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Archivi della categoria: Coscienza

Il crollo della mente bicamerale e la coscienza, Julian Jaynes (libro)

31 domenica Lug 2022

Posted by Paola in Coscienza, Evoluzione, Filosofia, Libri, Neoscienze, Società, Storia

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Il crollo della mente bicamerale e la coscienza, Julian Jaynes – Edizioni Adelphi

La coscienza della coscienza, Cap. I – Estratto

Quando ci poniamo la domanda:”che cos’è la coscienza?”, diventiamo coscienti della coscienza. E la maggior parte di noi ritiene che proprio questa coscienza della coscienza sia la coscienza. Ma non è così.

Quando siamo coscienti della coscienza, siamo convinti che la coscienza è la cosa più evidente che si possa immaginare. Pensiamo che la coscienza sia l’attributo che definisce tutti i nostri stati di veglia, i nostri stati d’animo e sentimenti, i nostri ricordi, pensieri, attenzioni e volizioni. Ci sentiamo confortevolmente sicuri che la coscienza è la base dei concetti, dell’apprendimento e del ragionamento, del pensiero e del giudizio, e che è tale perchè registra e immagazzina le nostre esperienze man mano che si verificano, consentendoci di esaminarle introspettivamente e di imparare da esse a nostro arbitrio. Siamo anche pienamente coscienti che tutto questo meraviglioso complesso di operazioni e di contenuti che chiamiamo coscienza è situato da qualche parte all’interno della testa.

A un esame critico, tutte queste proposizioni si rivelano erronee. Esso sono il costume con cui la coscienza si è mascherata per secoli. Sono le idee errate che hanno impedito di pervenire a una soluzione del problema dell’origine della coscienza. Dimostrare questi errori e indicare che cosa non è la coscienza è il compito lungo, ma io spero avventuroso, di questo capitolo.—

Indice: Introduzione [Il problema della coscienza] – I. La mente dell’uomo [1. La coscienza della coscienza – 2.  La coscienza – 3. La mente dell’Iliade – 4. Il doppio cervello – 5. L’origine della civiltà] – II. La testimonianza della storia [1. Dèi, tombe e idoli – 2. Teocrazie bicamerali in possesso della scrittura – 3. Le cause della coscienza – 4. Una nuova mente in Mesopotamia – 5. La coscienza intellettuale della Grecia – 6. La coscienza morale dei khabiru] – III. Vestigia della mente bicamerale nel mondo moderno [1. La ricerca dell’autorizzazione – 2. Dei profeti e della possessione – 3. Della poesia e della musica – 4. L’ipnosi – 5. La schizofrenia – 6. Gli auspici della scienza] – Post scriptum (1990)

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Julian Jaynes (1920-1997) – La sua carriera di ricercatore fu dedicata al tema della coscienza intesa come “la differenza tra ciò che gli altri vedono di noi e la nostra auto consapevolezza unita al senso profondo che la sostiene. [Wikipedia] – Julian Jaynes Society

Pensare non pensando, N. Katherine Hayles – Intervista

02 sabato Lug 2022

Posted by Paola in Coscienza, Intervista, Società

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ATSAC, Automated Traffic Surveillance and Control, è il sistema che governa il traffico di Los Angeles. La sua pelle sono 18 mila rilevatori sparsi per la città, e 400 gli occhi, le telecamere che sorvegliano gli incroci problematici. Proprio adesso da quell’incrocio arriva il segnale di un bus in ritardo e di un’immissione congestionata: gli algoritmi di ATSAC reagiscono, coordinano i semafori per sbloccare il traffico e dare pure la precedenza alla corsia preferenziale del bus. Il sistema sensoriale è però fatto anche dai conducenti stessi, che segnalano le situazioni complicate per strada. Tutte queste informazioni restano in memoria una settimana, così da individuare modelli del traffico e permettere agli algoritmi di aggiornarsi e agli operatori di prendere decisioni informate. Anche loro intervengono: con un comando possono cambiare un’intera rete di semafori.

In questo intreccio le intelligenze umane e tecniche interagiscono. È quello che N. Katherine Hayles chiama assemblaggio cognitivo nel suo ultimo testo, L’impensato, uscito in Italia per effequ e tradotto da Silvia Dal Dosso e Gregorio Magini. N. Katherine Hayles è teorica e critica letteraria, si è occupata di postumanesimo, ha scritto, tra le altre cose, How We Become Poshuman: Virtual Bodies in Cybernetics, Literature and Informatics, si è mossa dentro le relazioni tra letterature, scienze, tecnologie.

In quel groviglio di uomini e macchine, dove si concentra l’intelligenza? E possiamo davvero dire che si “concentra” da qualche parte, o dovremmo accettare il fatto che è sparsa? Benché continuamente immersi dentro assemblaggi cognitivi di questo tipo, abbiamo ancora l’impressione che l’intelligenza sia individuabile sempre e solo nella nostra coscienza. Conserviamo cioè l’idea che l’intelligenza sia la forma appuntita della nostra coscienza. E dunque, quando ci interroghiamo sulle abilità cognitive dei non umani, ci chiediamo, nel caso dei viventi, che forma di coscienza li abiti o, nel caso dei sistemi artificiali, che forma di coscienza potrà abitarli. L’impensato sovverte queste domande. Per esempio: è necessario che sistemi artificiali complessi si dotino di coscienza, che in loro emerga, oppure possono avere doti cognitive sofisticatissime anche restando non consci? Hayes cerca esempi, metafore e risposte nei saggi dei neuroscienziati e nei romanzi di fantascienza. Come Blindsight di Peter Watts, dove un equipaggio umano incontra i criptoidi, alieni dalla tecnologia mostruosa ma senza coscienza. Perché la coscienza, scrive, “spreca energia e potenza di calcolo, è ossessionata da se stessa fino alla psicosi”. (segue)

Testo integrale: https://www.iltascabile.com/scienze/impensato-hayles/

Sensemaking

28 sabato Mag 2022

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Linguaggio, Neoscienze, Percezione, Società

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1. Nell’organizzazione

Il sensemaking o sense-making è il processo attraverso il quale le persone danno significato alle loro esperienze collettive. È stato definito come “lo sviluppo retrospettivo in corso di immagini plausibili che razionalizzano ciò che le persone stanno facendo”. Il concetto è stato introdotto negli studi organizzativi da Karl E. Weick negli anni ’70 e ha influenzato sia la teoria che la pratica. Weick intendeva incoraggiare uno spostamento dal tradizionale focus dei teorici dell’organizzazione sul processo decisionale e verso i processi che costituiscono il significato delle decisioni che vengono emanate nel comportamento.

Non esiste una singola definizione concordata di sensemaking, ma c’è consenso sul fatto che si tratta di un processo che consente alle persone di comprendere questioni o eventi ambigui, equivoci o confusi. I disaccordi sul significato del sensemaking consistono se consideare il sensemaking come un processo mentale all’interno dell’individuo, un processo sociale o un processo che si verifica come parte della discussione; oppure se sia un processo quotidiano in corso oppure si verifica solo in risposta a eventi rari; oppure se sensemaking descrive gli eventi passati oppure considera il futuro.

[da: https://en.wikipedia.org/wiki/Sensemaking]

2. Nella Scienza dell’informazione

Mentre il sensemaking è stato studiato da altre discipline sotto altri nomi per secoli, nella scienza dell’informazione e nell’informatica il termine “sensemaking” ha segnato principalmente due argomenti distinti ma correlati. Il sensemaking è stato introdotto come metodologia da Brenda Dervin negli anni ’80 e nell’interazione uomo-computer dai ricercatori PARC Daniel Russell, Mark Stefik, Peter Pirolli e Stuart Card nel 1993.Nella scienza dell’informazione, il termine è spesso scritto come “sense-making”. In entrambi i casi, il concetto è stato utilizzato per riunire le intuizioni tratte dalla filosofia, dalla sociologia e dalle scienze cognitive (in particolare dalla psicologia sociale). La ricerca sul sensemaking viene quindi spesso presentata come un programma di ricerca interdisciplinare.

Come processo – Il sensemaking può essere descritto come un processo di sviluppo di una rappresentazione sofisticata e di organizzazione delle informazioni per servire un compito, ad esempio, il processo decisionale e la risoluzione dei problemi (Russell et al., 1993). Gary A. Klein e colleghi (Klein et al. 2006b) concettualizzano il sensemaking come un insieme di processi che viene avviato quando un individuo o un’organizzazione riconosce l’inadeguatezza della loro attuale comprensione degli eventi. Il sensemaking è un processo attivo a due vie di inserimento dei dati in un frame (modello mentale) e l’installazione di un frame intorno ai dati. Né i dati né la cornice vengono prima; i dati richiamano i frame e i frame selezionano e collegano i dati. Qualora non vi sia un’adeguata corrispondenza, i dati possono essere riesaminati o un quadro esistente può essere rivisto. Questa descrizione assomiglia al modello di riconoscimento-metacognizione (Cohen et al., 1996), che descrive i processi metacognitivi che vengono utilizzati dagli individui per costruire, verificare e modificare modelli di lavoro (o “storie”) nella consapevolezza situazionale per spiegare una situazione non riconosciuta. Tali nozioni riecheggiano anche i processi di assimilazione e di accomodamento nella teoria dello sviluppo cognitivo di Jean Piaget.

Come metodologia – Brenda Dervin ha studiato il sensemaking individuale, sviluppando teorie sul “gap cognitivo” che gli individui sperimentano quando tentano di dare un senso ai dati osservati. Poiché gran parte di questa ricerca psicologica applicata si basa sul contesto dell’ingegneria dei sistemi e dei fattori umani, mira a rispondere alla necessità che i concetti e le prestazioni siano misurabili e che le teorie siano verificabili. Di conseguenza, il sensemaking e la consapevolezza situazionale sono visti come concetti di lavoro che consentono ai ricercatori di indagare e migliorare l’interazione tra le persone e le tecnologie dell’informazione. Questa prospettiva sottolinea che gli esseri umani svolgono un ruolo significativo nell’adattarsi e rispondere a situazioni inaspettate o sconosciute, così come situazioni riconosciute. Il lavoro della Dervin si è in gran parte concentrato sullo sviluppo di una guida filosofica per il metodo, compresi i metodi di teorizzazione sostanziale e la conduzione della ricerca.

Interazione uomo-computer – Dopo la pubblicazione nel 1993 (Russell et al., 1993) di un documento fondamentale sul sensemaking nel campo dell’interazione uomo-computer (HCI), ci fu molta attività sulla comprensione di come progettare sistemi interattivi per il sensemaking, e workshop sul sensemaking si sono svolti in importanti conferenze HCI.

[da: https://en.wikipedia.org/wiki/Sensemaking_(information_science)]

Traduzione: Paola

Mundus Imaginalis, o l’Immaginario e l’Immaginale – Henry Corbin

15 martedì Mar 2022

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Percezione, Percorsi spirituali, Personaggi, Spiritualità, Stati altri di coscienza

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Offrendo le due parole latine mundus imaginalis come titolo di questa discussione, intendo provare a definire un ordine di realtà che corrisponda a un certo tipo di percezione, poiché la terminologia latina ha il vantaggio di fornire un punto di riferimento tecnico preciso, con cui confrontare i più o meno idonei equivalenti dei linguaggi moderni occidentali.

Ma farò subito un’ammissione. La scelta di queste due parole mi si impose qualche tempo fa, poiché non mi era possibile, per quello che traducevo o dicevo, essere soddisfatto dal termine ‘immaginario’. Non si tratta in nessun modo di una critica verso chi adopera per necessità questa parola, se cerchiamo insieme di giungere ad una sua positiva rivalutazione. A prescindere dai nostri sforzi, però, non possiamo evitare che il termine ‘immaginario’, nell’uso corrente e non deliberato, sia l’equivalente di non-reale, qualcosa che indica ciò che rimane estraneo all’essere e all’esistente – in breve, utopistico. Perciò ero assolutamente obbligato a trovare un altro termine se non volevo confondere i lettori occidentali.

Se indichiamo solitamente l’immaginario come irreale, utopistico, questo deve essere sintomo di qualche cosa. Di contro a questo sintomo, possiamo esaminare brevemente insieme l’ordine di realtà che io ho designato come ‘mundus imaginalis’ e cosa i teosofi islamici indicano come ‘ottavo clima’; esamineremo poi l’organo che percepisce questa realtà, precisamente, la coscienza immaginativa, l’Immaginazione cognitiva; e infine presenteremo alcuni esempi, tra i tanti altri ovviamente, che tratteggino la topografia di questi intramondi, così come sono stati osservati da coloro che realmente sono stati lì.

Ho appena nominato l’utopia. E’ strano, ma anche un esempio decisivo, che i nostri autori usino un termine persiano che sembra esserne l’esatto calco linguistico: Na-kojd-Abad, la “Terra di Nessundove”. Eppure si tratta di qualcosa di totalmente differente da un’utopia.

Leggiamo quindi i bellissimi racconti persiani – insieme fiabe visionarie e temi di iniziazione – di Sohravardi, il giovane Shaykh che, nel dodicesimo secolo fu il “restauratore della teosofia dell’antica Persia” nell’Iran islamico. All’inizio di ogni storia, il visionario si trova alla presenza di una figura soprannaturale di straordinaria bellezza, a cui il visionario chiede chi sia e da dove venga. Questi racconti narrano essenzialmente l’esperienza dello gnostico, vissuta come la personale vicenda dello Straniero, il prigioniero che aspira a ritornare a casa.

Al principio della storia che Sohravardi intitola “L’Angelo Rosso” il prigioniero, sfuggito alla sorveglianza dei suoi aguzzini, ovvero temporaneamente lasciato il mondo dell’esperienza sensoriale, si trova nel deserto alla presenza di un essere al quale domanda, poiché vede in lui il fascino dell’adolescente: “Oh giovane! da dove vieni?” e riceve la risposta “Cosa dici? Io sono il primo nato tra i figli del Creatore [in termini gnostici il Protoktistos, il Primo-Creato] e tu mi chiami giovane?”. Questa è l’origine del colore rosso dei suoi abiti: l’apparire di un essere di pura Luce il cui splendore è ridotto, dal mondo sensoriale, nel rosso del crepuscolo. “Provengo da oltre il monte di Qaf… Là eri in origine, e lì ritornerai quando infine ti libererai dai tuoi legami”

La montagna di Qaf è la montagna cosmica costituita, di vetta in vetta, di valle in valle, dalle Sfere celesti che sono racchiuse una nell’altra. Qual è, dunque, la strada che porta al di fuori di essa? Quanto è lunga? “Non importa quanto a lungo camminerai” è detto “arriverai di nuovo al punto di partenza” come la mina del compasso che ritorna allo stesso punto. Ciò implica abbandonare se stessi al fine di conquistare se stessi? Non esattamente. Tra i due, c’è un evento che cambia tutto; il sé stessi che si trova là è quello al di là del monte di Qaf, un sé superiore, un sé “in seconda persona”. Sarà necessario, come Khezr (o Khadir il profeta misterioso, l’eterno viandante) bagnarsi alla Sorgente della Vita. “Colui che ha trovato il significato della Vera Realtà è arrivato alla Sorgente. Quando emerge dalla Sorgente, ha conquistato l’Attitudine che lo rende come un balsamo, di cui se verserai una sola goccia nel cavo della mano, tenendola rivolta al sole, ed essa passerà sul dorso della mano. Se sei Khezr, passerai anche senza difficoltà attraverso la montagna di Qaf. (segue)

– Estratto da: http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/misticaislamica/corbin_mundus.htm

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Henry Corbin (Parigi, 14 aprile 1903 – Parigi, 7 ottobre 1978) è stato un orientalista, storico della filosofia, traduttore, filologo, islamista e iranista francese.

Il merito delle ricerche di Corbin è stato di aver riscoperto la tradizione gnostica dell’Islam sciita, un continente filosofico sommerso e sconosciuto agli stessi orientalisti del suo tempo, mostrando così come la filosofia islamica, lungi dal ridursi ai filosofi arabi “ellenizzati” e dal concludersi con il peripatetismo di Averroè, conosca un ulteriore periodo di fioritura a partire dal XII secolo, non nell’Occidente arabo ma nell’Oriente persiano. Corbin ha inoltre contribuito ad una più adeguata comprensione del fenomeno del sufismo, di cui ha saputo far emergere la dimensione autenticamente islamica, rifiutando di ricondurlo alle categorie della spiritualità cristiana, o alla comoda etichetta di sincretismo.

Temi come quello della conoscenza e del racconto visionario, del mondo immaginale e dell’immaginazione creativa, intesi come facoltà teofaniche, del corpo spirituale e della terra celeste, dell’angelologia e del dramma che si svolge nel cielo, sono creazioni intellettuali il cui sviluppo non ha equivalenti nella tradizione filosofica occidentale, sulle quali si fonda ciò che Corbin chiama una filosofia profetica, basata sull’ermeneutica spirituale del Libro, che trova il proprio equivalente cristiano più prossimo in Jakob Böhme. Questa filosofia profetica va considerata come una teosofia capace di riconciliare le facoltà visionarie dell’uomo con quelle razionali. [Wikipedia]

Il rumore di un albero che cade, Robert Lanza (estratto)

22 lunedì Nov 2021

Posted by Paola in Coscienza, Filosofia, Libri, Percezione, Personaggi

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Chi di noi non ha mai sentito dire o non ha mai provato a rispondere alla famigerata domanda: «Se un albero cade in una foresta, e nessuno è presente, fa rumore comunque?». Se facessimo un sondaggio veloce tra amici e parenti, dalla maggioranza otterremmo una decisa risposta affermativa. Recentemente mi è stato risposto: «Ma certo che un albero che cade fa rumore», con un pizzico di fastidio tra l’altro, come se la domanda fosse troppo banale per meritare un minimo di attenzione.

Ciò che queste risposte affermano è la certezza nell’esistenza di una realtà oggettiva e indipendente. In effetti, che l’universo possa tranquillamente esistere con o senza di noi è la concezione più diffusa, concezione che s’inserisce perfettamente nella visione occidentale, radicata fin dai tempi biblici, secondo cui nell’economia del cosmo l’uomo sarebbe «una cosa piccola» per importanza e rilievo. Solo poche persone (forse quelle che possiedono una preparazione scientifica adeguata) analizzano correttamente dal punto di vista sonoro ciò che succede quando un albero cade in un bosco.

Qual è il processo che genera un suono? Perdonatemi un breve ripasso delle lezioni di scienze delle medie: il suono viene creato da un disturbo in un mezzo, di solito l’aria, anche se il suono riesce a viaggiare ancora più velocemente e più efficacemente in mezzi più densi, come l’acqua o addirittura l’acciaio. Quando rami e tronchi cadono a terra creano veloci spostamenti d’aria. Una persona sorda riesce a cogliere subito alcuni di questi spostamenti; sono particolarmente percepiti sulla pelle quelli che hanno una frequenza tra le cinque e le trenta volte al secondo. Dunque, quello che la caduta di un albero produce davvero sono veloci variazioni della pressione dell’aria, che si propagano nel mezzo circostante a una velocità di circa 330 metri al secondo. Nel loro espandersi perdono coerenza finché non viene a ristabilirsi l’uniformità nella zona d’aria coinvolta. Tutto questo, con l’ausilio di nozioni scientifiche elementari, è ciò che avviene in assenza di qualsiasi meccanismo orecchio-cervello: una semplice alternanza di zone a pressione più alta con altre a pressione più bassa. Minuscoli e rapidi soffi d’aria. Senza alcun suono annesso.

Adesso porgiamo un orecchio alla scena. Se ci fosse qualcuno nelle vicinanze, quei soffi d’aria farebbero vibrare la membrana timpanica (nota come timpano) del suo orecchio, che a sua volta stimolerebbe delle connessioni nervose solo nel caso in cui l’aria stesse vibrando tra le 20 e le 20000 volte al secondo (con un limite superiore che si aggira sulle 10000 volte per le persone con più di quarant’anni, e con uno ancora più basso per quelli di noi che hanno trascorso un’adolescenza dissoluta sotto il palco di assordanti concerti rock). L’aria che soffia 15 volte al secondo non ha nulla di intrinsecamente differente da quella che pulsa 30 volte al secondo, eppure, per come è strutturata la nostra rete neurale, la prima non produrrà mai un suono da noi percepito. A ogni modo, le terminazioni nervose stimolate dal timpano inviano dei segnali elettrici in una zona del cervello, generando la percezione di un rumore. La natura di questa esperienza è indiscutibilmente simbiotica. Le folate d’aria da sole non costituiscono nessun suono, e questo è ovvio perché i soffi che si ripetono 15 volte al secondo rimangono muti indipendentemente dal numero di orecchie presenti. Solamente quando si ripetono in un determinato intervallo di frequenze la struttura della rete neurale uditiva permette alla coscienza umana di fare esperienza di un rumore.

Per dirla brevemente, un osservatore, un orecchio e un cervello sono in ugual misura indispensabili per l’esperienza generale di un suono, tanto quanto lo sono gli spostamenti d’aria. Il mondo esterno e la coscienza sono correlati. Un albero che cade in una foresta disabitata produce solo folate d’aria silenziose, minuscoli soffi di vento. Quando qualcuno risponde scocciato: «Ma certo che un albero che cade fa rumore anche se non c’è nessuno nei paraggi», sta semplicemente dimostrando la propria incapacità di riflettere razionalmente su un fatto a cui nessuno ha assistito. Non ce la fanno a chiamarsi fuori dal gioco, in qualche modo continuano a vedersi presenti sulla scena quando invece non lo sono affatto. (…)

– Estratto da “Biocentrismo”, R. Lanza e B. Berman – Edizioni Il Saggiatore, 2015

La musica della pre-morte, G. Tedoldi (da Il Tascabile)

22 lunedì Nov 2021

Posted by Paola in Coscienza, Linguaggio, Percezione, Società, Stati altri di coscienza

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Sono sempre stato affascinato dal Tardo Stile, le ultime opere degli scrittori, dei pittori, ma soprattutto dei musicisti. Non sarà casuale che la stessa espressione è più ricorrente nei libri di storia della musica che altrove, e la si adopera canonicamente per riferirsi alle ultime sonate per pianoforte e agli ultimi quartetti per archi di Beethoven, alla Missa Solemnis e alla Nona sinfonia, insomma a quel gruppo variegato di lavori composti nell’ultimo decennio di vita del maestro di Bonn. Così, in base a una semplice curiosità (“qual è stata l’ultima composizione di Chopin?”) ho passato alcuni giorni a ascoltare e riascoltare questi lavori, alcuni dei quali, come il Quartetto in fa min. op 80 di Felix Mendelssohn o le ultime mazurke di Chopin, scritti a pochi mesi dalla morte. Perché mi domando: ne erano coscienti? Sapevano che stava per finire? Se sì, questa consapevolezza come si incarna, o da cosa trapela? E si può, fissando l’appressarsi della morte, riuscire a buttare giù note su un pentagramma? Cosa produce la doppia visione di questo e dell’altro mondo?

Tali opere terminali rappresentano, oltre al valore artistico, delle specie di NDE, Near Death Experiences, esperienze di pre-morte, e non c’è dubbio che questo aspetto, se si vuole un po’ necrofilo, mi attragga non meno (e forse più) di valutazioni e confronti di tipo stilistico o storico-estetico, complessivamente riconducibili a un’osservazione del musicologo Carl Dahlhaus: “la modernità dell’‘opera tarda’ non consiste nel fatto che anticipa un pezzo di futuro: la modernità di Bach, Beethoven e Liszt è stata scoperta solo dopo che il futuro che essa anticipava era divenuto da tempo presente”. Affermazione che avanza una pretesa di validità universale anche se, per citare un caso esotico quanto si vuole e, certo, non alla veggente altezza di Bach, Beethoven o Liszt, il futuro dell’Opus Clavicembalisticum di Kaikhosru Sorabij che, pur essendo stato completato a quasi sessant’anni dalla morte dell’autore, nasce già inseguendo un miraggio di Tardo Stile, è decaduto nel passato senza mai lambire il presente. “Può esistere un artista che non trova la sua epoca, e un’epoca che non trova il suo artista” diceva Burckhardt, e può accadere che l’allineamento, come tra corpi celesti incommensurabilmente distanti, non si verifichi mai. Il Tardo Stile è il cosciente, più radicale e misterioso tentativo di un artista di disallinearsi da tutti gli altri corpi orbitanti nel cielo della sua epoca. (continua)

Articolo integrale: La musica della pre-morte, il Tascabile

La mente come mito, Intervista a U. G. Krishnamurti (J. Mishlove, Thinking Allowed)

23 sabato Ott 2021

Posted by Paola in Coscienza, Inserimenti, Percorsi spirituali, Personaggi, Spiritualità

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La mente come mito – Intervista a U. G. Krishnamurti di Jeffrey Mishlove (da Thinking Allowed), 2006

Fonte: http://www.gianfrancobertagni.it

MISHLOVE: Benvenuto. Sono Jeffrey Mishlove. Oggi andiamo ad esaminare la mente – non come oggetto di realtà, ma come illusione, come mito. Con me è Mr. G.U. Krishnamurti, filosofo e viaggiatore. U.G. è autore di parecchi libri basati sulle sue conversazioni. Uno di questi si chiama “La mistica dell’illuminazione” ed un altro è “La mente come mito”. A volte è considerato un anti-guru, un uomo che sfugge qualunque definizione, un saggio riluttante. Benvenuto U.G.

KRISHNAMURTI: Grazie.

MISHLOVE: E’ un piacere essere con te. Nel tuo pensiero, se così posso chiamarlo, sembri suggerire che la mente non è reale, nel senso che non c’è mente separata dal corpo. E’ corretto?

KRISHNAMURTI: Sì. Quello che c’è è solo il corpo. Allora dov’è la mente? Se c’è una mente, è separata o distinta dall’attività cerebrale? Dunque è molto difficile affrontare la questione della mente. Vedi, noi abbiamo confidenza solo con le definizioni. L’argomento è “La mente è un mito”, ma la serie d’interviste in cui è inserita si chiama “Thinking Allowed” (pensare è permesso). Thinking aloud (pensare ad alta voce – gioco di parole in inglese) o pensare silenziosamente introduce nel quadro una questione molto fondamentale: cosa è il pensare, e perché pensiamo? Queste domande sorgono dall’assunto che i pensieri sono auto-generati e spontanei, ma di fatto il cervello è solo un reattore, non un creatore. E’ molto difficile accettare questo, perché per secoli ci hanno fatto credere… o siamo stati sottoposti al lavaggio del cervello….. è molto difficile accettare la mia affermazione che non esistono per niente i pensieri.

MISHLOVE: Sembri assumere la posizione che categorizzeremmo come molto materialistica e molto meccanica – che il cervello non è nient’altro che una macchina o un computer.

KRISHNAMURTI: E’ davvero un computer, ma noi non siamo pronti ad accettarlo. Per secoli ci è stato fatto credere che c’è un’entità, che c’è un Io, che c’è un sé, che c’è una psiche, che c’è una mente e così via.

MISHLOVE: Un’anima, per così dire, uno spirito.

KRISHNAMURTI: Anima. Se accetti il fatto – questo può non essere un fatto per te, puoi non accettarlo, e molta gente non esiterà a rifiutarlo – che non esiste una cosa come un’anima, e che l’anima è creata dal pensiero dell’uomo. Ci siamo nutriti di fandonie per secoli, e se cambiassimo dieta, moriremmo tutti di fame.

MISHLOVE: Noi possediamo molti termini che indicano cose intangibili. Parliamo di onestà, di integrità, come se fossero oggetti reali; eppure non sono tanto oggetti quanto qualità o processi.

KRISHNAMURTI: Ho paura che ci stiamo allontanando dalla domanda basilare. Se tu non vuoi pensare, c’è pensiero? Volere e pensare vanno insieme, ed il pensiero, vedi, è materia, in modo che tu usi il pensiero per raggiungere una meta sia materiale che spirituale. Ma per sfortuna noi mettiamo le mete spirituali ad un livello più alto e ci consideriamo molto superiori a coloro che usano il pensiero per ottenere scopi materiali. Dunque di fatto, che tu lo chiamo materiale o spirituale, anche i cosiddetti valori spirituali sono materialistici. E tale è la materia; il pensiero è materia. E come dicevo proprio all’inizio, il pensiero non è un creatore di pensiero, ma risponde a degli stimoli. Quello che esiste è solo lo stimolo e la risposta. Anche il fatto che c’è una risposta allo stimolo non può essere sperimentato da noi, eccetto tramite l’aiuto del pensiero, che crea una divisione tra lo stimolo e la risposta. Di fatto, lo stimolo e la risposta sono un momento unitario. Non si può neppure dire che esista una sensazione; anche le cosiddette sensazioni che noi pensiamo di sperimentare continuamente non possono venire sperimentate se non attraverso la conoscenza che noi riceviamo dalle sensazioni. (noi abbiamo accesso diretto alla conoscenza ma non alla sensazione, –corretto?– n.d.t.)

MISHLOVE: Da tutto questo deduciamo che esiste un sé, che esiste una mente che fa da mediatrice tra lo stimolo e la risposta.

KRISHNAMURTI: Quello che c’è è solo la conoscenza che noi abbiamo del sé, la conoscenza che abbiamo accumulato, o che ci è stata passata, da una generazione all’altra. Con l’aiuto di questa conoscenza noi creiamo quello che chiamiamo sé, e poi sperimentiamo il sé come separato dalle funzioni di questo corpo. Allora esiste una cosa come il sé? Per me l’unico Io è il pronome di prima persona singolare. Io uso “io” per rendere più semplice la conversazione, e chiamo te “te”, ed io “io”, ma semplicemente quello che chiamiamo io è solo un pronome di prima persona singolare.

MISHLOVE: A una parte del discorso.

KRISHNAMURTI: Sì. Oltre a questo, esiste una cosa come io? Esiste una cosa come il sé? Esiste questa entità, differenziata dal funzionamento di questo organismo vivente? Vedi, da qualche parte lungo il percorso di evoluzione – non posso neppure fare un’affermazione definitiva e dire che esiste una cosa come l’evoluzione, ma assumiamo e presumiamo che esista — da qualche parte lungo il percorso, la specie umana ha fatto esperienza di questa autocoscienza che non esiste in altre specie sul pianeta.

MISHLOVE: Sembri suggerire che è un prodotto del nostro linguaggio.

KRISHNAMURTI: Non necessariamente un prodotto del linguaggio. Vedi, proprio l’esperienza di ciò che chiamiamo “ciò che ci separa dalla totalità delle cose”, il problema è – e questo è quanto voglio enfatizzare – tutta la natura è una singola entità. L’uomo non può separarsi da quella che chiamiamo natura. Sfortunatamente, con l’aiuto di questa autocoscienza che è apparsa ad un certo momento, l’uomo si è accordato un posto superiore su un livello più alto, e si è considerato superiore (ed ancora ci riteniamo tali) alle altre specie che vivono su questo pianeta. Ecco la ragione per cui abbiamo creato questa disarmonia; ecco perché abbiamo creato questi tremendi problemi, ecologici e di altro tipo. L’uomo, o come volete chiamarlo, di fatto non può essere separato dalla totalità della natura. Ecco dove abbiamo preso una delle maggiori cantonate; questa cosa è sfortunatamente la tragedia dell’uomo. (segue)

Articolo integrale: http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/maestri/mentemito.htm

U.G. Krishnamurti (1918–2007) Spesso definito “anti-guru” o come “l’uomo che rifiutò di essere un guru”. Non va confuso con Jiddu Krishnamurti, anch’egli filosofo. U.G. Krishnamurti non ha scritto alcun testo. Tutti i libri in circolazione (in inglese, francese, tedesco, olandese, spagnolo, polacco, serbo, coreano, hindi, tamil, telugu e kannada, oltre che in italiano) sono trascrizioni di conversazioni. Lo stesso U.G. non mostrerà particolare interesse a questi volumi, tanto che troviamo come ex ergo a ogni suo libro la seguente frase: “Il mio insegnamento, se vi piace chiamarlo così, non ha copyright. Siete liberi di riprodurlo, diffonderlo, interpretarlo, fraintenderlo, distorcerlo, alterarlo, potete farne quel che vi pare, potete anche pretendere di esserne voi gli autori, senza bisogno di chiedere né il mio consenso, né il permesso di chiunque altro.” (Wikipedia)

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