La mistica del linguaggio, Gershom Scholem – estratto da “Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio”, Ed. Adelphi

… La rivelazione, secondo la dottrina della Sinagoga, è un evento acustico, non visivo, o per lo meno ha luogo in una sfera connessa metafisicamente con la dimensione acustica, sensoriale. Questo carattere viene sottolineato di continuo richiamando le parole della Torah (Dt 4,12): “Non avete visto alcuna immagine, soltanto una voce.” Quale significato abbia questa voce e che cosa in essa venga a espressione, è la domanda che il pensiero religioso ebraico non si è mai stancato di riproporsi.

Il legame inscindibile che unisce il concetto di verità della rivelazione e quello di linguaggio – poichè la parola di Dio, se mai l’uomo possa farne esperienza, si rende percepibile proprio nel medium del linguaggio umano – è certo una delle eredità più importanti, anzi forse la più importante, che l’ebraismo abbia lasciato nella storia della religione.

Nelle pagine che seguono ci proponiamo di interrogare la letteratura e il pensiero dei mistici ebrei per apprendere che cosa hanno da insegnarci al riguardo. Il punto di partenza di tutte le teorie mistiche del linguaggio, e perciò anche di quelle cabbalistiche, è la convinzione che il linguaggio, ossia il medium in cui si compie la vita spirituale dell’uomo, possieda un lato interno, un aspetto, che non si lascia ridurre alla pura comunicazione fra gli esseri.

L’uomo si esprime, cerca di farsi intendere dai suoi simili, ma in tutti questi tentativi vibra qualcosa che non è soltanto segno, comunicazione, significato ed espressione. Il suono che è alla base di ogni lingua, la voce che le dà forma, che la forgia elaborandone il materiale sonoro, in questa prospettiva sono già prima facie assai più di quanto entri nella comunicazione.

L’antico problema che da Platone ad Aristotele ha poi diviso i filosofi – se cioè il linguaggio si fondi su una convenzione, un accordo, o sulla natura interna degli esseri – ha sempre avuto sullo sfondo questo aspetto indecifrabile del linguaggio. Ma se il linguaggio è più della comunicazione ed espressione verbale, per come l’intendono i linguisti, se l’elemento sensibile, grazie alla cui pienezza e profondità esso prende forma, possiede quell’aspetto ulteriore che ho chiamato il suo lato interno, sorge allora la domanda: che cos’è questa dimensione “segreta” del linguaggio sulla quale da sempre i mistici concordano, da quelli dell’India e dell’Islam fino ai cabbalisti e a Jakob Boehme? La risposta è chiara: questa dimensione è determinata dal carattere simbolico del linguaggio.

Nel definire questo aspetto simbolico le teorie mistiche percorrono spesso strade divergenti. Che però qui, nel linguaggio, venga comunicato qualcosa che oltrepassa la sfera che rende possibili espressione e forma – qualcosa di inespresso che vibra in fondo a ogni espressione, qualcosa che si mostra solo per simboli e che traspare, per così dire, attraverso le fessure del mondo espressivo – è questa le tesi di fondo che ritorna in tutte le teorie mistiche del linguaggio, ed è insieme l’esperienza da cui esse hanno tratto alimento, rinnovandosi fino alla nostra generazione. (In questo senso Walter Benjamin è stato a lungo un puro mistico del linguaggio.)

Il mistico scopre nel linguaggio una dignità, una dimensione immanente o, come si direbbe oggi, un aspetto strutturale che mira non tanto a comunicare qualcosa di comunicabile, quanto piuttosto – e su questo paradosso si fonda il simbolismo – a comunicare qualcosa di non-comunicabile, qualcosa che rimane inespresso e che, se mai si potesse eprimere, non avrebbe comunque un significato, un “senso”, comunicabile. (…)

I mistici si sono sempre arrovellati su come possa il linguaggio degli dèi o di Dio intrecciarsi con la lingua parlata e come si possa districarlo da quell’intreccio. Da sempre essi hanno avvertito nella lingua un abisso, una profondità, e si sono prefissi di misurarli, di attraversarli e di superarli. (…)

– Estratto da: Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, Gershom Scholem, ed. Adelphi