Le ragioni del silenzio e le sei regole dello Zend-Avesta, Vico di Varo (Amedeo Rotondi)

L’uomo di natura espansiva, abituato alla più cordiale comunicativa con il mondo esterno, aperto con i propri simili, si chiede: Perchè tacere? non si deve essere comunicativi? Come può effettuarsi il contatto con gli altri se non con le parole? perchè essere chiusi?

Quando si dice di parlare di meno, di parlare poco, di tacere del tutto, di dominare la lingua, non si vuole affatto consigliare a divenire tipi chiusi, non comunicativi, solitari, o, peggio, complessi, contorti, reticenti, complicati, pieni di equivoci o di sottintesi. No, davvero. Allora sarebbe meglio essere chiacchieroni, istintivi, con tutte le penose conseguenze che l’esperienza porta con sé ma, certo, meno negative delle altre. Quando si consiglia di tacere, si consiglia la via migliore, si dice di mettere un giusto freno al parlare indiscriminato, un freno sensato come chiunque adoperi l’auto, in maniera che nella discesa non vada a fracassarsi nel primo burrone, tirando dritto. Vi sono ragioni fondamentali per cui è meglio il tacere che il parlare. Quando si sarà compreso a che serva il silenzio, allora si comincerà ad amarlo.

Il silenzio ha le sue ragioni che vanno ben penetrate. Il tacere non è fine a se stesso che, anzi, sarebbe allora sicuramente un regresso rispetto al dono sublime della parola, ma è soltanto un mezzo per realizzazioni più elevate. Si tace solo per motivi più alti, non per altro. (…)

Scopo fondamentale del silenzio è quello di favorire l’attività interiore dell’uomo. Si rinuncia al poco per avere il molto: è un cambio vantaggioso (…)

Le sei regole dello Zend-Avesta per il governo della parola

L’antica saggezza persiana, espressa nello Zend-Avesta, detta alcune regole sul governo della parola. Come tutte le verità che hanno valore universale, sono sempre attuali. L’Arte del silenzio e l’uso della parola, come si è detto, è stato ispirato da queste regole e le pagine che seguono ne sono una parafrasi.

Le sei regole dell’AVESTA per governare la parola:

  1. Non lasciar mai parlare il lato basso del tuo carattere;
  2. Non parlare di un soggetto che non conosci a fondo;
  3. Non parlare di ciò che personalmente non sai essere l’esatta verità;
  4. Non parlare se l’oggetto delle tue parole non è chiaro e definito nel tuo pensiero;
  5. Non parlare se non con intonazione cordiale;
  6. Non parlare se i tuoi uditori non ti ascoltano, giacchè una buona parola è inutile a un cattivo orecchio.

La forma negativa con cui sono espresse non è casuale, anzi è voluta per affermare un concetto fondamentale, quello cioè che la regola prima ed essenziale, base di tutte le altre è… il tacere, non parlare. Si vuole affermare che il parlare è l’eccezione, tollerabile soltanto nei casi espressamente indicati e quando si verificano le condizioni chiaramente significate.

Non parlare è il precetto basilare di tutti i precetti sul governo della parola, il motivo chiave di una composizione musicale, ripetuto all’inizio di ogni prescrizione, quasi ritornello prima di enunciare ogni regola.

Chi vuole derogare al non parlare deve ben ricordarsi a quali condizioni può farlo. Ecco, dunque, che la forma negativa in cui vengono espresse, è essa stessa precetto fondamentale.  (…) L’aspetto positivo scaturisce, naturalmente, rovesciando la forma con la quale sono enunciate. E il lettore lo potrà fare da solo. (…)

Soltanto chi avrà imparato a tacere saprà, quando occorre, ben parlare. E questa rimane una verità basilare. Nel silenzio si matura l’apprendimento dell’arte difficile del governare la parola.

Per questo, il tacere è la prima norma del Saggio.

– Estratto da: L’arte del silenzio e l’uso della parola, Vico di Varo – Ed. A. Rotondi