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Archivi della categoria: Filosofia

Il crollo della mente bicamerale e la coscienza, Julian Jaynes (libro)

31 domenica Lug 2022

Posted by Paola in Coscienza, Evoluzione, Filosofia, Libri, Neoscienze, Società, Storia

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Il crollo della mente bicamerale e la coscienza, Julian Jaynes – Edizioni Adelphi

La coscienza della coscienza, Cap. I – Estratto

Quando ci poniamo la domanda:”che cos’è la coscienza?”, diventiamo coscienti della coscienza. E la maggior parte di noi ritiene che proprio questa coscienza della coscienza sia la coscienza. Ma non è così.

Quando siamo coscienti della coscienza, siamo convinti che la coscienza è la cosa più evidente che si possa immaginare. Pensiamo che la coscienza sia l’attributo che definisce tutti i nostri stati di veglia, i nostri stati d’animo e sentimenti, i nostri ricordi, pensieri, attenzioni e volizioni. Ci sentiamo confortevolmente sicuri che la coscienza è la base dei concetti, dell’apprendimento e del ragionamento, del pensiero e del giudizio, e che è tale perchè registra e immagazzina le nostre esperienze man mano che si verificano, consentendoci di esaminarle introspettivamente e di imparare da esse a nostro arbitrio. Siamo anche pienamente coscienti che tutto questo meraviglioso complesso di operazioni e di contenuti che chiamiamo coscienza è situato da qualche parte all’interno della testa.

A un esame critico, tutte queste proposizioni si rivelano erronee. Esso sono il costume con cui la coscienza si è mascherata per secoli. Sono le idee errate che hanno impedito di pervenire a una soluzione del problema dell’origine della coscienza. Dimostrare questi errori e indicare che cosa non è la coscienza è il compito lungo, ma io spero avventuroso, di questo capitolo.—

Indice: Introduzione [Il problema della coscienza] – I. La mente dell’uomo [1. La coscienza della coscienza – 2.  La coscienza – 3. La mente dell’Iliade – 4. Il doppio cervello – 5. L’origine della civiltà] – II. La testimonianza della storia [1. Dèi, tombe e idoli – 2. Teocrazie bicamerali in possesso della scrittura – 3. Le cause della coscienza – 4. Una nuova mente in Mesopotamia – 5. La coscienza intellettuale della Grecia – 6. La coscienza morale dei khabiru] – III. Vestigia della mente bicamerale nel mondo moderno [1. La ricerca dell’autorizzazione – 2. Dei profeti e della possessione – 3. Della poesia e della musica – 4. L’ipnosi – 5. La schizofrenia – 6. Gli auspici della scienza] – Post scriptum (1990)

– – – – – – – – –

Julian Jaynes (1920-1997) – La sua carriera di ricercatore fu dedicata al tema della coscienza intesa come “la differenza tra ciò che gli altri vedono di noi e la nostra auto consapevolezza unita al senso profondo che la sostiene. [Wikipedia] – Julian Jaynes Society

Sensemaking

28 sabato Mag 2022

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Linguaggio, Neoscienze, Percezione, Società

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1. Nell’organizzazione

Il sensemaking o sense-making è il processo attraverso il quale le persone danno significato alle loro esperienze collettive. È stato definito come “lo sviluppo retrospettivo in corso di immagini plausibili che razionalizzano ciò che le persone stanno facendo”. Il concetto è stato introdotto negli studi organizzativi da Karl E. Weick negli anni ’70 e ha influenzato sia la teoria che la pratica. Weick intendeva incoraggiare uno spostamento dal tradizionale focus dei teorici dell’organizzazione sul processo decisionale e verso i processi che costituiscono il significato delle decisioni che vengono emanate nel comportamento.

Non esiste una singola definizione concordata di sensemaking, ma c’è consenso sul fatto che si tratta di un processo che consente alle persone di comprendere questioni o eventi ambigui, equivoci o confusi. I disaccordi sul significato del sensemaking consistono se consideare il sensemaking come un processo mentale all’interno dell’individuo, un processo sociale o un processo che si verifica come parte della discussione; oppure se sia un processo quotidiano in corso oppure si verifica solo in risposta a eventi rari; oppure se sensemaking descrive gli eventi passati oppure considera il futuro.

[da: https://en.wikipedia.org/wiki/Sensemaking]

2. Nella Scienza dell’informazione

Mentre il sensemaking è stato studiato da altre discipline sotto altri nomi per secoli, nella scienza dell’informazione e nell’informatica il termine “sensemaking” ha segnato principalmente due argomenti distinti ma correlati. Il sensemaking è stato introdotto come metodologia da Brenda Dervin negli anni ’80 e nell’interazione uomo-computer dai ricercatori PARC Daniel Russell, Mark Stefik, Peter Pirolli e Stuart Card nel 1993.Nella scienza dell’informazione, il termine è spesso scritto come “sense-making”. In entrambi i casi, il concetto è stato utilizzato per riunire le intuizioni tratte dalla filosofia, dalla sociologia e dalle scienze cognitive (in particolare dalla psicologia sociale). La ricerca sul sensemaking viene quindi spesso presentata come un programma di ricerca interdisciplinare.

Come processo – Il sensemaking può essere descritto come un processo di sviluppo di una rappresentazione sofisticata e di organizzazione delle informazioni per servire un compito, ad esempio, il processo decisionale e la risoluzione dei problemi (Russell et al., 1993). Gary A. Klein e colleghi (Klein et al. 2006b) concettualizzano il sensemaking come un insieme di processi che viene avviato quando un individuo o un’organizzazione riconosce l’inadeguatezza della loro attuale comprensione degli eventi. Il sensemaking è un processo attivo a due vie di inserimento dei dati in un frame (modello mentale) e l’installazione di un frame intorno ai dati. Né i dati né la cornice vengono prima; i dati richiamano i frame e i frame selezionano e collegano i dati. Qualora non vi sia un’adeguata corrispondenza, i dati possono essere riesaminati o un quadro esistente può essere rivisto. Questa descrizione assomiglia al modello di riconoscimento-metacognizione (Cohen et al., 1996), che descrive i processi metacognitivi che vengono utilizzati dagli individui per costruire, verificare e modificare modelli di lavoro (o “storie”) nella consapevolezza situazionale per spiegare una situazione non riconosciuta. Tali nozioni riecheggiano anche i processi di assimilazione e di accomodamento nella teoria dello sviluppo cognitivo di Jean Piaget.

Come metodologia – Brenda Dervin ha studiato il sensemaking individuale, sviluppando teorie sul “gap cognitivo” che gli individui sperimentano quando tentano di dare un senso ai dati osservati. Poiché gran parte di questa ricerca psicologica applicata si basa sul contesto dell’ingegneria dei sistemi e dei fattori umani, mira a rispondere alla necessità che i concetti e le prestazioni siano misurabili e che le teorie siano verificabili. Di conseguenza, il sensemaking e la consapevolezza situazionale sono visti come concetti di lavoro che consentono ai ricercatori di indagare e migliorare l’interazione tra le persone e le tecnologie dell’informazione. Questa prospettiva sottolinea che gli esseri umani svolgono un ruolo significativo nell’adattarsi e rispondere a situazioni inaspettate o sconosciute, così come situazioni riconosciute. Il lavoro della Dervin si è in gran parte concentrato sullo sviluppo di una guida filosofica per il metodo, compresi i metodi di teorizzazione sostanziale e la conduzione della ricerca.

Interazione uomo-computer – Dopo la pubblicazione nel 1993 (Russell et al., 1993) di un documento fondamentale sul sensemaking nel campo dell’interazione uomo-computer (HCI), ci fu molta attività sulla comprensione di come progettare sistemi interattivi per il sensemaking, e workshop sul sensemaking si sono svolti in importanti conferenze HCI.

[da: https://en.wikipedia.org/wiki/Sensemaking_(information_science)]

Traduzione: Paola

Gli Otto Punti della filosofia dell’I Ching, Deng Ming-Dao

08 domenica Mag 2022

Posted by Paola in Deng Ming-Dao, Filosofia, I Ching, Società, Taoismo, Tempo

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GLI OTTO PUNTI DELLA FILOSOFIA DELL’I CHING, Deng Ming-Dao (estratto da “The living I Ching, HarperOne Publishing, 2006)

Se una visione completa dell’I Ching richiede anni di studio, i punti che seguono ne riassumono la filosofia:

1. La natura, la società e gli individui agiscono tutti attraverso il cambiamento ciclico.

2. I cicli del cambiamento sono guidati da opposti polari chiamati Yin e Yang.

3. Un ciclo che raggiunge il suo zenit discende verso il suo nadir. Allo stesso modo, l’unico sentiero dal nadir è ascendere verso lo zenit.

4. Una persona istruita e una società illuminata agiscono in accordo con questi movimenti ciclici, consapevoli dei numerosi cicli che questi attivano ogni giorno: azioni etiche rafforzano la comunità e mantengono cicli benefici; azioni egoistiche aumentano l’isolamento e generano cicli distruttivi.

5. La persona saggia è costantemente impegnata ad auto-educarsi nel diventare sempre più percettiva al cambiamento.

6. Le persone istruite non si rattristano nella sfortuna, ma sfruttano l’occasione per cercare gli errori dentro di sé; coltivando l’umiltà, allontanano dell’ulteriore sfortuna. Nei tempi di grande fortuna sono modeste e attente; sono riconoscenti e rispettose. Consolidando ciò che hanno acquisito, ricercheranno i semi della sfortuna e si prepareranno per il futuro.

7. Una persona che sa discernere i cicli della vita può apprendere ad utilizzarli per i suoi fini. L’I Ching esorta alla spiritualità, all’umiltà, al rispetto e al servizio verso gli altri ai massimi standard.

8. Tutte le fini sono soltanto delle transizioni.

– Estratto da: The living I Ching, Deng Ming-Dao – HarperOne Publishing

Traduzione: Paola

Mundus Imaginalis, o l’Immaginario e l’Immaginale – Henry Corbin

15 martedì Mar 2022

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Percezione, Percorsi spirituali, Personaggi, Spiritualità, Stati altri di coscienza

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Offrendo le due parole latine mundus imaginalis come titolo di questa discussione, intendo provare a definire un ordine di realtà che corrisponda a un certo tipo di percezione, poiché la terminologia latina ha il vantaggio di fornire un punto di riferimento tecnico preciso, con cui confrontare i più o meno idonei equivalenti dei linguaggi moderni occidentali.

Ma farò subito un’ammissione. La scelta di queste due parole mi si impose qualche tempo fa, poiché non mi era possibile, per quello che traducevo o dicevo, essere soddisfatto dal termine ‘immaginario’. Non si tratta in nessun modo di una critica verso chi adopera per necessità questa parola, se cerchiamo insieme di giungere ad una sua positiva rivalutazione. A prescindere dai nostri sforzi, però, non possiamo evitare che il termine ‘immaginario’, nell’uso corrente e non deliberato, sia l’equivalente di non-reale, qualcosa che indica ciò che rimane estraneo all’essere e all’esistente – in breve, utopistico. Perciò ero assolutamente obbligato a trovare un altro termine se non volevo confondere i lettori occidentali.

Se indichiamo solitamente l’immaginario come irreale, utopistico, questo deve essere sintomo di qualche cosa. Di contro a questo sintomo, possiamo esaminare brevemente insieme l’ordine di realtà che io ho designato come ‘mundus imaginalis’ e cosa i teosofi islamici indicano come ‘ottavo clima’; esamineremo poi l’organo che percepisce questa realtà, precisamente, la coscienza immaginativa, l’Immaginazione cognitiva; e infine presenteremo alcuni esempi, tra i tanti altri ovviamente, che tratteggino la topografia di questi intramondi, così come sono stati osservati da coloro che realmente sono stati lì.

Ho appena nominato l’utopia. E’ strano, ma anche un esempio decisivo, che i nostri autori usino un termine persiano che sembra esserne l’esatto calco linguistico: Na-kojd-Abad, la “Terra di Nessundove”. Eppure si tratta di qualcosa di totalmente differente da un’utopia.

Leggiamo quindi i bellissimi racconti persiani – insieme fiabe visionarie e temi di iniziazione – di Sohravardi, il giovane Shaykh che, nel dodicesimo secolo fu il “restauratore della teosofia dell’antica Persia” nell’Iran islamico. All’inizio di ogni storia, il visionario si trova alla presenza di una figura soprannaturale di straordinaria bellezza, a cui il visionario chiede chi sia e da dove venga. Questi racconti narrano essenzialmente l’esperienza dello gnostico, vissuta come la personale vicenda dello Straniero, il prigioniero che aspira a ritornare a casa.

Al principio della storia che Sohravardi intitola “L’Angelo Rosso” il prigioniero, sfuggito alla sorveglianza dei suoi aguzzini, ovvero temporaneamente lasciato il mondo dell’esperienza sensoriale, si trova nel deserto alla presenza di un essere al quale domanda, poiché vede in lui il fascino dell’adolescente: “Oh giovane! da dove vieni?” e riceve la risposta “Cosa dici? Io sono il primo nato tra i figli del Creatore [in termini gnostici il Protoktistos, il Primo-Creato] e tu mi chiami giovane?”. Questa è l’origine del colore rosso dei suoi abiti: l’apparire di un essere di pura Luce il cui splendore è ridotto, dal mondo sensoriale, nel rosso del crepuscolo. “Provengo da oltre il monte di Qaf… Là eri in origine, e lì ritornerai quando infine ti libererai dai tuoi legami”

La montagna di Qaf è la montagna cosmica costituita, di vetta in vetta, di valle in valle, dalle Sfere celesti che sono racchiuse una nell’altra. Qual è, dunque, la strada che porta al di fuori di essa? Quanto è lunga? “Non importa quanto a lungo camminerai” è detto “arriverai di nuovo al punto di partenza” come la mina del compasso che ritorna allo stesso punto. Ciò implica abbandonare se stessi al fine di conquistare se stessi? Non esattamente. Tra i due, c’è un evento che cambia tutto; il sé stessi che si trova là è quello al di là del monte di Qaf, un sé superiore, un sé “in seconda persona”. Sarà necessario, come Khezr (o Khadir il profeta misterioso, l’eterno viandante) bagnarsi alla Sorgente della Vita. “Colui che ha trovato il significato della Vera Realtà è arrivato alla Sorgente. Quando emerge dalla Sorgente, ha conquistato l’Attitudine che lo rende come un balsamo, di cui se verserai una sola goccia nel cavo della mano, tenendola rivolta al sole, ed essa passerà sul dorso della mano. Se sei Khezr, passerai anche senza difficoltà attraverso la montagna di Qaf. (segue)

– Estratto da: http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/misticaislamica/corbin_mundus.htm

– – – – – – – – –

Henry Corbin (Parigi, 14 aprile 1903 – Parigi, 7 ottobre 1978) è stato un orientalista, storico della filosofia, traduttore, filologo, islamista e iranista francese.

Il merito delle ricerche di Corbin è stato di aver riscoperto la tradizione gnostica dell’Islam sciita, un continente filosofico sommerso e sconosciuto agli stessi orientalisti del suo tempo, mostrando così come la filosofia islamica, lungi dal ridursi ai filosofi arabi “ellenizzati” e dal concludersi con il peripatetismo di Averroè, conosca un ulteriore periodo di fioritura a partire dal XII secolo, non nell’Occidente arabo ma nell’Oriente persiano. Corbin ha inoltre contribuito ad una più adeguata comprensione del fenomeno del sufismo, di cui ha saputo far emergere la dimensione autenticamente islamica, rifiutando di ricondurlo alle categorie della spiritualità cristiana, o alla comoda etichetta di sincretismo.

Temi come quello della conoscenza e del racconto visionario, del mondo immaginale e dell’immaginazione creativa, intesi come facoltà teofaniche, del corpo spirituale e della terra celeste, dell’angelologia e del dramma che si svolge nel cielo, sono creazioni intellettuali il cui sviluppo non ha equivalenti nella tradizione filosofica occidentale, sulle quali si fonda ciò che Corbin chiama una filosofia profetica, basata sull’ermeneutica spirituale del Libro, che trova il proprio equivalente cristiano più prossimo in Jakob Böhme. Questa filosofia profetica va considerata come una teosofia capace di riconciliare le facoltà visionarie dell’uomo con quelle razionali. [Wikipedia]

Il giorno più buio, Deng Ming-Dao

21 martedì Dic 2021

Posted by Paola in Deng Ming-Dao, Filosofia, Taoismo, Tempo

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Il giorno più buio, Deng Ming-Dao

Ogni anno ha il suo giorno più buio; ogni giorno buio è seguito dalla luce.

Chi di noi vive i trecento giorni senza passare qualche sventura o problema? Tutti noi sperimentiamo delle difficoltà. I problemi possono spesso rattristarci e farci guardare confusi il buio fuori dalla finestra.

Per tutti noi, allora, il solstizio d’inverno è il promemoria che il buio ha raggiunto il suo estremo: esattamente per un giorno. In questo giorno, su tutti gli altri, vi è una proporzione precisa e dinamica tra luce e buio. È misurabile, è completa. È, per un giorno, immutabile. Il buio del solstizio non può essere evitato, ma gli esseri umani possono sopravvivere e vedere il giorno dopo.

Gli uomini del passato ci hanno lasciato molte indicazioni su cosa fare: ci si riunisce con la famiglia, ci si nutre l’un l’altro, si ringraziano gli antenati e, seduti al tavolo guardando le appiccicose palline di riso nelle loro ciotole, si riafferma che tutta la vita è un ciclo. I Taoisti osservano con attenzione questo giorno, allineandosi con i più grandi cicli cosmici del sorgere e tramontare del sole e della rotazione terrestre. Celebrano anche i Tre Puri onorando e volgendosi con fede a un momento in cui il cielo è buio e i cicli della vita cambiano così profondamente. Il calendario lunare è calibrato sul solstizio d’inverno, quindi questo giorno è il punto di riferimento per l’anno che verrà.

In ogni momento della tua vita puoi trovarti in un inverno e sentire di essere in tempi di profonda oscurità. Ripensa, allora, a questo giorno e fai ciò che si è fatto per migliaia di anni: unisciti alla tua famiglia, nutri te stesso e gli altri, fissa la mente sulla verità dei cicli e trova rifugio nell’onorare il sacro.

Ogni giorno buio è seguito dalla luce; ricordalo, se vuoi un futuro felice.—

Fonte: Deng Ming-Dao, The Lunar Tao (Meditations in harmony with the seasons) HarperOne Publishing, 2013

Traduzione: Paola

L’inutilità dell’erudizione fine a se stessa (Sᴇɴ. 𝐷𝑖𝑎𝑙. X 13) — Studia Humanitatis – παιδεία

02 giovedì Dic 2021

Posted by Paola in Filosofia, Inserimenti, Stoicismo, Storia

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Per Seneca la filologia come studio del linguaggio e come pura e futile ricerca erudita o come esercizio dell’intelletto non ha giustificazione se è divisa dalla filosofia. Perciò, nella sua rassegna degli occupati, coloro che perdono il proprio tempo in faccende di poco conto, egli annovera anche quanti arrancano nella vana fatica di apprendere le […]

L’inutilità dell’erudizione fine a se stessa (Sᴇɴ. 𝐷𝑖𝑎𝑙. X 13) — Studia Humanitatis – παιδεία

Il rumore di un albero che cade, Robert Lanza (estratto)

22 lunedì Nov 2021

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Libri, Percezione, Personaggi

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Chi di noi non ha mai sentito dire o non ha mai provato a rispondere alla famigerata domanda: «Se un albero cade in una foresta, e nessuno è presente, fa rumore comunque?». Se facessimo un sondaggio veloce tra amici e parenti, dalla maggioranza otterremmo una decisa risposta affermativa. Recentemente mi è stato risposto: «Ma certo che un albero che cade fa rumore», con un pizzico di fastidio tra l’altro, come se la domanda fosse troppo banale per meritare un minimo di attenzione.

Ciò che queste risposte affermano è la certezza nell’esistenza di una realtà oggettiva e indipendente. In effetti, che l’universo possa tranquillamente esistere con o senza di noi è la concezione più diffusa, concezione che s’inserisce perfettamente nella visione occidentale, radicata fin dai tempi biblici, secondo cui nell’economia del cosmo l’uomo sarebbe «una cosa piccola» per importanza e rilievo. Solo poche persone (forse quelle che possiedono una preparazione scientifica adeguata) analizzano correttamente dal punto di vista sonoro ciò che succede quando un albero cade in un bosco.

Qual è il processo che genera un suono? Perdonatemi un breve ripasso delle lezioni di scienze delle medie: il suono viene creato da un disturbo in un mezzo, di solito l’aria, anche se il suono riesce a viaggiare ancora più velocemente e più efficacemente in mezzi più densi, come l’acqua o addirittura l’acciaio. Quando rami e tronchi cadono a terra creano veloci spostamenti d’aria. Una persona sorda riesce a cogliere subito alcuni di questi spostamenti; sono particolarmente percepiti sulla pelle quelli che hanno una frequenza tra le cinque e le trenta volte al secondo. Dunque, quello che la caduta di un albero produce davvero sono veloci variazioni della pressione dell’aria, che si propagano nel mezzo circostante a una velocità di circa 330 metri al secondo. Nel loro espandersi perdono coerenza finché non viene a ristabilirsi l’uniformità nella zona d’aria coinvolta. Tutto questo, con l’ausilio di nozioni scientifiche elementari, è ciò che avviene in assenza di qualsiasi meccanismo orecchio-cervello: una semplice alternanza di zone a pressione più alta con altre a pressione più bassa. Minuscoli e rapidi soffi d’aria. Senza alcun suono annesso.

Adesso porgiamo un orecchio alla scena. Se ci fosse qualcuno nelle vicinanze, quei soffi d’aria farebbero vibrare la membrana timpanica (nota come timpano) del suo orecchio, che a sua volta stimolerebbe delle connessioni nervose solo nel caso in cui l’aria stesse vibrando tra le 20 e le 20000 volte al secondo (con un limite superiore che si aggira sulle 10000 volte per le persone con più di quarant’anni, e con uno ancora più basso per quelli di noi che hanno trascorso un’adolescenza dissoluta sotto il palco di assordanti concerti rock). L’aria che soffia 15 volte al secondo non ha nulla di intrinsecamente differente da quella che pulsa 30 volte al secondo, eppure, per come è strutturata la nostra rete neurale, la prima non produrrà mai un suono da noi percepito. A ogni modo, le terminazioni nervose stimolate dal timpano inviano dei segnali elettrici in una zona del cervello, generando la percezione di un rumore. La natura di questa esperienza è indiscutibilmente simbiotica. Le folate d’aria da sole non costituiscono nessun suono, e questo è ovvio perché i soffi che si ripetono 15 volte al secondo rimangono muti indipendentemente dal numero di orecchie presenti. Solamente quando si ripetono in un determinato intervallo di frequenze la struttura della rete neurale uditiva permette alla coscienza umana di fare esperienza di un rumore.

Per dirla brevemente, un osservatore, un orecchio e un cervello sono in ugual misura indispensabili per l’esperienza generale di un suono, tanto quanto lo sono gli spostamenti d’aria. Il mondo esterno e la coscienza sono correlati. Un albero che cade in una foresta disabitata produce solo folate d’aria silenziose, minuscoli soffi di vento. Quando qualcuno risponde scocciato: «Ma certo che un albero che cade fa rumore anche se non c’è nessuno nei paraggi», sta semplicemente dimostrando la propria incapacità di riflettere razionalmente su un fatto a cui nessuno ha assistito. Non ce la fanno a chiamarsi fuori dal gioco, in qualche modo continuano a vedersi presenti sulla scena quando invece non lo sono affatto. (…)

– Estratto da “Biocentrismo”, R. Lanza e B. Berman – Edizioni Il Saggiatore, 2015

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