzano per gente tanto affaccendata.” [Lettere a Lucilio VI, 69, 10 [1]

Dici di non riuscire a trovare un modo per giustificare le tue azioni di adolescente. Puoi aver ragione. Ma tu non sei più quella persona e, soprattutto, non dovresti cercare giustificazioni ma spiegazioni (in linea con la tua determinazione a ragionare e non a giustificare). Accetta che ciò che hai fatto allora era sbagliato, ma ricorda anche che la moderna scienza cognitiva dice molto chiaramente che il cervello degli adolescenti cresce velocemente, è immaturo e – cosa più importante – manca della cosiddetta funzione esecutiva, ciò a cui Epitteto e Marco Aurelio fanno riferimento come all’hegemonikon, la nostra facoltà dirigente:

“Le cose stanno fuori della porta, isolate in se stesse, e di se stesse non sanno e non esprimono nulla. Cos’è, quindi, che si esprime su di esse? Il principio dirigente.” (Marco Aurelio – Meditazioni IX, 15)[2]

“Una volontà che mai manca di ottenere ciò che vuole, una facoltà di avversione che sempre evita ciò che non le piace, un impulso appropriato, un fine preciso e un assenso disciplinato. È questo l’esemplare umano che dovrai prepararti a vedere.” (Epitteto – Discorsi II, 8, 29)

Se la tua funzione dirigente è immatura, allora sia in senso legale che di etica stoica sei meno responsabile per i tuoi giudizi, compresi quelli cattivi, come quello che ha dato origine a questo contesto. Segnalo un articolo sul cervello degli adolescenti [3] e un’intervista con una neurologa [4] che ha scritto un libro su questo tema, sperando che possano in qualche modo esserti d’aiuto.

Dico questo non perché te ne serva da facile scusante per te stesso (“è il mio cervello a farlo”), ma perché gli stoici comprendono che bisogna tener conto di come funziona il mondo, come anche delle reali capacità di ragionamento delle persone, al fine di giungere a dei giudizi etici sensati.

Ciò che ora ti resta da fare è interiorizzare tutto quanto sopra, riflettendoci il tempo necessario. Perdonati, fai ammenda e scusati se ancora non lo hai fatto, impara dall’esperienza così da diventare una persona migliore e poi vai avanti nella tua vita.—-

Traduzione: Paola (autorizzata dall’autore)

Testo originale: What about guilt?

————————————-

Note

[1] Lettere a Lucilio – a cura di Patrizio Sanasi, Edizioni Acrobat (ndt)

[2] A se stesso (Pensieri) – a cura di Patrizio Sanasi, Edizioni Acrobat (ndt)

[3] The teen brain, by Debra Bradley Ruder

[4] The teenage brain: what parents need to know, by Frances E. Jensen

Intelligenza artificiale e automazione secondo il pensiero stoico, M. Pigliucci

18 giovedì Mag 2017

Posted by Paola in Filosofia, Massimo Pigliucci, Stoicismo

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Intelligenza artificiale e automazione secondo il pensiero stoico, Massimo Pugliucci [dalla rubrica “Consigli stoici” del blog “How to be a stoic“]

D. chiede: “Come dovrebbe valutare uno stoico le predizioni per il futuro sull’Intelligenza Artificiale (I.A.) e l’automazione rispetto ai posti di lavoro e l’essere umano?”

Massimo Pigliucci – Caspita!, questo è vero stoicismo per il 21° secolo… e oltre! Dubito che Seneca abbia pensato di riflettere su un tale dilemma etico (anche se, probabilmente, avrà attentamente considerato l’istituzione della schiavitù, che dava per scontata come uno dei fondamenti del potere di Roma).

Vorrei cominciare dicendo, sia come biologo che filosofo, che non sono veramente preoccupato per l’improvviso sviluppo di un’intelligenza artificiale superumana, il così detto evento della Singolarità [1], vedi qui [2] e qui [3] il perché.

Detto questo, la comune I. A., così come l’automazione a molti livelli, è sia una realtà che una preoccupazione sociale, come sottintende la tua domanda. Naturalmente, si potrebbe discutere che non c’è niente di nuovo. All’inizio del 19° secolo, agli albori della Rivoluzione Industriale, il famoso movimento luddista sorse per opporsi, inutilmente, all’introduzione del telaio meccanico. E quando vivevo in Italia negli anni ’70, gli operai della FIAT protestavano contro i primi esperimenti di robotizzazione nei loro posti di lavoro, temendo – correttamente – di perdere l’impiego o dover fronteggiare una paga più bassa nel futuro. Tutto questo sovrasta anche gli ulteriori problemi lavorativi prodotti dagli ultimi trend della globalizzazione e delle società multinazionali.

Io credo che lo stoico, su questo tema, ponga l’essere umano al primo posto, l’efficienza produttiva a un ben distanziato secondo posto, e i profitti aziendali a un ancor più distante terzo posto. Questo per numerose ragioni.

Per iniziare, come Marco Aurelio ricorda, il nostro compito deve essere di cercare di essere un umano il più degno possibile, interessato al benessere degli altri e della società in generale:

“La mattina, allorché sei restio a svegliarti, pensa subito: “Io mi sveglio per attendere al mio dovere d’uomo” (Ricordi, V.1) [4]

“Lavora non come se il lavoro ti renda infelice, né cercando compatimento o ammirazione. Abbi una volontà sola: quella di agire o non agire, secondo lo richiede il benessere della società.” (Ricordi, IX.12) [4]

Questo, naturalmente, è in accordo con l’ingiunzione generale di vivere “secondo natura”, prendendo seriamente – per esempio – la nostra natura di esseri sociali capaci di ragionamento. (Vedi qui [5] il mio pensiero sull’importante passo del De Finibus di Cicerone, libro III, sezione 20).

Questo concorda anche con il famoso concetto stoico dell’oikeiosis, l’idea che si debbano “far nostre” le preoccupazioni degli altri, rappresentate con la famosissima immagine dei cerchi concentrici di Ierocle, il cui centro è noi stessi ma circondati dai cerchi della famiglia, degli amici, dei concittadini e, infine, dell’umanità in generale. (Vedi l’ultima parte del mio saggio su Ierocle [6])

Infine, la tua preoccupazione è il linea anche con la disciplina dell’azione di Epitteto [7], correlata alla virtù della giustizia e al topos [8] dell’etica, presumibilmente la più fondamentale delle tre sfere dello studio stoico (le altre sono la fisica e la logica).

Quindi mi sembra che sei su un suolo stoico ben solido quando ti preoccupi degli effetti dell’intelligenza artificiale e dell’automazione rispetto al benessere degli esseri umani nostri compagni. La domanda è, naturalmente, cosa fare in merito.

La storia, in particolare il già citato movimento luddista, ci dice che è una perdita di tempo opporsi al progresso tecnologico. Infatti, fare così sarebbe una misera applicazione della virtù della prudenza (phronesis), o saggezza pratica. Questa si collega alla disciplina dell’assenso, e ti guida a orientarti nelle situazioni complesse nel modo più etico. Suggerisco che un palese rifiuto della tecnologia non sarebbe la cosa “prudente” (nel senso stoico del termine) da fare.

E allora? Penso che uno stoico qui combatterebbe per la giustizia, non nel senso di un approccio da “Social Justice Warrior” (che, a mio parere, sarà ben intenzionato ma olezza un po’ troppo di moralismo e, talvolta, anche di narcisismo), né adottando una teoria di giustizia in generale tipo quella, per esempio, di John Rawls [9] (perché le teorie di giustizia in generale tengono poco conto della complessità delle società e dei contesti umani reali). Piuttosto, significa essere sempre coscienti di trattare gli altri esseri umani in modo giusto, con correttezza, anche a discapito del proprio comodo o delle proprie finanze.

Vorrei darvi un esempio che ha più a che fare con il “consumo collaborativo” (shared economy) che l’automazione in sé, anche se il principio è il medesimo. Io vivo nella città di New York, dove al momento dispongo – sono fortunato – di sei opzioni per muovermi: posso guidare (ma non sono pazzo, per cui non ho un’auto); posso camminare (cosa che faccio spesso); posso andare in bicicletta (mia o quelle municipali disponibili per i cittadini, cosa che mi capita di fare quando il tempo lo permette); posso servirmi dei mezzi pubblici di superficie o sotterranei (cosa che faccio piuttosto spesso); posso prendere un taxi; o posso utilizzare un servizio di auto private come Lyft e Uber.

Nei rari casi in cui debba per forza o che, onestamente, mi convenga di più prendere un taxi o un servizio con autista, scelgo sempre le compagnie che trattano meglio i loro dipendenti rispetto a quelle dei servizi privati. Quando devo (raramente) usare un servizio privato, opto sempre per Lyft rispetto a Uber per via della famigerata cultura aziendale di quest’ultima compagnia, che include molestie sessuali sistematiche delle sue dipendenti [10], il trattamento per nulla etico sia dei conducenti che dei clienti (quest’ultimi soggetti alla deplorevole pratica di improvvisi aumenti delle tariffe quando l’aumento sarebbe più che discutibile (come successo in Australia durante un attacco terroristico [11] quando le persone cercavano di sfuggire al pericolo).

Sono perfettamente consapevole che: 1) la situazione è complessa, perché – ad esempio – scartando Uber indirettamente colpisco i suoi conducenti, e 2) le mie scelte individuali sono una goccia nell’oceano.

Ciò nonostante, la mia analisi phronesica mi porta alle scelte di cui sopra (che possono sempre essere riviste alla luce di nuovi fatti o riconsiderazioni). Qualcosa di simile può essere fatto trattando dell’automazione. Per esempio, quando Amazon introdurrà la consegna per mezzo di droni, sceglierò se optare per un altro fornitore o pagare una tariffa supplementare per avere il “privilegio” di ricevere i miei ordini da un essere umano reale.

Infine, considererò importante parlare ai miei rappresentanti al Congresso e votare le persone che difendono leggi sul lavoro mirate a minimizzare l’impatto della tecnologia moderna (e l’avidità delle aziende) sui lavoratori. Lo so, non è facile o comodo essere uno stoico. Ma una tale promessa non c’è mai stata:

– “Non vi è altra ricompensa?” – “Quale altra più grande ricompensa cerchi per un uomo dabbene se non il fare ciò che è nobile e giusto? A Olimpia non desideri altro; sei contento di essere stato incoronato a Olimpia. Ti sembra così piccola cosa e di poco valore essere nobile, buono e felice?” [Epitteto, Discorsi III, 24] —-

Traduzione: Paola (autorizzata dall’autore)

Testo originale: Should I worry about A.I. and automation?

————————————-

Note

[1] Singolarità Tecnologica (Wikipedia) (ndt)

[2] Ray Kurzweil and the Singularity: visionary genius or pseudoscientific crank?

[3] David Chalmers and the Singularity that will probably not come

[4] Marco Aurelio, Ricordi, Edizioni Einaudi (ndt)

[5] Cicero’s De Finibus and the nature of stoic philosophy, 1

[6] Hierocles, a conservative stoic

[7] The three topoi and the three disciplines

[8] Topoi – le “aree” d’indagine dello stoicismo: logica, fisica ed etica (ndt)

[9] Filosofo statunitense e figura di spicco della filosofia morale e politica, autore de Una teoria della giustizia [Edizioni Feltrinelli] (Wikipedia) (ndt)

[10] Uber criticized by Venture Backers over sexual harassment allegations (Bloomberg)

[11] Uber’s prices surge in Sydney during the hostage crisis, and everyone is furious (New Republic Magazine)

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