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Archivi della categoria: Linguaggio

Le 10 strategie della manipolazione mediatica, VisionesAlternativas

24 domenica Feb 2019

Posted by Paola in Linguaggio, Società

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LE 10 STRATEGIE DELLA MANIPOLAZIONE MEDIATICA – da VisionesAlternativas.com [2010]

Alla maniera di Noam Chomsky vengono descritte le “10 Strategie della Manipolazione” sociale attraverso i mass media

1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.

La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapacedi comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…

9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.—

Fonte: http://www.visionesalternativas.com.mx
Link: http://www.visionesalternativas.com.mx/index.php?option=com_content&task=view&id=4846 0&Itemid=1
Settembre 2010

Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di ANONIMO

Il numero: l’archetipo dell’ordine, M. Teodorani

05 martedì Feb 2019

Posted by Paola in I Ching, Inserimenti, Linguaggio, Neoscienze, Realtà Parallele, Stati altri di coscienza

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Il numero: l’archetipo dell’ordine, Massimo Teodorani [estratto da: Sincronicità, Macro Edizioni]

Il numero stesso è un archetipo. Del resto se ne era accorto bene lo stesso Jung proprio quando studiava l’I Ching e le sue caratteristiche sincroniche. I numeri hanno un significato profondo, ed è questa la ragione per la quale essi apparivano così frequentemente nelle pratiche divinatorie dell’I Ching. Essendo il numero un archetipo, esso è connesso direttamente alla sincronicità. Dal momento che lo scopo del numero è quello di portare ordine, Jung lo denominò “archetipo dell’ordine”. Il numero inoltre appare in quei simboli del “sé” – ovvero di quella parte di noi che ci ricollega all’inconscio collettivo – che sono i mandala, i quali hanno spesso la struttura quaternaria, oppure fatta da multipli di 4.

Come si vedrà in seguito, proprio la struttura quaternaria del mandala giocherà un ruolo predominante nel porre le basi della psicofisica sognata da Pauli e da Jung. Il numero sembra essere usato dall’inconscio proprio per creare ordine. Non è dunque un artefatto dell’uomo, bensì la manifestazione di una realtà superiore che noi possiamo usare come strumento sia per metterci in collegamento sincronico con la dimensione superiore che per costruire le leggi della scienza che hanno alla loro base una formulazione matematica.

I numeri servono come mediatori tra la realtà esterna e quella mentale. Pauli era completamente d’accordo con Jung al punto tale che riteneva che il concetto di archetipo dovesse essere compreso in maniera tale da includere le idee delle serie continue dei numeri interi in aritmetica e il concetto di continuo in geometria. Questo potrebbe aiutare a capire per quale ragione le teorie matematiche, proprio come quelle su cui lavorava Pauli, che sono nate solo ed esclusivamente da intuizioni provenienti dal profondo della psiche, possano poi essere messe in pratica per spiegare la realtà fisica.

L’inconscio stesso è infatti in grado di produrre spontaneamente strutture matematiche consistenti di numeri naturali e in certi casi anche di “matrici” (proprio come quelle che usò Pauli per descrivere quantitativamente certi importanti concetti della meccanica quantistica), al fine di esplicitare palesemente e alla luce della coscienza delle forme di ordine. I numeri, dunque, sembrano rappresentare sia un attributo della materia che il fondamento inconscio dei nostri processi mentali. Per questa ragione, sia per Jung che per Pauli, le forme rappresentate dai numeri sono quel particolare elemento che unisce i regni della materia e della psiche. (…)

Il numero è sia un veicolo di conoscenza che un legante tra due mondi tra loro complementari e costituenti quella totalità che si esplica nel mondo quantico.

Noi sappiamo che quel linguaggio simbolico che è la matematica rappresenta le fondamenta della fisica moderna. Ma allora ci si potrebbe chiedere: quali sono le fondamenta della matematica e per quale ragione funzionano così bene? Se non siamo in grado di rispondere a questa domanda, allora la scienza che riusciamo a padroneggiare così bene è basata su cose che ancora non capiamo. In sostanza lo scopo di Pauli era di rispondere anche a questa domanda, e la risposta la si trova solo concependo una nuova fisica che unisca la materia alla mente.

L’ipotesi archetipica del numero fu particolarmente sviluppata da  un’altra importante analista della scuola di Jung che ebbe in cura Pauli, la dottoressa Marie-Louise von Franz. Questa studiosa, sicuramente la massima divulgatrice del pensiero di Jung, arrivò a fissare con chiarezza i concetti di archetipo studiati come una sonata di piano a quattro mani da Pauli e da Jung. Von Franz arrivò a capire che tutti i fenomeni mentali e fisici sono aspetti complementari della stessa realtà unitaria trascendentale.

Alla base di essi esistono certe fondamentali forme dinamiche chiamate “archetipi”. Ogni specifico processo, sia esso fisico o mentale, è una particolare rappresentazione di alcuni di questi archetipi. In modo particolare, gli archetipi del numero forniscono la base per tutte le possibili espressioni simboliche. È dunque possibile, in linea di principio, che un “linguaggio neutro”, costruito sulla base di queste rappresentazioni simboliche astratte che sono gli archetipi del numero, possa fornire una descrizione altamente unificata di tutti i fenomeni mentali, psichici, parapsichici e fisici. (…)

Estratto da: Sincronicità, il legame tra Fisica e Psiche da Pauli e Jung a Chopra – Macro Edizioni

Massimo Teodorani è un astrofisico e divulgatore scientifico. Dopo la laurea in Astronomia ha conseguito il dottorato di ricerca in fisica stellare. Ha lavorato presso gli osservatori di Bologna e al radiotelescopio del CNR di Medicina (BO). Svolge tuttora ricerche teoriche nel campo del progetto SETI e prosegue la sua ricerca sulla fisica dei fenomeni luminosi anomali. Per Macro Edizioni ha pubblicato numerosi libri tra cui: Tesla, lampo di genio; Bohm, la Fisica dell’Infinito; Marco Todeschini, spaziodinamica e psicobiosifica; Entanglement; e Teletrasporto.

The numerology of the I Ching, Master Taoist Alfred Huang (estratto) (Libro)

29 mercoledì Ago 2018

Posted by Paola in I Ching, Libri, Linguaggio, Master Huang, Stati altri di coscienza, Taoismo

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alfred-huangThe Numerology of the I Ching, Master Taoist  Alfred Huang – Inner Traditions Publishing (estratto) (Libro)

Se mi fossero dati altri anni di vita, ne dedicherei cinquanta a studiare il Libro dell’I, e allora soltanto potrei forse non commettere grandi errori.

– Confucio all’età di 70 anni

Estratto dalla prefazione

Il mio contributo in questo libro è trattare i misteri della sequenza di Re Wen, il significato nascosto delle yao [linee, ndt], il governatore del gua (la linea che rappresenta il tema centrale del gua [esagramma, ndt]) e i giudizi di fortuna o sventura. Ho prestato particolare attenzione a trattare i trentasei gua più familiari ai cinesi e al significato celato nel gua mutuo [1].

Il metodo di divinazione introdotto in questo libro è completamente diverso da quello presentato in The Complete I Ching. Per i cinesi consultare l’I Ching è tanto una scienza quanto un’arte. In quanto arte, prevede di esercitare la propria intuizione nel meditare i simboli e compredere il testo. Come scienza, richiede che si possegga la conoscenza delle linee e dei gua, i loro nomi, simboli e strutture, e anche le loro posizioni, le relazioni e significati. Si dovrebbe anche conoscere i principi celati nei mutamenti e nella numerologia delle linee e dei gua. In questo modo, una persona può affermare di comprendere veramente l’I Ching ed essere in grado di apprezzarne la profondità e mistero.

Nel corso della storia cinese, sono apparse oltre un centinaio di scuole differenti sul come studiare l’I Ching e applicare la sua saggezza nella vita quotidiana. Ogni scuola ha scritto dei commentari e ha portato i suoi contributi. C’è un numero immenso di commentari sull’I Ching, e i cinesi definiscono la cosa “vasta come il mare”. Nonostante un tale numero di approcci, tutti questi possono essere catalogati in due scuole principali: la Scuola della Morale e della Ragione (The Moral and Reason School), e la Scuola del Simbolo e del Numero (The Symbol and Number School). La Scuola della Morale e della Ragione pone l’enfasi sul significato del testo e il suo messaggio morale. La Scuola del Simbolo e del Numero pone l’attenzione sulle forme delle linee e le loro reciproche relazioni, così come sulla numerologia e i fenomeni naturali rappresentati dai simboli e dai numeri. La Scuola della Morale e della Ragione è nota come la scuola Confuciana dello studio dell’I Ching, mentre la Scuola del Simbolo e del Numero è conosciuta come la scuola Taoista. La Scuola della Morale e della Ragione insegna l’arte del comprendere l’I Ching, mentre la Scuola del Simbolo e del Numero ne insegna la scienza. Il libro The Complete I Ching segue la scuola Confuciana, mentre questo libro segue la scuola Taoista. Attraverso questi due libri uno può conoscere tanto l’aspetto yin dell’I Ching quanto il suo aspetto yang: sono come fratello e sorella. In realtà, secondo il mio piano iniziale, questi erano due volumi di un unico libro.

– Estratto da: The numerology of the I Ching, A sourcebook of symbols, structures and traditional wisdom – Master Taoist Alfred Huang, Inner Traditions Publishing

Traduzione: Paola

Nota – [1] In altre traduzioni: intrinseco o reciproco.


Link: Master A. Huang, Articoli correlati

La musica primitiva, M. Schneider (Libro)

06 mercoledì Giu 2018

Posted by Paola in Libri, Linguaggio, Società, Storia

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La musica primitiva, Marius Schneider – Edizioni Adelphi (titolo originale: Le role de la musique dans la mythologie et le rites des civilisations non europèenes) [trad.: S. Tolnay]

Estratti

Un gran numero di informazioni sulla natura della musica e sul suo ruolo nel mondo ci viene dai miti della creazione. Tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione, un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell’azione. Nell’istante in cui un dio manifesta la volontà di dare vita a se stesso o a un altro dio, di far apparire il cielo e la terra oppure l’uomo, egli emette un suono. Espira, sospira, parla, canta, grida, urla, tossisce, espettora, singhiozza, vomita, tuona, oppure suona uno strumento musicale. In altri casi si serve di un oggetto materiale che simboleggia la voce creatrice.

La fonte dalla quale emana il mondo è sempre una fonte acustica. L’abisso primordiale, la bocca spalancata, la caverna che canta, il singing o il supernatural ground degli Eschimesi, la fessura nella roccia delle Upanishad o il Tao degli antichi cinesi, da cui il mondo emana “come un albero”, sono immagini dello spazio vuoto o del non essere, da cui spira il soffio appena percepibile del creatore. Questo suono, nato dal Vuoto, è il frutto di un pensiero che fa vibrare il Nulla e, propagandosi, crea lo spazio. È un monologo il cui corpo sonoro costituisce la prima manifestazione percepibile dell’Invisibile. L’abisso primordiale è dunque un “fondo di risonanza”, e il suono che ne scaturisce deve essere considerato come la prima forza creatrice, che nella maggior parte delle mitologie è personificata dagli dèi-cantori. Nei miti, la materializzazione di questi dèi, nella forma di un musicista, di una caverna nella roccia o di una testa (umana o animale) che grida è, evidentemente, soltanto una concessione fatta al linguaggio più concreto e immaginoso del mito. (p. 13-14)

(…) Se il creatore è un canto, è evidente che il mondo a cui dà vita è un mondo puramente acustico. La Chandogya Upanishad ci dice che il ritmo gayatri è “tutto ciò che esiste”. I ritmi o i metri enumerati dai riti vedici sono però molti di più. Tali cerimonie ci dimostrano che il suono e il ritmo peculiari a ciascun essere o il nome loro assegnato costituivano, in effetti, l’essenza degli dèi invocati e degli esseri creati da loro. La radice, la potenza e la forma di tutte le cose esistenti sono costituite dalla loro voce o dal nome che portano, perché tutti gli esseri non esistono se non in virtù del solo fatto di essere stati chiamati per nome.

La natura dei primi esseri è puramente acustica. I loro nomi non sono definizioni, ma nomi o suoni propri: non sono dunque solamente supporti vocali della forza vitale degli esseri, ma gli stessi esseri. È una regola senza eccezioni. (p. 17)

(…) Ora, in un mondo la cui essenza è di natura acustica, il sacrificio* che “dispiega” il mondo è necessariamente un fenomeno acustico. (…) Prajapati si sente “svuotato ed esaurito” dopo avere proferito il suo canto creativo, cioé dopo avere “sacrificato il proprio corpo composto di inni”, poiché “tutto ciò che gli dèi fanno, lo fanno con la recitazione cantata. Ora, la recitazione cantata è il sacrificio.” (Satapatha Brahmana). I Brahmana non si stancano di ripeterci che Prajapati, il canto creatore, é il sacrificio. Il più delle volte il dio, questo dio emette direttamente dal proprio corpo, arto per arto, organo per organo, le diverse categorie di creature. La sua testa fu il cielo, il petto l’atmosfera, la cintola l’oceano, i piedi la terra. Compiuta la sua opera, Prajapati perde il fiato e cade a pezzi. Per ricomporlo, è indispensabile l’aiuto delle sue creature. (p. 31-32)

(…) Fino a che gli dèi sono soli, il sacrificio si svolge dentro di loro e fra di loro; dopo la creazione del mondo, comincia a estendersi e ad aver luogo tra gli dèi e la loro creazione. Come gli dèi vivono del suono delle valli sonore, così queste esistono tramite la voce degli dèi che le fa risonare. Il sole dell’antico Egitto si nutre “del ruggito della terra”, la quale si alimenta dei raggi dell’astro diurno.

Questo sacrificio sonoro della protoumanità doveva essere molto simile a quello degli dèi, dato che (secondo la cosmogonia brahmanica) i primi uomini erano esseri incorporei, trasparenti, sonori e luminosi che si libravano sulle acque. Poiché il linguaggio che aveva creato gli dèi era un canto di luce, tutti gli esseri e tutti gli oggetti di quel mondo, nati da quella musica, non costituivano oggetti o esseri concreti e palpabili, ma inni di luce che riflettevano le idee del loro creatore. Essi costituivano le immagini acustiche che erano l’essenza della loro natura e che solamente nel secondo stadio della creazione si sarebbero rivestite di materia. (p. 32-33).

Indice

Gli dèi sono canti [Il suono creatore del mondo – Il suono-luce] – Una voce divina crea il mondo e la protoumanità [Identificazioni diverse della voce, creatrice della materia – Il sacrificio sonoro] – Un canto e un controcanto danno origine all’umanità [La comparsa dell’uomo – L’essenza sonora dell’uomo] – Natura acustica dei legami fra gli dèi e gli uomini [L’eroe civilizzatore porta la musica all’umanità – La musica, cibo degli dèi – Molteplicità delle funzioni dell’eroe civilizzatore – L’eroe civilizzatore nella mitologia cinese] – Per mezzo della musica gli uomini imitano gli dèi [Posizione cosmica del mago cantore – Il canto del mago – Gli strumenti musicali sono dèi nati dal sacrificio] – I filosofi includono la musica nelle loro speculazioni cosmogoniche (India, Cina) [Il canto individuale – Il rango sociale del musicista – Il simbolismo degli strumenti musicali] – Le cerimonie traggono la loro efficacia dalla musica [L’interdipendenza del cielo e della terra – I riti funebri – I canti rituali della nascita e della circoncisione – I riti stagionali – I riti di matrimonio – I riti di guarigione] – Il pensiero magico sopravvive parzialmente nelle idee estetiche.

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Marius Schneider

Marius Schneider (1903-1982) musicologo e insegnante nelle università di Barcellona, Colonia e Amsterdam. Altre opere: Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antica (ed. Rusconi); Il significato della musica (ed. Rusconi) e Pietre che cantano: studi sul ritmo di tre chiostri catalani di stile romanico (ed. Rusconi).

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* Sacrifico = atto sacro (ndt)

La musica e i suoi effetti neuro-psico-fisiologici, A. Tomatis (estratto da conferenza)

07 sabato Apr 2018

Posted by Paola in Evoluzione, Linguaggio, Neoscienze, Percezione

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La musica e i suoi effetti neuro-psico-fisiologici (estratto dalla relazione tenuta al XIII Congresso dell’ISME), Alfred Tomatis

 
Estratti
 
(…) Comunque la si veda, la musica comincia proprio dove si instaura il mistero, lasciandoci solamente intuire che il mondo sonoro è chiamato essenzialmente a tradurre, nella sua risposta esistenziale, il silenzio vibrante e cantante dell’inudibile sottostante, manifestazione incontestabile di una realtà inaccessibile ai nostri sensi. Come il visibile ci rivela l’invisibile che lo sottende e lo modella, la musica risponde al canto di un cosmo moventesi al ritmo di un’armonia, che si concede generosamente ad alcuni eletti incaricati di trasformare in suoni udibili i messaggi sonori che l’universo avrà consegnato loro.
 
Ma poi bisognerà rispettare alcune regole che rispondano alle esigenze di un sistema nervoso prima di tutto codificato dal suo induttore essenziale che si rivela essere, come si è visto, l’apparato uditivo. Tanto che potremo affermare che ogni essere sulla via di umanizzazione è un orecchio, cioè un’antenna all’auscultazione dell’ambiente nel quale è immerso. La musica rimane incontestabilmente il modo più affinato per mettere questo ambiente in risonanza.
 
Senza dubbio è a questo livello che sarà bene definire che cos’è la musica. Se il musicista, il teorico della materia, ci permettesse qualche incursione nel suo campo, sapremmo mormorare il più discretamente possibile per non meritare il timbro di eresia, che c’è prima la musica, poi le musiche, in seguito dei linguaggi sonori e infine delle esperienze acustiche.
 
La musica agisce attraverso i suoi effetti di armonizzazione interiore, cioè attraverso l’utilizzazione di modalità primitive. In questo, d’altronde, essa mi sembra essere “essenziale”. Essa suscita e risveglia, fino a renderle in qualche maniera tangibili, le modulazioni proprie del sistema simpatico.
 
Le musiche, in secondo grado, sono le strutture sonore che sanno aggiungere a queste modalità di base i ritmi della vita esteriore, introdotti questi stessi dalla società e dalla cultura, che vanno dal gesto fino al linguaggio, e che riguardano in realtà tutta la gestualità. Si riconoscono come primi generatori di quelle musiche gli elementi folkloristici.
 
I linguaggi sonori che si inseriscono di seguito fanno rivivere concretamente gli stati emozionali, introducendo nello stesso tempo le sonorità evocative di accenti percepiti ed engrammati nei nuclei affettivi centroencefalici che presiedono alla vita neurovegetativa, ed i ritmi che trascinano il corpo fuori dalle codifiche normalizzate anteriormente. Ne deriva una struttura narrativa, a semiologia sonora, che si esprime sul corpo in tutta la sua dinamica esterna ed interna.
 
Infine, esistono delle esperienze acustiche. È facile cogliere il livello che bisogna raggiungere per comprenderle, al di fuori di ogni concezione di ascolto. Esse hanno il merito di introdurre nel mondo sonoro oggetti acustici nuovi. Questi ultimi dovranno a loro volta, per essere trascritti in memorizzazione corporea, rispondere ai fattori intrinseci del sistema nervoso: senza ciò, quale che sia la bellezza che rappresentano per l’autore, non avranno nessuna possibilità di poter essere integrati in un’universalità neuronale.
 
Questa incursione nel mondo sonoro ci permette di pensare che è necessario distinguere bene le diverse espressioni musicali e di determinarne gli effetti neuro-psico-fisiologici. È a questo livello che la nostra specialità, l’audio-psico-fonologia, interviene in maniera determinante con l’intento di isolare e in tal modo di comprendere meglio gli effetti dei suoni e più espressamente della musica sull’organismo umano.
 
L’azione dinamogenica dell’orecchio è messa in risalto grazie a dei  montaggi elettronici in grado di suscitare la postura d’ascolto, privilegiando i suoni che si collocano in un volume sonoro la cui forma e densità rispondono alle norme delle cellule dell’organo di Corti. La musica (una certa musica) interviene allora in seno ad una programmazione sonica che tiene conto dei processi evolutivi che, dopo la vita intrauterina, devono portare l’orecchio verso l’ascolto, e più precisamente verso l’ascolto del linguaggio. Una base neuronale si rivela indispensabile per collocare le serie di onde di impulso chiamate a veicolare ulteriormente le informazioni  semantiche. Questa programmazione primordiale, fondamentale, vettore essenziale di una integrazione acustica armoniosa distribuita nell’insieme del sistema nervoso e in tal modo in tutto il soma, permetterà di introdurre le posture, in particolare la verticalità, di distribuire in modo omogeneo la tonicità su tutto il corpo messo all’ascolto, di modellarlo, insomma, perché divenga un’antenna recettrice vibrante all’unisono con la sorgente sonora, sia essa musicale o linguistica.
 
Per essere più concreti, propongo di indicare in poche righe come procediamo in materia di pedagogia dell’ascolto. Con l’aiuto dei montaggi elettronici facciamo rivivere il periodo uditivo intrauterino, principalmente a partire dalla voce della madre che è stata registrata e poi filtrata oltre gli 8000 Hz, con l’intento di togliere ogni informazione semantica e di restituire solo la carica affettiva che verrà a suscitare, accelerare o ridare al soggetto il desiderio di comunicare, il desiderio di vivere. È attraverso apparecchiature che utilizzano bascule elettroniche, le quali fanno sì che l’orecchio si adatti all’ascolto, che questi messaggi sono trasmessi.
 
(…)
 
Perché Mozart, perché il gregoriano, perché le filastrocche? Ci sarebbe molto da dire su queste differenti scelte. Resta soprattutto da constatare che, su decine di migliaia di casi (patologici e normali), le reazioni neuro-psico-fisiologiche hanno largamente superato i risultati già raggiunti dalle tecniche utilizzate abitualmente. Per Mozart, come ho già indicato, sono più efficaci i pezzi per violino (contenenti dunque numerose sequenze ricche di suoni acuti). Quanto al gregoriano, le modulazioni del tipo di “Solesmes” stabilite da Don Gajard costituiscono elementi di scelta. In effetti, il repertorio trasmesso da questo infaticabile e geniale ricercatore detiene un’universalità ed un’efficacia pedagogica e terapeutica incontestabile. Al contrario della musica di Mozart, il gregoriano tranquillizza, calma il cuore e la respirazione nello stesso tempo in cui sollecita la verticalità, agendo elettivamente sugli estensori.
 
Per i bambini, contemporaneamente ai due elementi sonori precedentemente ricordati, facciamo mettere delle filastrocche dell’etnia alla quale appartiene il bambino. Questo è molto importante e ci rivela a quale punto queste canzoni per bambini, che hanno attraversato i secoli, costituiscono le basi stesse della lingua che sarà utilizzata più tardi come mezzo di comunicazione. Esse contengono gli elementi strutturanti folklorici del futuro linguaggio. Le filastrocche tedesche o spagnole, ad esempio, non possono essere in nessun caso applicate all’educazione o alla rieducazione dei bambini francesi.
 
I ritmi di base corrispondenti a dei codici neuronali differenti restano specifici di ogni etnia. E persino in seno alla stessa lingua (la francofonia, ad esempio) le filastrocche costituiscono elementi particolari, non potendo essere utilizzate da un paese all’altro. Peraltro, per i bambini che presentano disturbi profondi della personalità (autismo, schizofrenia…) somministriamo prima di tutto filastrocche su dei la-la-la senza valore semantico, al fine di non proiettare il bambino in una dinamica linguistica che finora ha rifiutato. I ritmi che le filastrocche contengono lo vanno a preparare ad accettare progressivamente il linguaggio con i suoi influssi psico-affettivi suscettibili di trasformare il suo universo relazionale.
 
Perciò, dopo questa minuziosa preparazione, il sistema nervoso, ridiventato rete integratrice libera e liberata, sarà capace di ricevere il montaggio linguistico di cui il bambino o l’adulto si potranno servire al fine di una completa comunicazione con il loro ambiente. I processi di integrazione e di apprendimento saranno in tal modo riattivati e permetteranno al soggetto di beneficiare di tutte le sue potenzialità.
 
(…)
 
Ora è tempo di concludere. Che cosa possiamo ricordare di questa lunga esposizione centrata su dati scientifici, che sembrano a volte molto lontani dalla stessa musica nella sua potenza creatrice? Mi si perdoni questo approccio alquanto noioso e fin troppo specialistico, ma mi sia concesso, per terminare, di rivolgermi al musicista affrontando con esso la nozione della sua responsabilità.
 
Capace di risuonare agli accenti di una misteriosa induzione, egli – per la scelta delle composizioni che esegue, per il modo in cui egli fa uso della sua arte, per la finezza con la quale prepara le sue modulazioni – deve poter comunicare intimamente con colui che si trova all’altra estremità della catena e il cui corpo tutto intero rimane all’ascolto di questo vibrante messaggio. Il suo dono di creatività gli è offerto perché egli metta al servizio dell’altro questa manna che gli è stata così generosamente dispensata. Egli deve prendere coscienza del ruolo fondamentale che è chiamato ad interpretare rispetto ad ogni essere umano per condurlo verso la sua realtà linguistica.
 
La musica, in effetti, costituisce il modo migliore di preparare le vie sulle quali si instaurerà il linguaggio. Essa è, nella sua essenza, questa vibrazione originaria che mette in risonanza il sistema nervoso umano, substrato di tutti i meccanismi chiamati ad attivare il corpo e l’anima. Con le sue modulazioni può aiutare a modellare l’essere umano nelle sue componenti fisiche, mentali e spirituali. Con i suoi accenti può liberare dalle sue pastoie colui che si trova rinchiuso nelle reti che avrà tessuto l’esistenza. Essa è il fondamento del canto che salmodia la liberazione dell’essere in preda all’angoscia di vivere. Essa è un dono gratuito, stranamente e meravigliosamente offerto perché l’uomo si elevi fino alla sua autentica condizione umana.
 
La musica detiene così un carattere universale messo al servizio di tutti. E il musicista deve costantemente tenere presente che non compone o esegue musica per lui solo né per piacere essenzialmente ad una cerchia di iniziati, una specie di assemblea privilegiata riunita attorno ad una medesima cultura. Esso è là per dispensare a tutti questo dono musicale che ha così generosamente ricevuto, anche oltre le dimensioni umane. Questo dimostra quanto sia grande la sua responsabilità, quanto i suoi poteri siano estesi. E niente deve permettergli di abusarne e di creare in tutta libertà dei montaggi sonori che trasgrediscano le leggi dell’armonia, quelle che regolano il cammino del mondo e costituiscono la base stessa delle reazioni neurofisiologiche di ogni essere umano. Con la sua azione, con la sua vigilanza, con le sue lotte e i suoi combattimenti egli deve rimanere attento a queste leggi, in cui l’universalità resta il criterio strutturante neurologico per eccellenza.
 
Faccio naturalmente allusione a queste composizioni aberranti che sono delle vere e proprie droghe sonore, destinate ad asservire generazioni di giovani, distruggendo il loro sistema nervoso in modo a volte definitivo. L’appello che lancio ai musicisti del nostro tempo, evocando la potenza e i pericoli dell’emissione creatrice, non deve far dimenticare che bisogna rivolgersi ad uno specialista incaricato di assicurare la qualità di ricezione del messaggio musicale a livello del sistema nervoso destinato a percepirlo. Così come non serve a niente presentare quadri d’autore a dei bambini privati della vista o non desiderosi di vedere e ancora meno di guardare, è altrettanto inutile inondare le orecchie dei bambini con una musica di cui si conosce tutta la bellezza e di cui si apprezza l’insondabile ricchezza, se questi giovani presunti uditori sono sprovvisti di un autentico ascolto.
 
Al momento attuale è in nostro potere, lo ricordo, non solo misurare le potenzialità d’ascolto ma anche di modificarle per aumentarne l’efficacia. Tanto che è possibile, prima di accordare gli strumenti quando ci si accinge a suonarli, accordare i nostri orecchi al fine di beneficiare, oltre al ristabilito desiderio di udire, della facoltà di integrare, di imbeversi di questo messaggio fino ad incarnarlo.
 
Ho molto insistito sulla necessità di conoscere e di misurare gli effetti della musica sull’organismo umano, per poter cogliere meglio la portata che può avere ogni composizione musicale, che la si collochi da un punto di vista educativo e culturale o che la si indirizzi a dei criteri terapeutici. Mi sarà gradito terminare questa conferenza esprimendo un desiderio: quello di vedere, in seno all’ISME, costituirsi gruppi di ricerca destinati a studiare in profondità i problemi inerenti agli orientamenti di ordine psicologico e psicanalitico che assumono alcuni specialisti aperti ad indagini fondamentali in materia di neurologia e neurofisiologia. Queste équipes, lavorando in collaborazione con coloro per i quali la preoccupazione resta e deve restare quella di creare e produrre musica, permetteranno così di raccogliere, in questo enorme serbatoio umano che è il mondo d’oggi, le energie necessarie alla creazione di ampi mezzi educativi e terapeutici, riservati fino ad ora ad alcune élites a malapena consapevoli di ciò che possiedono. (…)
 
——–
Articolo completo: La musica e i suoi effetti psico-neuro-fisiologici
Siti web: www.tomatis-italia.ovh/ e www.tomatis.com
 
Alfred Tomatis (1920-2001) era medico otorinolaringoiatra e ha dedicato la sua vita a studiare gli stretti legami tra voce, cervello e orecchio. Il suo lavoro ha avuto un impatto rivoluzionario per capire come l’individuo comunica con sé stesso e gli altri. Pioniere nel campo delle scienze cognitive, Alfred Tomatis ha lasciato un segno indelebile sia per le sue scoperte sia per la sua straordinaria personalità. Oggi misuriamo l’entità della sua eredità alla luce delle recenti ricerche sulla plasticità del cervello.
 

The Complete I Ching, Master Taoist Alfred Huang (estratti) (Libro)

26 sabato Nov 2016

Posted by Paola in Libri, Linguaggio, Master Huang, Stati altri di coscienza, Taoismo

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alfred-huangThe Complete I Ching, Master Taoist  Alfred Huang (Inner Traditions Publishing) (estratti) (Libro)

Se mi fossero dati altri anni di vita, ne dedicherei cinquanta a studiare il Libro dell’I, e allora soltanto potrei forse non commettere grandi errori.

– Confucio all’età di 70 anni

Prefazione

I. – Emigrai dalla Cina negli Stati Uniti nel 1980. Dopo aver vissuto sedici anni in America, scoprii che le persone del mondo occidentale s’interessavano all’I Ching: il Libro dei Mutamenti. Tuttavia, nel suo paese di origine la storia al riguardo è molto diversa.

Fin da giovanissimo avevo sentito dire che l’I Ching era un Tian Shu, un libro Celeste; nessuno poteva comprenderlo senza le indicazioni di uno studioso competente. Quando il Comunismo prese il potere nel 1949, l’I Ching fu denunciato come un libro di stampo feudale e di superstizione. Venne bandito dal mercato e non ne fu più permessa la lettura. Nei primi anni ’60, prima della cosiddetta Rivoluzione Culturale, il dottor Ting Jihua, uno dei più eminenti fisici di Shangai, il professor Liu Yenwen, un famoso professore di letteratura cinese classica, ed io stesso, frequentavamo gli incontri privati dell’onorevole Maestro Yin, durante i quali egli ci insegnava a usare l’I Ching. Era un’attività completamente clandestina. A quel tempo tutti noi saremmo stati etichettati come militanti della frangia antirivoluzionaria. Se i nostri incontri fossero stati scoperti da qualcuno del Partito Comunista o della polizia, saremmo stati inequivocabilmente imprigionati. Il Maestro Yin aveva più di ottant’anni, e presentendo che presto una calamità si sarebbe abbattuta sulla Cina, desiderò passare i suoi insegnamenti prima di morire. Si offrì spontaneamente di insegnarci la conoscenza esoterica dell’I Ching che aveva ereditato dal suo stesso onorevole maestro. Durante i nostri studi la situazione in Cina andò peggiorando, e i nostri cuori erano sempre più pesanti. Sapevamo che molte famiglie sarebbero state divise e un gran numero di persone perseguitate.

Nonostante sapessimo che l’alba giunge anche se la notte è lunga, l’alba non giunse tanto presto. Nel giro di due anni se ne andarono uno dopo l’altro il Maestro Yin e il dottor Ting, e il professor Liu perse il desiderio di vivere, tentando diverse volte il suicidio. Per quanto lo incoraggiassi a tener duro, nel profondo del cuore sapevo che chi era morto era in realtà benedetto; aveva terminato di soffrire e poteva godere della pace eterna. Quelli che restavano in vita dovevano fronteggiare sofferenze inimmaginabili e lottare per sopravvivere.

Secondo l’I Ching, ogni nazione ha il suo destino e ogni persona ha il suo fato, ma tutti hanno sempre la libertà di fare le proprie scelte. Io ero il più giovane dei quattro studiosi, mentre gli altri erano della generazione di mio padre. Stando con loro, avevo compreso che avevo ancora molto da imparare e da sperimentare. Nel profondo del mio cuore scelsi di vivere; di vivere il più a lungo possibile e di vedere il destino della Cina, non importava quali sofferenze avessi dovuto sopportare. Nel luglio 1957 fui messo ai lavori forzati e nel settembre del 1966 fui imprigionato. Nei nove anni passati in prigione, quasi ogni giorno venivo interrogato sulle mie “attività controrivoluzionarie”. Poiché mi ero laureato presso una scuola missionaria ed ero stato responsabile di una scuola superiore cristiana, i miei carcerieri volevano che confessassi di essere una spia americana. Dato che tutte le volte negavo queste accuse, alla fine, per esasperazione, mi condannarono a morte. Tuttavia ero una figura popolare tra la gente cinese, e non osarono dare immediatamente seguito alla sentenza di morte, nonostante continuassero a dirmi che mi avrebbero ucciso.

Durante quei ventidue anni di isolamento, anche se non riuscivo a ricordare i sessantaquattro gua (esagrammi), compresi pienamente il Tao dell’I, l’essenza dell’I Ching, che afferma che quando gli eventi giungono al loro estremo danno origine al loro opposto. Ogni giorno leggevo le sei pagine del giornale ufficiale quanto più attentamente possibile, senza perdere una sola parola. Man mano che vedevo la situazione del mio paese andare degenerandosi, il mio cuore si alleggeriva sempre più. Sapevo che dopo le tenebre più scure sarebbe giunta l’alba. Quando l’oscurità aumenta, l’alba si fa sempre più vicina.

II. – L’I Ching è un libro antichissimo. Esisteva già duemila anni prima di Confucio (551-479 a.C. circa). All’inizio il linguaggio dell’I Ching era semplice e comprensibile; sfortunatamente, questa antica lingua divenne antiquata già in tempi remoti. A quel tempo il numero dei caratteri cinesi era piccolo, di conseguenza molti caratteri avevano la stessa forma ma significato completamente diverso. D’altro canto, molti caratteri erano diversi per forma ma condividevano il medesimo suono, e il loro uso era intercambiabile. Pertanto, il testo si presta a molte interpretazioni. Per di più, l’antica lingua cinese scritta non aveva segni di punteggiatura. A seconda di come uno inserisce la punteggiatura in una frase o una definizione, compaiono significati diversi. Per questo motivo perfino i Cinesi sono scarsamente capaci di comprendere pienamente e veramente l’I Ching senza le istruzioni date da un insegnante competente. Quando venni negli Stati Uniti rimasi sorpreso che ci fossero così tante traduzioni dell’I Ching in inglese. Non riuscivo a immaginare come quei traduttori avessero trovato degli studiosi dell’I Ching e trascorso le decine d’anni di studio necessarie a imparare veramente l’I Ching.

Per i cinesi, l’I Ching è come una Sacra Bibbia, scritto dai quattro più venerati saggi della storia: Fu Xi, il Re Wen, il Duca di Zhou e Confucio. In cinese la traduzione di “Sacra Bibbia” è “Sheng Ching”. Sheng equivale a “sacro” e Ching significa “classico”. I cinesi sanno che Ching è il TAO, la Verità, il più sacro dei libri antichi, e dato che onorano e rispettano le sacre scritture degli ebrei e delle chiese cristiane, hanno onorato la Bibbia chiamandola “Ching”. Per questo motivo, le traduzioni in cinese della Sacra Bibbia non si scostano mai dal testo originale. Da questo punto di vista, io penso che ogni traduzione dell’I Ching non dovrebbe allontanarsi dal testo originale; diversamente, non è l’I Ching.

Tra tutte le traduzioni, le migliori sono quelle di Richard Wilhelm (pubblicata in inglese nel 1950)[1] e di James Legge (pubblicata nel 1882). Ma tutte le traduzioni, secondo il mio punto di vista di cinese, non sono affatto vere rispetto all’originale cinese dell’I Ching: sono state occidentalizzate. Per renderle in inglese o rendere comprensibile un concetto, vi hanno inserito quel che del testo avevano loro stessi compreso, limitando in tal modo le possibili interpretazioni di un’opera che è nota per essere sempre aperta. La traduzione ideale dovrebbe avere la forma inglese e l’essenza cinese. Quale libro di divinazione, i commenti di Confucio sono imprescindibili. I cinesi definiscono i commenti di Confucio le “Dieci Ali”. Credono che l’I Ching dipenda da queste Dieci Ali per poter volare. In altre parole, senza i commenti di Confucio l’I Ching non può essere compreso. Questo è il tipico punto di vista ortodosso cinese. Di conseguenza, ogni volta che leggo una traduzione che poco si preoccupa della saggezza di Confucio, sento che manca qualcosa. A volte, quando mi servivo delle traduzioni in inglese per divinare, mi sentivo così depresso da non provare alcun desiderio di farlo nuovamente. Quando uso il testo cinese, invece, è completamente diverso, c’è sempre speranza.

L’I Ching è un libro veramente profondo. È la fonte da cui origina molto della cultura cinese. In origine, l’I Ching era una manuale di divinazione; dopo che Confucio e i suoi studenti scrissero i commenti, fu conosciuto come il libro dell’antica saggezza. È un libro che parla al consultante non solo della situazione presente e dei futuri potenziali, ma dà anche istruzioni su cosa fare e cosa non fare per ottenere la buona fortuna e sfuggire la sfortuna. Tuttavia, la persona ha sempre la libera scelta. La sua guida si basa su un’osservazione che include le leggi naturali fatte dai saggi dell’antichità e dalle loro profonde esperienze del principio di causa ed effetto.

Nel 1979, la Corte Suprema Cinese mi dichiarò innocente. Lasciai la prigione che pesavo poco più 36 chilogrammi e riuscivo a male pena a camminare. Decisi di emigrare negli Stati Uniti. Durante i miei sedici anni in America ho conosciuto persone che si dedicavano con tutto il cuore e la mente alla consultazione dell’I Ching, ma non riuscivano a comprenderne la vera essenza o ad abbracciarne l’antica saggezza perché non era disponibile una traduzione autentica.

Restavo in attesa di una traduzione che potesse veramente rivelare l’essenza del libro. Non fui esaudito. Quando mi trasferii a Maui nel luglio 1993, avevo in progetto di scrivere una serie di sette libri sul Chi Kung del Tao. Una mattina dei primi di luglio, mentre stavo meditando, sentii una voce che mi spingeva a fare una nuova traduzione dell’I Ching. All’inizio, l’ignorai. Una tale idea non mi era mai passata per la mente, e avevo molti dubbi. Capivo che per lavorarci sopra era prima necessario tradurre l’antica lingua morta dei pittogrammi e degli ideogrammi originali in cinese moderno, poi tradurli nuovamente in inglese. Se avessi accettato questo impegno, il compito sarebbe stato estremamente arduo. Ciò nonostante, la voce si faceva sempre più forte. Non potevo sfuggirle. Sentii di non avere scelta perché più meditavo più mi sentivo in obbligo di produrre una traduzione dell’I Ching fondata interamente sui concetti cinesi. Iniziai a rendermi conto che la proposta del Maestro Yin di insegnarmi l’I Ching negli ultimi anni della sua vita non era stata accidentale. C’era una ragione. Capii allora che in questo grande momento di cambiamento, in cui la gente desidera ardentemente una trasformazione e la situazione è matura, una nuova traduzione dell’I Ching basata sull’antica saggezza ed esperienza cinese sarebbe stata utile alle persone nel fare le loro scelte in questo mondo dinamico e di cambiamenti.

III. – Dopo aver accettato la sfida, per prima cosa decisi che il libro fosse piccolo, perché è più facile lavorare con un libro piccolo. Confucio disse che l’I Ching è un libro che si dovrebbe tenere sottomano. Un libro piccolo è più facile da portare con sé. È pronto per essere letto e ottenere da quell’antica saggezza una guida nella vita quotidiana. Naturalmente, in questo ho mancato il bersaglio. Il progetto si è sviluppato oltre le mie aspettative. Man mano che passava le varie revisioni, il libro diventava sempre più voluminoso. Alla settima revisione era più grosso di quanto avessi mai immaginato.

L’I Ching originale consiste solo delle sessantaquattro Decisioni del Re Wen e dei trecentoottantasei Commenti alle singole linee (Yao) composti dal Duca di Zhou. Le Decisioni sono brevi sunti del significato di ciascun esagramma (gua), e ne raccolgono il significato simbolico in uno stile succinto. I Commenti alle linee sono analisi che utilizzano parabole e metafore per ciascuna delle sei linee di un dato gua, dove queste sei linee corrispondono ai sei stadi di una particolare situazione. Nel loro insieme consistono di meno di cinquemila caratteri cinesi, la cui traduzione in inglese porterebbe a circa quaranta pagine. Tuttavia questo minuscolo libro svela l’antica cosmologia cinese dell’integrazione in una sola unità di Cielo ed esseri umani. E rivela anche il Tao del Mutamento o, in termini cinesi, il Tao dell’I. Questi due concetti sono all’origine della cultura cinese e hanno permeato il pensiero cinese per migliaia di anni. Per comprendere veramente il linguaggio e lo spirito originale dell’I Ching, si deve comprendere che ha una struttura estremamente intrecciata e che le espressioni verbali sono assolutamente rigorose. La maggior parte delle traduzioni non riconosce questo legame.

Nel mio tentativo di esprimere il più chiaramente possibile le caratteristiche uniche dell’I Ching, il libro si ampliava. Alla fine ho capito che era preferibile un solo e completo volume che spiegasse l’essenza dell’I Ching.

Una volta che i lettori sono giunti a una vera comprensione di simboli, nomi, commenti e interrelazioni dell’I Ching, possono volare con le loro stesse ali, ignorando i commentari e le spiegazioni. —

3. Sulla traduzione

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L’I Ching è un libro che parla per immagini, non con parole. L’antica lingua cinese era composta da pittogrammi, disegni. Non si collegavano nello stesso modo in cui chi parla inglese pensa che facciano le parole. Non esistono i tempi, il genere, il plurale, l’articolo, la preposizione o la punteggiatura, e molto spesso neppure un soggetto o un complemento oggetto. La bellezza di questa antica lingua, e dell’I Ching, è che presenta semplicemente delle immagini e lascia che l’immaginazione di chi legge risuoni con la scena. Tradurre quelle “frasi” in un inglese corretto è impossibile senza limitare seriamente la ricchezza dei possibili significati. Le persone consultano l’I Ching per avere indicazioni. Ogni parola aggiunta o tolta dal traduttore può influenzare l’azione del lettore. Ciò pone sul traduttore la grandissima responsabilità morale sul dare indicazioni non necessarie a chi legge.

L’I Ching è un’opera di poesia, non di prosa. Ha il suo proprio linguaggio oracolare e ne cela il significato sotto metafore, parabole e immagini. C’è, tra linee, anche un richiamo tra le parole e l’ordine delle parole, e talvolta nel suono. Per preservare queste caratteristiche uniche dell’I Ching in questa traduzione, ho seguito due principi cinesi. Il primo è “shu er bu zuo”, che significa “racconta, non scrivere”. In altre parole, quando cerchi di trasferire i pensieri di un altro scrittore, semplicemente raccontali, non scrivere nulla di tuo. Ho passato tre anni a rendere questa traduzione comprensibile, e ne ero molto soddisfatto; ma inconsciamente vi avevo aggiunto la mia interpretazione. La profondità dell’I Ching è tale da illuminare l’intuizione di tutti coloro che lo leggono, e non ha alcun bisogno di essere aiutato a farlo. Nella mia revisione finale ho cercato di eliminare tutto le mie interpretazioni e ho lavorato sodo per ripristinare la pura natura dell’I Ching.

Il secondo principio è “ning xing bu da”, che significa “meglio attenersi alla verità che rendere facile la traduzione”. Questo principio fu per la prima volta espresso dal gigante della letteratura cinese Lu Xing, che tradusse molte opere giapponesi in cinese dopo la costituzione della Repubblica di Cina[2] del dottor Sun Yat-sen. In questa traduzione le linee non sono sempre facili, ma sono sempre vere.

Una volta che i lettori hanno compreso che leggere l’I Ching non significa leggere delle frasi che hanno senso, ma creare una propria comprensione personale dalle immagini archetipali e poetiche, io credo che non si sentiranno più frustrati dalla mancanza di proprietà di linguaggio e, di fatto, arriveranno a valorizzare l’I Ching per quel grandioso e aperto deposito di antica saggezza che è, proprio come i cinesi stessi lo hanno sempre considerato.

– Estratti da: The complete I Ching, the definitive translation of Master Taoist Alfred Huang, Inner Traditions Publishing

Traduzione: Paola

————————-

[1] Traduzione italiana “I King, il Libro dei Mutamenti” – Edizioni Astrolabio, 1950 (ndt)

[2] Vedi “La Repubblica di Cina” in Wikipedia

Limiti e profondità delle parole, Ivo Toshan Quartiroli

06 sabato Ago 2016

Posted by Paola in Inserimenti, Linguaggio

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Ivo Toshan QuartiroliLimiti e profondità delle parole, Ivo Toshan Quartiroli

A mio parere, le parole sono la migliore “tecnologia” per acquisire consapevolezza degli stati interiori e comunicarli. Le parole valgono mille immagini. Possono fungere da ponte verso il nostro mondo interiore. La Rete, per varie ragioni, scoraggia una lettura e un’introspezione prolungate, dirigendo la nostra (sparpagliata) attenzione solo verso stimoli esterni.

Le parole possono accompagnarci per un lungo tratto sulla via dell’espansione della consapevolezza, ma sono “scivolose” e non possono portarci ai livelli più elevati. Inoltre, quando vengono comunicate, sono pesantemente alterate dalle interpretazioni e le credenze culturali che vi sovrapponiamo, oltre che dai nostri condizionamenti e nevrosi.

La maggior parte dell’industria della comunicazione, inclusa la Rete, si basa su questa equivalenza: più comunicazione uguale più comprensione uguale un mondo migliore. Tale equivalenza nasce dalla supposizione che le idee, i concetti, i significati e i sentimenti siano esprimibili e comunicabili attraverso il linguaggio. Questa è stata chiamata la “metafora del canale” da Michael J. Reddy. Secondo la metafora del canale:

“Le idee sono semplicemente cose che possono essere messe in parole, quindi possiamo intendere il linguaggio come un contenitore delle idee: tu invii a un altro delle idee attraverso un condotto, un canale di comunicazione, ed egli estrae dalle parole le idee… Un’implicazione della metafora del canale è che il significato, le idee, possono essere estratti ed esistere indipendentemente dalle persone. Un’altra conseguenza è che nella comunicazione (quando si ha comunicazione) ognuno estrae lo stesso oggetto, la stessa idea che l’oratore ha messo nel linguaggio. Quindi, la metafora del canale ci porta a pensare che il significato sia un oggetto e che gli ascoltatori estraggano dalle parole lo stesso significato, il quale può esistere indipendentemente dagli esseri che comprendono le parole” – (George Lakoff intervistato da Iain A. Boal, “The Conduit Metaphor”, in James Brook e Iain A. Boal (a cura di), Resisting the Virtual Life, San Francisco: City Lights, 1995, p. 115).

La realtà è che, per realizzare la metafora del canale, dovremmo tutti condividere numerosi attributi, come, per esempio: il medesimo linguaggio, la stessa interpretazione delle parole, un livello compatibile di cultura, un contesto simile, lo stesso tipo di sensibilità. Le somiglianze sono talmente ampie che il vero scopo della comunicazione potrebbe essere, alla fine, nel migliorare la comprensione di noi stessi. La metafora del canale è quella che ci porta a scrivere nei blog e nei social network, perché pensiamo che i nostri messaggi siano trasmissibili e “scaricabili” in altri esseri umani come fosse un download, raggiungendoli nel modo in cui vogliamo. Di fatto, non sappiamo davvero come questo messaggio sarà interpretato, quindi restiamo sorpresi quando si verificano fraintendimenti e conflitti.

I protagonisti della rivoluzione digitale credevano nel potere del feedback e delle comunicazioni elettroniche come mezzi per espandere la partecipazione e anche la consapevolezza. Le origini della metafora del canale risiedono nella convinzione che sia possibile separare le informazioni dalla persona che le riceve. Consideriamo le informazioni “pure” come qualcosa di separabile dal “rumore” delle nostre interpretazioni e sentimenti. È, di nuovo, il vecchio sogno cartesiano della separazione dei pensieri puri dalla totalità della persona, per cui la conoscenza e le informazioni vengono scambiate per il miglioramento delle qualità umane.

“Per quanto riguarda il lavoro di tutti i giorni, il linguaggio è utile, ma non puoi raggiungere livelli più profondi con il linguaggio, perché questi sono livelli nonverbali. Il linguaggio è solamente un gioco. Il significato della storia biblica della torre di Babele è che nel momento in cui parli diventi diviso. La storia non riguarda il fatto che le persone hanno iniziato a parlare diverse lingue, ma che hanno iniziato a parlare. Nel momento in cui parli, c’è confusione. Nel momento in cui esprimi qualcosa, sei diviso. Solo il silenzio è uno.” – (Osho, La psicologia dell’esoterico).

Ivo Toshan Quartiroli, 2010 – http://www.indranet.org

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