Allegro ma non troppo – Le leggi fondamentali della stupidità umana, Carlo M. Cipolla – Ed. Il Mulino, 1988
Dall’introduzione
La vita è una cosa seria, molto spesso tragica, qualche volta comica. I Greci dell’età classica avvertivano profondamente e coltivavano il senso tragico della vita. I Romani, in genere più pratici, non ne facevano una tragedia ma considervano la vita una cosa seria: di conseguenza, tra le qualità umane apprezzavano in modo particolare la gravitas e tenevano in poco conto la levitas.
Cosa sia il tragico non è difficile nè da capire nè da definire, e se a un Tizio gira per la testa di apparire come una figura tragica non gli è difficile riuscirvi anche se Madre Natura non ha già provveduto alla bisogna. La serietà è pure una qualità relativamente facile da capire, da definire e per certi versi da praticare. Quel che è difficile da definire e che non a tutti è dato percepire e apprezzare è il comico. E l’umorismo che consiste nella capacità di intendere, apprezzare ed esprimere il comico è una dote piuttosto rara tra gli esseri umani.
Intendiamoci: l’umorismo grossolano, facilone, volgare, prefabbricato (=barzelletta) è alla portata di molti, ma non è il vero umorismo. È un travestimento dell’umorismo. Il termine umorismo deriva dal termine “umore” e si riferisce a una sottile e felice disposizione mentale di equilibrio psicologico e di benessere fisiologico. Schiere di scrittori, filosofi, epistemologi, linguisti hanno ripetutamente tentato di definire e spiegare l’umorismo. Ma dare una definizione dell’umorismo è cosa difficile per non dire impossibile. Tanto è vero che se una battuta umoristica non è percepita come tale dall’interlocutore è praticamente inutile, se non addiritttura controproducente, cercare di spiegargliela.
Chiaramente l’umorismo è la capacità intelligente e sottile di rilevare e rappresentare l’aspetto comico della realtà. Ma è anche molto di più. Anzitutto, come scrissero Devoto e Oli, l’umorismo non deve implicare una posizione ostile bensì una profonda e spesso indulgente simpatia umana. Inoltre l’umorismo implica la percezione istintiva del momento e del luogo in cui può essere espresso. Fare dell’umorismo sulla precarietà della vita umana al capezzale di un moribondo non è umorismo. D’altra parte quando quel gentiluomo francese che saliva i gradini che lo portavano alla ghigliottina, avendo inciampato in uno dei gradini, rivolgendosi alle guardie esclamò: “dicono che inciampare porti sfortuna”, quel gentiluomo meritava certamente che la sua testa venisse risparmiata.
L’umorismo è così intimamente legato alla scelta accurata e specifica dell’espressione verbale in cui viene prodotto che difficilmente si riesce a tradurlo da una lingua a un’altra. Il che anche significa che è così permeato dei caratteri della cultura in cui viene prodotto che riesce sovente del tutto incomprensibile quando travasato in un ambiente culturale diverso.
L’umorismo va distinto dall’ironia. Quando si fa dell’ironia si ride degli altri. Quando si fa dell’umorismo si ride con gli altri. L’ironia ingenera tensioni e conflitti. L’umorismo quando usato nella misura giusta e nel momento giusto (e se non è usato nella misura giusta e nel momento giusto non è umorismo) è il solvente per eccellenza per sgonfiare tensioni, risolvere situazioni altrimenti penose, facilitare rapporti e relazioni umane.
È mia profonda convinzione, quindi, che ogniqualvolta si presenti l’occasione di praticare dell’umorismo, sia un dovere sociale far sì che tale occasione non vada perduta. Da questa banale considerazione nacquero i due saggi che seguono. Furono originariamente pubblicati anni addietro (rispettivamente nel 1973 e nel 1976) in lingua inglese e in edizione ristretta riservata per i soli amici. I due saggi ebbero però un insperato successo e mentre talune persone cercarono di procurarsene copia tramite amici o conoscenti, altri più intraprendenti ne fecero copie xero-grafiche o addirittura manoscritte che circolarono più o meno clandestinamente. Il fenomeno assunse proporzioni tali che l’editrice il Mulino e il sottoscritto finalmente decisero di procedere a una edizione ufficiale e pubblica che qui si presenta non priva di sostanziali revisioni rispetto alla prima edizione semi-clandestina.
Nell’occasione di questa edizione ufficiale sento il dovere di fare due precisazioni. Nel saggio sul pepe, il lettore non farà fatica a cogliere qualche puntata ironica. Ma spero mi si conceda che si tratta di ironia bonaria e paciosa, tale da non distanziarsi molto – almeno così mi auguro – dall’umorismo.
Quanto al saggio sulla stupidità umana non è nè più nè meno che quella che gli eruditi settecenteschi avrebbero chiamata “una spiritosa invenzione”. Di fatto il saggio non ha alcuna attinenza con la mia vita personale. Peccherei gravemente di ingratitudine contro i fati che sino a ora hanno presieduto al corso della mia vita se non confessassi di essere stato, nei miei rapporti umani, un essere straordinariamente fortunato nel senso che la stragrande maggioranza delle persone con cui venni in contatto furono di regola persone generose, buone e intelligenti. Spero che leggendo questo pagine non si convincano che lo stupido sono io.—
Carlo M. Cipolla – (1922-2000) è stato uno storico italiano specializzato in storia economica. Ha insegnato in Italia e negli Stati Uniti. Nelle pubblicazioni viene abitualmente nominato come Carlo M. Cipolla a seguito dell’invenzione, da parte sua, di un inesistente secondo nome, che viene solitamente interpretato, in maniera erronea, come Maria. [Wikipedia]