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Archivi della categoria: Filosofia

L’inutilità dell’erudizione fine a se stessa (Sᴇɴ. 𝐷𝑖𝑎𝑙. X 13) — Studia Humanitatis – παιδεία

02 giovedì Dic 2021

Posted by Paola in Filosofia, Inserimenti, Stoicismo, Storia

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Per Seneca la filologia come studio del linguaggio e come pura e futile ricerca erudita o come esercizio dell’intelletto non ha giustificazione se è divisa dalla filosofia. Perciò, nella sua rassegna degli occupati, coloro che perdono il proprio tempo in faccende di poco conto, egli annovera anche quanti arrancano nella vana fatica di apprendere le […]

L’inutilità dell’erudizione fine a se stessa (Sᴇɴ. 𝐷𝑖𝑎𝑙. X 13) — Studia Humanitatis – παιδεία

Il rumore di un albero che cade, Robert Lanza (estratto)

22 lunedì Nov 2021

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Libri, Percezione, Personaggi

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Chi di noi non ha mai sentito dire o non ha mai provato a rispondere alla famigerata domanda: «Se un albero cade in una foresta, e nessuno è presente, fa rumore comunque?». Se facessimo un sondaggio veloce tra amici e parenti, dalla maggioranza otterremmo una decisa risposta affermativa. Recentemente mi è stato risposto: «Ma certo che un albero che cade fa rumore», con un pizzico di fastidio tra l’altro, come se la domanda fosse troppo banale per meritare un minimo di attenzione.

Ciò che queste risposte affermano è la certezza nell’esistenza di una realtà oggettiva e indipendente. In effetti, che l’universo possa tranquillamente esistere con o senza di noi è la concezione più diffusa, concezione che s’inserisce perfettamente nella visione occidentale, radicata fin dai tempi biblici, secondo cui nell’economia del cosmo l’uomo sarebbe «una cosa piccola» per importanza e rilievo. Solo poche persone (forse quelle che possiedono una preparazione scientifica adeguata) analizzano correttamente dal punto di vista sonoro ciò che succede quando un albero cade in un bosco.

Qual è il processo che genera un suono? Perdonatemi un breve ripasso delle lezioni di scienze delle medie: il suono viene creato da un disturbo in un mezzo, di solito l’aria, anche se il suono riesce a viaggiare ancora più velocemente e più efficacemente in mezzi più densi, come l’acqua o addirittura l’acciaio. Quando rami e tronchi cadono a terra creano veloci spostamenti d’aria. Una persona sorda riesce a cogliere subito alcuni di questi spostamenti; sono particolarmente percepiti sulla pelle quelli che hanno una frequenza tra le cinque e le trenta volte al secondo. Dunque, quello che la caduta di un albero produce davvero sono veloci variazioni della pressione dell’aria, che si propagano nel mezzo circostante a una velocità di circa 330 metri al secondo. Nel loro espandersi perdono coerenza finché non viene a ristabilirsi l’uniformità nella zona d’aria coinvolta. Tutto questo, con l’ausilio di nozioni scientifiche elementari, è ciò che avviene in assenza di qualsiasi meccanismo orecchio-cervello: una semplice alternanza di zone a pressione più alta con altre a pressione più bassa. Minuscoli e rapidi soffi d’aria. Senza alcun suono annesso.

Adesso porgiamo un orecchio alla scena. Se ci fosse qualcuno nelle vicinanze, quei soffi d’aria farebbero vibrare la membrana timpanica (nota come timpano) del suo orecchio, che a sua volta stimolerebbe delle connessioni nervose solo nel caso in cui l’aria stesse vibrando tra le 20 e le 20000 volte al secondo (con un limite superiore che si aggira sulle 10000 volte per le persone con più di quarant’anni, e con uno ancora più basso per quelli di noi che hanno trascorso un’adolescenza dissoluta sotto il palco di assordanti concerti rock). L’aria che soffia 15 volte al secondo non ha nulla di intrinsecamente differente da quella che pulsa 30 volte al secondo, eppure, per come è strutturata la nostra rete neurale, la prima non produrrà mai un suono da noi percepito. A ogni modo, le terminazioni nervose stimolate dal timpano inviano dei segnali elettrici in una zona del cervello, generando la percezione di un rumore. La natura di questa esperienza è indiscutibilmente simbiotica. Le folate d’aria da sole non costituiscono nessun suono, e questo è ovvio perché i soffi che si ripetono 15 volte al secondo rimangono muti indipendentemente dal numero di orecchie presenti. Solamente quando si ripetono in un determinato intervallo di frequenze la struttura della rete neurale uditiva permette alla coscienza umana di fare esperienza di un rumore.

Per dirla brevemente, un osservatore, un orecchio e un cervello sono in ugual misura indispensabili per l’esperienza generale di un suono, tanto quanto lo sono gli spostamenti d’aria. Il mondo esterno e la coscienza sono correlati. Un albero che cade in una foresta disabitata produce solo folate d’aria silenziose, minuscoli soffi di vento. Quando qualcuno risponde scocciato: «Ma certo che un albero che cade fa rumore anche se non c’è nessuno nei paraggi», sta semplicemente dimostrando la propria incapacità di riflettere razionalmente su un fatto a cui nessuno ha assistito. Non ce la fanno a chiamarsi fuori dal gioco, in qualche modo continuano a vedersi presenti sulla scena quando invece non lo sono affatto. (…)

– Estratto da “Biocentrismo”, R. Lanza e B. Berman – Edizioni Il Saggiatore, 2015

La scomparsa dei riti, Byung-Chul Han (Libro)

30 sabato Ott 2021

Posted by Paola in Filosofia, Libri, Percezione, Personaggi, Società, Storia, Tempo

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La scomparsa dei riti, Byung-Chul Han – Edizioni Nottetempo (estratto)

I riti sono azioni simboliche. Tramandano e rappresentano quei valori e quegli ordinamenti che sorreggono una comunità. Creano una comunità senza comunicazione, mentre oggi domina una comunicazione senza comunità. A costituire i riti è la percezione simbolica. Il simbolo (dal greco symbolon) indica originariamente il segno di riconoscimento tra ospiti (tessera hospitalis) L’ospite spezza a metà una tavoletta di argilla e ne dà un pezzo all’altra persona in segno di ospitalità. In tal modo il simbolo serve per il riconoscimento. Questa è una forma particolare di ripetizione:

“Riconoscere non è vedere di nuovo qualcosa. I riconoscimenti non sono una serie di incontri, ma riconoscere significa piuttosto: conoscere qualcosa per ciò che ci è già noto. E costituisce l’autentico processo dell’”accasamento” (Einhausung) umano – una parola di Hegel, che voglio usare in questo caso – il fatto che ogni riconoscimento sia sciolto dalla contingenza della prima presa di conoscenza e sia elevato all’idealità. Noi tutti lo sappiamo assai bene. Nel riconoscimento è implicito il fatto che ora si conosce più propriamente di quanto si potesse fare nella confusione momentanea del primo incontro. Il riconoscere vede il permanente nel fuggevole. [Charles Taylor, Il disagio della modernità]

La percezione simbolica, intesa come riconoscimento, percepisce ciò che dura: il mondo viene liberato dalla propria contingenza e ottiene un che di permanente. Oggi il mondo è assai povero di simboli: i dati e le informazioni non possiedono alcuna forza simbolica, per cui non consentono il riconoscimento. Nel vuoto simbolico si perdono quelle immagini e quelle metafore capaci di dare fondamento al senso e alla comunità stabilizzando la vita. L’esperienza della durata si attenua, mentre la contingenza aumenta radicalmente.

I riti si lasciano definire nei termini di tecniche simboliche dell’accasamento: essi trasformano l’essere-nel-mondo in un essere-a-casa, fanno del mondo un posto affidabile. Essi sono nel tempo ciò che la casa è nello spazio. Rendono il tempo abitabile, anzi lo rendono calpestabile come una casa. Riordinano il tempo, lo aggiustano. (…)

Oggi al tempo manca una struttura stabile. Non è una casa, bensì un flusso incostante: si riduce a una mera sequenza di presente episodico, precipita in avanti. Nulla gli offre un sostegno, e il tempo che precipita in avanti non è abitabile.

I riti stabilizzano la vita. Parafrasando Antoine de Saint-Exupèry, potremmo dire che i riti sono nella vita ciò che le cose sono nello spazio. Per Hannah Arendt è la resistenza delle cose a offrire loro un’”indipendenza dagli uomini”. Le cose hanno “la funzione di stabilizzare la vita umana”. La loro oggettività sta nel fatto che “gli uomini, malgrado la loro natura sempre mutevole, possono ritrovare il loro sé”, cioé la loro identità, “riferendosi alla stessa sedia e allo stesso tavolo”. [Richard Sennett, Il declino dell’uomo pubblico]

Le cose sono il punto fermo, stabilizzante della vita. I riti hanno la medesima funzione: stabilizzano la vita per mezzo della proprio medesimezza (Selbigkeit), della loro ripetizione (Wiederholung). Rendono, dunque, la vita resistente. L’odierna coazione a produrre sottrae alle cose la loro resistenza: essa distrugge consapevolmente la durata allo scopo di produrre di più, di costringere a un maggior consumo. L’indugiare, d’altro canto, presuppone cose che durano; se le cose vengono solo usate e consumate, ecco che indugiare diventa impossibile. E dal momento che la stessa coazione a produrre destabilizza la vita smontando ciò che dura nella vita, essa distrugge anche la resistenza della vita, sebbene quest’ultima si allunghi. (…)

Sono le forme rituali che, come la cortesia, rendono possibile non solo un bel rapporto interpersonale, ma anche un bel rapporto delicato con le cose. Nel quadro rituale, le cose non vengono consumate o spese, bensì usate – così possono anche invecchiare. In preda alla coazione a produrre, ci rapportiamo alle cose e al mondo non come utilizzatori, bensì come consumatori. Di ritorno, le cose e il mondo consumano noi. Il consumo senza scrupoli ci attornia insieme alla sparizione, che destabilizza la vita. Le pratiche rituali fanno sì che ci rapportiamo armoniosamente non solo con le altre persone, ma anche con le cose…

Indice: – Avvertenza  – Coazione a produrre  – Coazione all’autenticità  – Rituali di chiusura  – Festa e religione  – La vita in gioco  – La fine della Storia  – L’impero dei segni  – Dal duello alla guerra coi droni  – Dal mito al dataismo  – Dalla seduzione al porno

– – – – – – – – – – –

– Byung-Chul Han (Seul, 1959), è un filosofo e docente sudcoreano che vive in Germania. I suoi interessi vanno dall’etica alla filosofia sociale, dalla fenomenologia all’antropologia, dall’estetica alle comunicazioni di massa, in particolare nel campo dei cultural studies e in chiave interculturale, prestando attenzione a fenomeni globali e contemporanei. [Wikipedia]

Negli abissi luminosi, A. Tonelli (Libro)

06 mercoledì Ott 2021

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Libri, Percezione, Percorsi spirituali, Personaggi, Realtà Parallele, Spiritualità, Storia

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Negli abissi luminosi. Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia antica, a cura di Angelo Tonelli – Edizioni Feltrinelli (2021)

Estratti dall’Introduzione

Nella nostra epoca – contrassegnata dal trionfo della tecnica e della scienza sempre più saldate in un binomio che esalta la dimensione della razionalità funzionale – è già in atto una scissione dell’interiorità, che è destinata a crescere esponenzialmente con la rivoluzione cibernetica in corso di intensificazione, rivoluzione che costringe e costringerà sempre di più gli umani a potenziare il “pensiero meccanico”, ovvero un lógos riduttivo e segmentato, privato del suo respiro cosmico, a tutto svantaggio di quella che Jung chiamava anima, e di quello che i Greci chiamavano noûs. (…)

In altri termini, in Occidente e nel resto del mondo assoggettato al modello occidentale, si è assistito nel corso della storia e negli sviluppi della cultura, ovvero della mente collettiva, a un progressivo “furto d’organo”: ovvero a una castrazione antropologica dell’umanità, vale a dire all’amputazione del centro più profondo degli individui che li connette all’armonia segreta del cosmo. Ciò è avvenuto attraverso il silenziamento, o la caricatura o la ghettizzazione di tutte le esperienze mistiche, iniziatiche, sapienziali ben radicate nel nostro Occidente greco e magnogreco, a sua volta originariamente connesso con il sostrato sciamanico e sapienziale eurasiatico. In questo consiste l’inattuale attualità delle esperienze sciamaniche, mistiche e sapienziali di cui qui si tenta di offrire una significativa sintesi al lettore che non si accontenti di una politematica escursione nell’antropologia del mondo antico, ma miri a cogliere vertici coscienziali e abissi luminosi e numinosi che i nostri padri e madri spirituali sapevano elicitare ora in lampeggiamenti e folgorazioni estatiche, ora in vertigini mistiche e iniziatiche. E condensarle nelle voci più alte della Sapienza, da Pitagora a Eraclito a Empedocle a Parmenide. E altri ancora. (…)

Per i Greci il noûs, già in Parmenide, Eraclito, Empedocle, e poi in Aristotele, Platone, e ancora più tardi in Plutarco, negli Oracoli caldaici e nel Neoplatonismo, è l’intuizione profonda, l’“occhio dell’anima”, il fulcro dell’interiorità individuale che tutto connette e ricompone nel Grande Uno. È il distillato sapienziale di esperienze – e non percorsi intellettuali – sciamaniche, meditative, contemplative che coinvolgono sangue e sentire, pensiero ed emozione dilatando i confini dell’organismo psicocorporeo ed egoico (il luogo del principium individuationis) fino a traboccare – nella trance dionisiaca, nell’ékstasis apollinea – in un Oltre che è interiorità profonda del singolo che si rovescia in profonda cosmicità del medesimo: coscienza oceanica, luogo in cui il singolo coincide con l’Uno, o meglio in cui l’Assoluto che è nel singolo è ipso facto l’Assoluto che è nell’Uno e di cui l’Uno è nome, perché dell’Assoluto non si può predicare nulla.

A questo stato di coscienza approssimano lo sciamanesimo e le esperienze di trance ed estasi della Grecia antica, ma anche musica e danza e poesia, con diversi gradi di intensità, e diversi approcci. (…)

(Testi originali latino e greco a fronte)

Indice
– Introduzione – Dioniso – Coribanti, musica e manìa – Oracoli e sciamanesimo apollineo – I misteri di Samotracia – Epimenide – Abaris – Ermotimo – Aristea – Zalmoxis – Appendice iconografica

Angelo Tonelli – (1954) poeta, autore e regista teatrale, tra i massimi grecisti viventi, ha studiato Filosofia Antica a Pisa con Giorgio Colli. Ha pubblicato tra l’altro diverse opere di poesia e saggi. Per i “Classici” di Feltrinelli ha tradotto e curato Dell’Origine (1993) di Eraclito, La terra desolata. Quattro quartetti (1995) di T.S. Eliot, il primo volume di Le parole dei Sapienti (2010), dedicato a Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso e il volume Eleusis e Orfismo (2015)

Genesi: il grande racconto delle origini, G. Tonelli – Conferenza (2019, Video)

04 sabato Set 2021

Posted by Paola in Conferenza, Evoluzione, Filosofia, Inserimenti, Neoscienze, Storia, Video

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Genesi: il grande racconto delle origini – Guido Tonelli, Conferenza Rinascimento Culturale (2019) (Video)

Guido Tonelli (1950) è un fisico, accademico e divulgatore scientifico italiano, professore ordinario presso l’Università di Pisa. Ha partecipato ed è stato portavoce dell’esperimento CMS presso il CERN, che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs. (Wikipedia)

Libri di Guido Tonelli

Un universo in costante evoluzione, Trinh Xuan Thuan (estratto)

22 domenica Ago 2021

Posted by Paola in Filosofia, I Ching, Neoscienze, Percezione, Taoismo

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L’idea di una costante interazione tra il Vuoto e il Pieno, cioè tra il non essere e l’essere, implica una trasformazione incessante dei fenomeni naturali. Poiché il vuoto evolve in permanenza verso il Pieno e viceversa, niente può essere eterno e immutabile. Questa idea della trasformazione incessante ha fatto la sua comparsa molto presto e la rinveniamo per esempio nell’I Ching o Libro dei Mutamenti. Considerato uno dei testi più importanti del pensiero universale, l’I Ching risale al primo millennio a.C. Distilla l’essenza di millenni di saggezza cinese ed è composto tra le altre cose da sessantaquattro segni, chiamati «esagrammi» (un esagramma è una serie di sei linee), che si basano sul simbolismo dello Yin e dello Yang, ovvero del Pieno e del Vuoto, e che erano utilizzati in origine per gli oracoli. Negli esagrammi il Pieno, associato allo Yang, è rappresentato dal tratto continuo, mentre il Vuoto, associato allo Yin, consta di una linea spezzata, ossia di due trattini separati da uno spazio. È questo Vuoto il responsabile delle trasformazioni dell’universo. Gli esagrammi rappresentano, in pratica, l’impermanenza del cosmo, il movimento dei fenomeni naturali nelle loro trasformazioni. Come i segni si mutano in continuazione gli uni negli altri, i fenomeni evolvono continuamente da una forma all’altra. L’I Ching, come in seguito i testi taoisti, tenta dunque di descrivere sia i cambiamenti incessanti della natura, sia le non meno mutevoli e oscillanti relazioni umane.

L’idea di un mutamento perpetuo è in armonia con quello che dice la cosmologia moderna: contrariamente a quanto asseriva la concezione aristotelica, l’universo è in costante evoluzione. Aristotele era convinto che il cielo, regno degli dèi, fosse perfetto e che niente potesse cambiare, perché ciò che era perfetto non poteva essere migliorato. Ancora negli anni Cinquanta del Novecento, la teoria cosmologica dell’universo stazionario sosteneva che, in media, l’universo non cambiasse né nel tempo né nello spazio. Solo nel 1965, dopo la scoperta della radiazione fossile, si impose la teoria del Big Bang, che fece tabula rasa dell’idea di staticità e immobilità e conferì all’universo una storia: il cosmo acquisì così un passato, un presente e un futuro. Nato con una spaventosa deflagrazione da una condizione di calore e densità estremi, l’universo si dilata in continuazione e la sua espansione accelerata continuerà a ridurne la densità e a raffreddarlo sempre di più, fino alla fine dei tempi. Non solo l’universo cambia, ma tutte le strutture che contiene evolvono a loro volta. Dai pianeti alle stelle, dalle galassie agli ammassi di galassie, nulla è permanente. Le stelle nascono, vivono la loro vita consumando consumando il loro combustibile di idrogeno ed elio e muoiono espellendo nel mezzo interstellare il gas arricchito di elementi chimici prodotto dalla loro alchimia nucleare. Questo gas collassa sotto l’effetto della gravità per dare origine a una nuova generazione di stelle, e così inizia un nuovo ciclo. I cicli di vita e di morte delle stelle, però, non si misurano in termini di un secolo come la vita umana, ma in termini di milioni e perfino miliardi di anni.

Non soltanto tutto cambia, ma tutto si muove. Pianeti, stelle, galassie e ammassi di galassie sono in perpetuo moto, come partecipassero a un fantastico balletto cosmico. Nell’istante in cui leggete queste righe, la Terra vi trascina nello spazio a 30 chilometri al secondo nel suo viaggio annuo intorno al Sole. Nel contempo, il Sole ci conduce a 230 chilometri al secondo attraverso il mezzo interstellare, perché, ogni 250 milioni di anni, compie una rivoluzione intorno al centro della Via Lattea. La nostra galassia corre a sua volta a 90 chilometri al secondo verso la sua vicina, la galassia di Andromeda, attirata dalla sua gravità. E non è finita: si aggiunge a tutto ciò il moto del Gruppo Locale e del Superammasso Locale, che si sovrappone al moto di espansione dell’universo. Il mondo delle particelle elementari non è da meno. La fisica contemporanea ci insegna che, anche nell’infinitamente piccolo, tutto si muove. Nella stragrande maggioranza, le particelle sono instabili: si disintegrano spontaneamente. Così un neutrone libero, non imprigionato in un nucleo atomico, si trasforma in protone dopo una quindicina di minuti, emettendo emettendo un elettrone e un neutrino. Quasi tutte le particelle che compaiono all’interno degli acceleratori esistono per un lasso di tempo di gran lunga inferiore a un battito di ciglia, un milionesimo di secondo o meno, poi spariscono. Le più stabili, come l’elettrone, il fotone e il neutrino, non vivono isolate, e prima o poi l’interazione con altre particelle cambia la loro natura o le fa sparire. Come il vuoto si trasforma in pieno e viceversa, l’energia di una particella può trasformarsi in materia o, al contrario, la materia può diventare luce e annichilirsi con l’antimateria. A causa del principio di indeterminazione dell’energia, innumerevoli particelle virtuali popolano lo spazio intorno a noi. Apparendo e scomparendo secondo cicli infernali di vita e morte di durata infinitesima, incarnano in massimo grado l’instabilità del mondo, dove tutto è mutazione e trasformazione.

– Estratto da: La pienezza del Vuoto, Trinh Xuan Thuan – Edizioni Ponte alle Grazie, 2017

Vedi anche: La Pienezza del Vuoto (libro)

Shuimòhuà: quando la pittura incontra la filosofia dell’equilibrio, G. Mangialardo (da Il Chiasmo, Treccani)

20 venerdì Ago 2021

Posted by Paola in Filosofia, Linguaggio, Spiritualità, Taoismo

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Shuǐmòhuà, significa “pittura ad inchiostro e ad acqua” ed è uno stile pittorico monocromatico dell’Estremo Oriente che utilizza solo inchiostro nero in varie concentrazioni. Questo tipo di pittura potrebbe richiamare l’acquerello occidentale, ma è in realtà profondamente diverso. La shuǐmòhuà è l’arte che permette di raggiungere l’equilibrio tramite l’annullamento del sé. Per comprenderla bisogna partire dal pensiero sotteso ad essa: il pensiero taoista e zen.

Il taoismo è una filosofia mistica molto antica fondata da Laozi, vissuto nel VI secolo a. C. e autore del Daodejing, cioè libro del Dao e della virtù. Le varie dottrine sono state enunciate da pensatori cinesi vissuti tra il IV ed il III secolo a.C. Il Dao (o Tao) è la via, la norma dell’universo, la spontaneità, l’intelligenza suprema che regola tutte le cose, ed è composto da Yin e Yang, i due opposti che compongono tutte le cose, come per esempio passività e attività, oscurità e luce. È fondamentale la compresenza delle due polarità in ogni cosa, poiché dà origine alle cose e al divenire. Questo concetto è spiegato bene nel secondo capitolo del Daodejing: «tutti nel mondo riconoscono il bello come bello, in questo modo si ammette il brutto. Tutti riconoscono il bene come bene, in questo modo si ammette il male. Infatti, l’essere e il non-essere si generano l’un l’altro».

L’essere si origina dal non-essere. Il Tao è entrambe le cose, e dà origine al divenire. Tuttavia, il Tao non è come un dio, di cui si può parlare, che si può immaginare. Niente di tutto questo: il Tao è inesprimibile e indefinibile, non è possibile contemplarlo attraverso la logica. L’uomo è in pace con se stesso quando raggiunge l’equilibrio e può raggiungere l’equilibrio solo seguendo la Via, cioè il Tao. L’unico modo che si ha per seguire il Tao è liberarsi da ogni costruzione sociale e culturale, dimenticare se stessi, le proprie passioni, i desideri, le emozioni e le pulsioni più profonde, e realizzare il vuoto mentale. Realizzare il vuoto mentale vuol dire osservare senza giudicare, agire senza fini personali, cioè non agire. Il non-agire (wu-wei) è uno dei concetti fondamentali del taoismo, ed è l’atteggiamento che permette di raggiungere la virtù. La virtù autentica è quella del Tao e consiste nella “spontaneità di natura”, normalmente offuscata dall’ambizione umana, dalle leggi dei governi, dalle implicite regole sociali e culturali. Essere in armonia con se stessi vuol dire essere in armonia con la natura propria, come un neonato, o come l’acqua che si adatta ad ogni situazione, ma rimanendole sempre fedele. (segue)

Testo integrale: https://www.treccani.it/magazine/chiasmo/lettere_e_arti/Equilibrio/MAngialardo.html

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