La scomparsa dei riti, Byung-Chul Han – Edizioni Nottetempo (estratto)

I riti sono azioni simboliche. Tramandano e rappresentano quei valori e quegli ordinamenti che sorreggono una comunità. Creano una comunità senza comunicazione, mentre oggi domina una comunicazione senza comunità. A costituire i riti è la percezione simbolica. Il simbolo (dal greco symbolon) indica originariamente il segno di riconoscimento tra ospiti (tessera hospitalis) L’ospite spezza a metà una tavoletta di argilla e ne dà un pezzo all’altra persona in segno di ospitalità. In tal modo il simbolo serve per il riconoscimento. Questa è una forma particolare di ripetizione:

“Riconoscere non è vedere di nuovo qualcosa. I riconoscimenti non sono una serie di incontri, ma riconoscere significa piuttosto: conoscere qualcosa per ciò che ci è già noto. E costituisce l’autentico processo dell’”accasamento” (Einhausung) umano – una parola di Hegel, che voglio usare in questo caso – il fatto che ogni riconoscimento sia sciolto dalla contingenza della prima presa di conoscenza e sia elevato all’idealità. Noi tutti lo sappiamo assai bene. Nel riconoscimento è implicito il fatto che ora si conosce più propriamente di quanto si potesse fare nella confusione momentanea del primo incontro. Il riconoscere vede il permanente nel fuggevole. [Charles Taylor, Il disagio della modernità]

La percezione simbolica, intesa come riconoscimento, percepisce ciò che dura: il mondo viene liberato dalla propria contingenza e ottiene un che di permanente. Oggi il mondo è assai povero di simboli: i dati e le informazioni non possiedono alcuna forza simbolica, per cui non consentono il riconoscimento. Nel vuoto simbolico si perdono quelle immagini e quelle metafore capaci di dare fondamento al senso e alla comunità stabilizzando la vita. L’esperienza della durata si attenua, mentre la contingenza aumenta radicalmente.

I riti si lasciano definire nei termini di tecniche simboliche dell’accasamento: essi trasformano l’essere-nel-mondo in un essere-a-casa, fanno del mondo un posto affidabile. Essi sono nel tempo ciò che la casa è nello spazio. Rendono il tempo abitabile, anzi lo rendono calpestabile come una casa. Riordinano il tempo, lo aggiustano. (…)

Oggi al tempo manca una struttura stabile. Non è una casa, bensì un flusso incostante: si riduce a una mera sequenza di presente episodico, precipita in avanti. Nulla gli offre un sostegno, e il tempo che precipita in avanti non è abitabile.

I riti stabilizzano la vita. Parafrasando Antoine de Saint-Exupèry, potremmo dire che i riti sono nella vita ciò che le cose sono nello spazio. Per Hannah Arendt è la resistenza delle cose a offrire loro un’”indipendenza dagli uomini”. Le cose hanno “la funzione di stabilizzare la vita umana”. La loro oggettività sta nel fatto che “gli uomini, malgrado la loro natura sempre mutevole, possono ritrovare il loro sé”, cioé la loro identità, “riferendosi alla stessa sedia e allo stesso tavolo”. [Richard Sennett, Il declino dell’uomo pubblico]

Le cose sono il punto fermo, stabilizzante della vita. I riti hanno la medesima funzione: stabilizzano la vita per mezzo della proprio medesimezza (Selbigkeit), della loro ripetizione (Wiederholung). Rendono, dunque, la vita resistente. L’odierna coazione a produrre sottrae alle cose la loro resistenza: essa distrugge consapevolmente la durata allo scopo di produrre di più, di costringere a un maggior consumo. L’indugiare, d’altro canto, presuppone cose che durano; se le cose vengono solo usate e consumate, ecco che indugiare diventa impossibile. E dal momento che la stessa coazione a produrre destabilizza la vita smontando ciò che dura nella vita, essa distrugge anche la resistenza della vita, sebbene quest’ultima si allunghi. (…)

Sono le forme rituali che, come la cortesia, rendono possibile non solo un bel rapporto interpersonale, ma anche un bel rapporto delicato con le cose. Nel quadro rituale, le cose non vengono consumate o spese, bensì usate – così possono anche invecchiare. In preda alla coazione a produrre, ci rapportiamo alle cose e al mondo non come utilizzatori, bensì come consumatori. Di ritorno, le cose e il mondo consumano noi. Il consumo senza scrupoli ci attornia insieme alla sparizione, che destabilizza la vita. Le pratiche rituali fanno sì che ci rapportiamo armoniosamente non solo con le altre persone, ma anche con le cose…

Indice: – Avvertenza  – Coazione a produrre  – Coazione all’autenticità  – Rituali di chiusura  – Festa e religione  – La vita in gioco  – La fine della Storia  – L’impero dei segni  – Dal duello alla guerra coi droni  – Dal mito al dataismo  – Dalla seduzione al porno

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– Byung-Chul Han (Seul, 1959), è un filosofo e docente sudcoreano che vive in Germania. I suoi interessi vanno dall’etica alla filosofia sociale, dalla fenomenologia all’antropologia, dall’estetica alle comunicazioni di massa, in particolare nel campo dei cultural studies e in chiave interculturale, prestando attenzione a fenomeni globali e contemporanei. [Wikipedia]