Sopra di noi, i giganti azzurri attendono. Più vasti della Terra, di Marte, di Venere, eppure così distanti da essere invisibili a occhio nudo. Li incontrammo solo una volta, quando la sonda Voyager 2 li sfiorò e passò oltre. Urano, settimo pianeta del sistema solare, nel 1986; Nettuno, ottavo e il più lontano dei pianeti, nel 1989. Nuove sonde, negli oltre trent’anni passati da quel breve rendezvous, hanno visitato tutti gli altri pianeti del nostro Sistema. Loro no. Eppure custodiscono la chiave per capire com’è nato il nostro Sistema Solare, e sono pietra di paragone per i sistemi planetari di altre stelle.
Forse torneremo. Nell’aprile 2022, un comitato di scienziati della National Academy of Sciences degli Stati Uniti ha ufficialmente appoggiato la proposta di una missione NASA che orbiterà intorno a Urano – Nettuno è stato escluso perché al momento troppo difficile da raggiungere. Non che ci sia da trattenere il respiro. Con una data di lancio prevista per l’inizio degli anni Trenta; l’arrivo è previsto intorno al 2044-45, ma potrebbe slittare addirittura al 2053: fra più di trent’anni. L’esplorazione del cosmo è uno dei pochi campi rimasti in cui si può lavorare per le generazioni.
Due pianeti, due momenti fondamentali della storia della scienza. Dalle origini della storia gli esseri umani conobbero sei pianeti, viandanti familiari nel cielo, fino alla sera del 13 marzo 1781. Quando “tra le dieci e le undici, mentre esaminavo le piccole stelle nelle vicinanze di H Geminorum” nel suo osservatorio a Bath, Frederick William Herschel, scorse un piccolo disco verdeazzurro. Seguendolo, e accorgendosi giorno dopo giorno che si muoveva nel cielo, Frederick William Herschel fu dunque il primo essere umano a rivelare che nuovi mondi invisibili orbitavano il Sole. O almeno, così dicono le enciclopedie; ma tutto dipende da cosa intendiamo per scoperta scientifica. Fu Herschel il primo a vedere Urano? No; altri astronomi lo avevano visto, come Flamsteed nel 1690; forse perfino Ipparco 150 anni prima di Cristo, se riuscì a scorgerlo a occhio nudo. Galileo nientemeno osservò invece Nettuno, tra 1612 e 1613 – ed ebbe pure il sospetto che si fosse mosso. Ma tutti credettero di vedere delle stelle, e passarono oltre.
Herschel fu invece il primo a identificare, in quella stellina sfumata, un oggetto del nostro sistema solare che si muoveva nel cielo. Ma capì subito che era un pianeta? No, di nuovo. All’inizio pensò fosse una cometa, come quelle che scopriva sua sorella Caroline. Si può dire che Herschel scoprì Urano nel senso che fu il primo a dire esplicitamente ehi, guardate qui, ad attirare l’attenzione. Realizzare cosa fosse Urano fu però un affare collettivo, quando nei mesi successivi astronomi di prima grandezza, come Lalande, Boscovich, Messier e altri, accertarono che sì, quello era il settimo pianeta. (segue)
Articolo integrale: Ritorno ai giganti azzurri (Il Tascabile)