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Archivi Mensili: aprile 2018

Una nota sull’ “intento”, Paola

14 sabato Apr 2018

Posted by Paola in Paola, Percezione, Stati altri di coscienza

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Sull’ “intento”, Paola (nota gruppo AL)

Vorrei condividere una riflessione riguardo a come ci poniamo nelle nostre pratiche e, talvolta, nelle nostre azioni.

Praticare delle tecniche ci porta in primo luogo ad essere e poi, per conseguenza, a fare con la capacità raggiunta dal nostro essere attraverso il praticare. Potremmo dire, quindi, che nel nostro paradigma fare ed essere è un unicum, palese testimonianza l’uno dell’altro.

La chiave dell’efficacia delle nostre pratiche e, anche, delle nostre azioni, è l’intento, parola che talvolta non è ben compresa. Cos’è l’intento? Il vocabolario ci offre due accezioni che, per quanto mi riguarda, si rafforzano a vicenda: 1) come sostantivo, è il fine che ci si ripropone di raggiungere, e 2) come participio/aggettivo, è un raccoglimento dell’attenzione verso qualcosa di specifico. Tuttavia, io vorrei aggiungere un’altra valenza: 3) la fiducia che ci permette di agire liberamente.

Quando pratichiamo e agiamo con intento non possiamo avere dubbi sulla riuscita del nostro operato, che si tratti di una tecnica o di un’azione. Quando operiamo nel pieno rispetto del cerchio della vita sia visibile che invisibile – nel rispetto della libertà che ciascun individuo possiede – confidiamo che ciò che si manifesterà non potrà che essere ciò che di meglio può avvenire, per noi e per il tutto.

Quindi l’intento è certamente una profonda convinzione ma anche un’intrinseca fiducia. Se dovesse mancare questa componente, l’insicurezza o il dubbio inficerebbero il risultato. Qualora insicurezza e dubbio dovessero aleggiare intorno noi, ci si dovrebbe chiedere da quale sentimento, tensione o pensiero siano messi in moto. Forse dentro di noi non siamo convinti della reale correttezza della nostra azione? Forse temiamo un ritorno in qualche modo negativo? Se questi sono i pensieri, allora si dovrebbe mettere in questione la propria sincerità e coerenza.

È anche per questo che quando ci accingiamo a intraprendere un’azione per ottenere conoscenza, saggezza o guarigione, dobbiamo distaccarci dalla nostra personalità ordinaria ed entrare con un atto di volontà in un diverso stato di consapevolezza interiore che, per la sua natura di a-spazialità e di a-temporalità, non tiene conto delle aspettative comuni e dei valori di consenso.

Nel momento in cui accettiamo di entrare in una dimensione dove il bene comune prevale su un presunto bene personale, si dovrebbe anche accettare di essere noi per primi a fare un passo indietro rispetto alle nostre aspettative o desideri.

Quando ci predisponiamo a un’azione che riteniamo connessa a valenze più alte, il nostro intento deve condensare tutti i valori superiori di unità e bene comune, la determinazione e la focalizzazione di operare in modo corretto, con la confidenza che si percepisce attraverso l’alleanza con tutta la vita e gli esseri viventi, sia biologici che non.

Il nostro intento, inoltre, dovrebbe anche essere libero da ogni supposizione o aspettativa, poiché le aspettative non sono generate dal futuro ma del passato. Proiettare nel futuro il passato, è impedire a ciò che “ancora non è mai stato” di essere. Quindi, nel momento in cui ci accingiamo a “esprimere l’intento” per una nostra azione, dobbiamo sentirci disponibili a sperimentare qualcosa di assolutamente nuovo, imprevisto, imprevedibile e che è, talvolta al di là dell’apparenza, sicuramente appropriato e conforme al nostro intento.

Non mi è mai successo e neppure ho conosciuto qualcuno che operando con fiducia, convincimento e apertura non abbia ricevuto ciò che il suo cuore più profondo veramente anelava, che si trattasse di una conoscenza, di una guarigione o anche di un piatto di minestra. —

Paola, Paradigma 4

Limite, R. Bodei (Libro)

07 sabato Apr 2018

Posted by Paola in Evoluzione, Filosofia, Libri, Società, Storia

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Limite, Remo Bodei – Ed. Il Mulino (2016)

Estratto: Parte I.

Durante la nostra esistenza sperimentiamo innumerevoli confini che ci definiscono, segnalando discontinuità, barriere da infrangere, divieti da osservare, soglie reali o simboliche. I limiti ci circondano e ci condizionano da ogni lato e sotto ogni aspetto, a iniziare dagli immodificabili dati della nostra nascita (tempo, luogo, famiglia, lingua, Stato), dall’involucro stesso della nostra pelle, dagli orizzonti sensibili, intellettuali e affettivi del nostro animo per finire con il termine ultimo della morte.

(…)

Soprattutto la modernità occidentale è stata intesa, non senza enfasi, come consapevole e sistematica violazione dei termini prefissati, che avrebbe trasformato l’uomo in un superbo e libero creatore del proprio destino, in un essere teso a negare la propria finitudine, ad autotrascendersi nello sforzo di diventare sempre più simile a Dio. La ripetuta e vittoriosa esperienza del varcare ogni genere di confini (geografici, scientifici, religiosi, politici, ambientali e, recentemente, perfino biologici) avrebbe finito per generare una sorta di delirio di onnipotenza, di vertiginosa autoesaltazione spinta al punto di negare che, in linea di principio, esistano limiti invalicabili.

Ma le principali civiltà contemporanee hanno davvero voluto cancellare faustianamente tutti i limiti? O sarebbe meglio sostenere che alcuni li hanno semplicemente spostati in avanti, altri li hanno messi ai margini o li hanno, per così dire, costretti a entrare in clandestinità, altri ancora li hanno addirittura riproposti, rivendicati e perfino violentemente rafforzati mediante la restaurazione dogmatica di fedi, mentalità e comportamenti del passato? E non si stanno forse erigendo nuovi muri, visibili e invisibili, per separare tra loro individui e popoli, stabilendo rigidi criteri di esclusione e inclusione?

(…)

La generica domanda “in che misura siamo entrati in un mondo dai confini labili o inesistenti?”, si dovrebbe suddividere e articolare in questi specifici interrogativi: a) ci sono limiti che, diversamente da quelli scientifici e intellettuali, non dovremmo mai infrangere?, b) la violazione di proibizioni etiche, di venerandi tabù religiosi, di collaudati modelli di convivenza o il brusco sovvertimento d’istituzioni politiche tradizionali ci sospingono rischiosamente verso l’ignoto e ci faranno in breve precipitare nell’abisso dell’anarchia?, c) mediante quali criteri dobbiamo distinguere gli ostacoli che è giusto o lecito roversciare?

Di fronte alla complessità di simili questioni è diventato urgente ripensare l’idea di limite, di cui si è in parte persa la piena consapevolezza – normale in altri tempi –, in modo da essere meglio in grado di definire l’estensione della nostra libertà e di calibrare la gittata dei nostri desideri. A questo scopo sarà utile conoscere i molteplici e concreti aspetti dei singoli limiti, riscoprirne, di volta in volta, le ragioni, stabilirne i criteri di rilevanza e compierne un’attenta mappatura.

– Estratto da “Limite”, Remo Bodei – ed. Il Mulino

Indice – I. I nostri limiti fisiologici [Esistono ancora confini invalicabili? – L’estensione dei sensi e la plasticità del cervello umano – Le biotecnologie come antidestino – Morte e longevità] – II. Natura e civiltà [Un confronto con il passato – Scoperte e utopie geografiche – L’idea di limite – Catastrofi e progressi – Ad ventura] – III. Imparare a distinguere [Limiti esistenziali – Frontiere politiche e globalizzazione – Misura e dismisura – Di fronte all’estremo – Vietato vietare?]

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Remo Bodei – (1938) – Laureato all’Università di Pisa, ha perfezionato la sua preparazione teorico-storico-filosofica a Tubinga e Friburgo, frequentando le lezioni di Ernst Bloch ed Eugen Fink; a Heidelberg, con Karl Löwith e Dieter Henrich; poi all’Università di Bochum. Ha inoltre conseguito il diploma di licenza e il diploma di perfezionamento della Scuola Normale Superiore.

È stato visiting professor presso le Università di Cambridge, Ottawa, New York, Toronto, Girona, Città del Messico, UCLA (Los Angeles) e ha tenuto conferenze in molte università europee, americane e australiane. Dal 2006 insegna filosofia alla UCLA di Los Angeles, dopo aver a lungo insegnato storia della filosofia ed estetica alla Scuola Normale Superiore e all’Università di Pisa dove tuttora tiene, saltuariamente, qualche corso. È membro dell’Advisory Board internazionale di IED – Istituto Europeo di Design. Dal 13 novembre 2015 Remo Bodei è socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei, per la classe di Scienze Morali, Storiche e Filosofiche.

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Vedi anche: “Noi, poveri post-umani, schiavi delle nuove libertà”

La musica e i suoi effetti neuro-psico-fisiologici, A. Tomatis (estratto da conferenza)

07 sabato Apr 2018

Posted by Paola in Evoluzione, Linguaggio, Neoscienze, Percezione

≈ Commenti disabilitati su La musica e i suoi effetti neuro-psico-fisiologici, A. Tomatis (estratto da conferenza)

La musica e i suoi effetti neuro-psico-fisiologici (estratto dalla relazione tenuta al XIII Congresso dell’ISME), Alfred Tomatis

 
Estratti
 
(…) Comunque la si veda, la musica comincia proprio dove si instaura il mistero, lasciandoci solamente intuire che il mondo sonoro è chiamato essenzialmente a tradurre, nella sua risposta esistenziale, il silenzio vibrante e cantante dell’inudibile sottostante, manifestazione incontestabile di una realtà inaccessibile ai nostri sensi. Come il visibile ci rivela l’invisibile che lo sottende e lo modella, la musica risponde al canto di un cosmo moventesi al ritmo di un’armonia, che si concede generosamente ad alcuni eletti incaricati di trasformare in suoni udibili i messaggi sonori che l’universo avrà consegnato loro.
 
Ma poi bisognerà rispettare alcune regole che rispondano alle esigenze di un sistema nervoso prima di tutto codificato dal suo induttore essenziale che si rivela essere, come si è visto, l’apparato uditivo. Tanto che potremo affermare che ogni essere sulla via di umanizzazione è un orecchio, cioè un’antenna all’auscultazione dell’ambiente nel quale è immerso. La musica rimane incontestabilmente il modo più affinato per mettere questo ambiente in risonanza.
 
Senza dubbio è a questo livello che sarà bene definire che cos’è la musica. Se il musicista, il teorico della materia, ci permettesse qualche incursione nel suo campo, sapremmo mormorare il più discretamente possibile per non meritare il timbro di eresia, che c’è prima la musica, poi le musiche, in seguito dei linguaggi sonori e infine delle esperienze acustiche.
 
La musica agisce attraverso i suoi effetti di armonizzazione interiore, cioè attraverso l’utilizzazione di modalità primitive. In questo, d’altronde, essa mi sembra essere “essenziale”. Essa suscita e risveglia, fino a renderle in qualche maniera tangibili, le modulazioni proprie del sistema simpatico.
 
Le musiche, in secondo grado, sono le strutture sonore che sanno aggiungere a queste modalità di base i ritmi della vita esteriore, introdotti questi stessi dalla società e dalla cultura, che vanno dal gesto fino al linguaggio, e che riguardano in realtà tutta la gestualità. Si riconoscono come primi generatori di quelle musiche gli elementi folkloristici.
 
I linguaggi sonori che si inseriscono di seguito fanno rivivere concretamente gli stati emozionali, introducendo nello stesso tempo le sonorità evocative di accenti percepiti ed engrammati nei nuclei affettivi centroencefalici che presiedono alla vita neurovegetativa, ed i ritmi che trascinano il corpo fuori dalle codifiche normalizzate anteriormente. Ne deriva una struttura narrativa, a semiologia sonora, che si esprime sul corpo in tutta la sua dinamica esterna ed interna.
 
Infine, esistono delle esperienze acustiche. È facile cogliere il livello che bisogna raggiungere per comprenderle, al di fuori di ogni concezione di ascolto. Esse hanno il merito di introdurre nel mondo sonoro oggetti acustici nuovi. Questi ultimi dovranno a loro volta, per essere trascritti in memorizzazione corporea, rispondere ai fattori intrinseci del sistema nervoso: senza ciò, quale che sia la bellezza che rappresentano per l’autore, non avranno nessuna possibilità di poter essere integrati in un’universalità neuronale.
 
Questa incursione nel mondo sonoro ci permette di pensare che è necessario distinguere bene le diverse espressioni musicali e di determinarne gli effetti neuro-psico-fisiologici. È a questo livello che la nostra specialità, l’audio-psico-fonologia, interviene in maniera determinante con l’intento di isolare e in tal modo di comprendere meglio gli effetti dei suoni e più espressamente della musica sull’organismo umano.
 
L’azione dinamogenica dell’orecchio è messa in risalto grazie a dei  montaggi elettronici in grado di suscitare la postura d’ascolto, privilegiando i suoni che si collocano in un volume sonoro la cui forma e densità rispondono alle norme delle cellule dell’organo di Corti. La musica (una certa musica) interviene allora in seno ad una programmazione sonica che tiene conto dei processi evolutivi che, dopo la vita intrauterina, devono portare l’orecchio verso l’ascolto, e più precisamente verso l’ascolto del linguaggio. Una base neuronale si rivela indispensabile per collocare le serie di onde di impulso chiamate a veicolare ulteriormente le informazioni  semantiche. Questa programmazione primordiale, fondamentale, vettore essenziale di una integrazione acustica armoniosa distribuita nell’insieme del sistema nervoso e in tal modo in tutto il soma, permetterà di introdurre le posture, in particolare la verticalità, di distribuire in modo omogeneo la tonicità su tutto il corpo messo all’ascolto, di modellarlo, insomma, perché divenga un’antenna recettrice vibrante all’unisono con la sorgente sonora, sia essa musicale o linguistica.
 
Per essere più concreti, propongo di indicare in poche righe come procediamo in materia di pedagogia dell’ascolto. Con l’aiuto dei montaggi elettronici facciamo rivivere il periodo uditivo intrauterino, principalmente a partire dalla voce della madre che è stata registrata e poi filtrata oltre gli 8000 Hz, con l’intento di togliere ogni informazione semantica e di restituire solo la carica affettiva che verrà a suscitare, accelerare o ridare al soggetto il desiderio di comunicare, il desiderio di vivere. È attraverso apparecchiature che utilizzano bascule elettroniche, le quali fanno sì che l’orecchio si adatti all’ascolto, che questi messaggi sono trasmessi.
 
(…)
 
Perché Mozart, perché il gregoriano, perché le filastrocche? Ci sarebbe molto da dire su queste differenti scelte. Resta soprattutto da constatare che, su decine di migliaia di casi (patologici e normali), le reazioni neuro-psico-fisiologiche hanno largamente superato i risultati già raggiunti dalle tecniche utilizzate abitualmente. Per Mozart, come ho già indicato, sono più efficaci i pezzi per violino (contenenti dunque numerose sequenze ricche di suoni acuti). Quanto al gregoriano, le modulazioni del tipo di “Solesmes” stabilite da Don Gajard costituiscono elementi di scelta. In effetti, il repertorio trasmesso da questo infaticabile e geniale ricercatore detiene un’universalità ed un’efficacia pedagogica e terapeutica incontestabile. Al contrario della musica di Mozart, il gregoriano tranquillizza, calma il cuore e la respirazione nello stesso tempo in cui sollecita la verticalità, agendo elettivamente sugli estensori.
 
Per i bambini, contemporaneamente ai due elementi sonori precedentemente ricordati, facciamo mettere delle filastrocche dell’etnia alla quale appartiene il bambino. Questo è molto importante e ci rivela a quale punto queste canzoni per bambini, che hanno attraversato i secoli, costituiscono le basi stesse della lingua che sarà utilizzata più tardi come mezzo di comunicazione. Esse contengono gli elementi strutturanti folklorici del futuro linguaggio. Le filastrocche tedesche o spagnole, ad esempio, non possono essere in nessun caso applicate all’educazione o alla rieducazione dei bambini francesi.
 
I ritmi di base corrispondenti a dei codici neuronali differenti restano specifici di ogni etnia. E persino in seno alla stessa lingua (la francofonia, ad esempio) le filastrocche costituiscono elementi particolari, non potendo essere utilizzate da un paese all’altro. Peraltro, per i bambini che presentano disturbi profondi della personalità (autismo, schizofrenia…) somministriamo prima di tutto filastrocche su dei la-la-la senza valore semantico, al fine di non proiettare il bambino in una dinamica linguistica che finora ha rifiutato. I ritmi che le filastrocche contengono lo vanno a preparare ad accettare progressivamente il linguaggio con i suoi influssi psico-affettivi suscettibili di trasformare il suo universo relazionale.
 
Perciò, dopo questa minuziosa preparazione, il sistema nervoso, ridiventato rete integratrice libera e liberata, sarà capace di ricevere il montaggio linguistico di cui il bambino o l’adulto si potranno servire al fine di una completa comunicazione con il loro ambiente. I processi di integrazione e di apprendimento saranno in tal modo riattivati e permetteranno al soggetto di beneficiare di tutte le sue potenzialità.
 
(…)
 
Ora è tempo di concludere. Che cosa possiamo ricordare di questa lunga esposizione centrata su dati scientifici, che sembrano a volte molto lontani dalla stessa musica nella sua potenza creatrice? Mi si perdoni questo approccio alquanto noioso e fin troppo specialistico, ma mi sia concesso, per terminare, di rivolgermi al musicista affrontando con esso la nozione della sua responsabilità.
 
Capace di risuonare agli accenti di una misteriosa induzione, egli – per la scelta delle composizioni che esegue, per il modo in cui egli fa uso della sua arte, per la finezza con la quale prepara le sue modulazioni – deve poter comunicare intimamente con colui che si trova all’altra estremità della catena e il cui corpo tutto intero rimane all’ascolto di questo vibrante messaggio. Il suo dono di creatività gli è offerto perché egli metta al servizio dell’altro questa manna che gli è stata così generosamente dispensata. Egli deve prendere coscienza del ruolo fondamentale che è chiamato ad interpretare rispetto ad ogni essere umano per condurlo verso la sua realtà linguistica.
 
La musica, in effetti, costituisce il modo migliore di preparare le vie sulle quali si instaurerà il linguaggio. Essa è, nella sua essenza, questa vibrazione originaria che mette in risonanza il sistema nervoso umano, substrato di tutti i meccanismi chiamati ad attivare il corpo e l’anima. Con le sue modulazioni può aiutare a modellare l’essere umano nelle sue componenti fisiche, mentali e spirituali. Con i suoi accenti può liberare dalle sue pastoie colui che si trova rinchiuso nelle reti che avrà tessuto l’esistenza. Essa è il fondamento del canto che salmodia la liberazione dell’essere in preda all’angoscia di vivere. Essa è un dono gratuito, stranamente e meravigliosamente offerto perché l’uomo si elevi fino alla sua autentica condizione umana.
 
La musica detiene così un carattere universale messo al servizio di tutti. E il musicista deve costantemente tenere presente che non compone o esegue musica per lui solo né per piacere essenzialmente ad una cerchia di iniziati, una specie di assemblea privilegiata riunita attorno ad una medesima cultura. Esso è là per dispensare a tutti questo dono musicale che ha così generosamente ricevuto, anche oltre le dimensioni umane. Questo dimostra quanto sia grande la sua responsabilità, quanto i suoi poteri siano estesi. E niente deve permettergli di abusarne e di creare in tutta libertà dei montaggi sonori che trasgrediscano le leggi dell’armonia, quelle che regolano il cammino del mondo e costituiscono la base stessa delle reazioni neurofisiologiche di ogni essere umano. Con la sua azione, con la sua vigilanza, con le sue lotte e i suoi combattimenti egli deve rimanere attento a queste leggi, in cui l’universalità resta il criterio strutturante neurologico per eccellenza.
 
Faccio naturalmente allusione a queste composizioni aberranti che sono delle vere e proprie droghe sonore, destinate ad asservire generazioni di giovani, distruggendo il loro sistema nervoso in modo a volte definitivo. L’appello che lancio ai musicisti del nostro tempo, evocando la potenza e i pericoli dell’emissione creatrice, non deve far dimenticare che bisogna rivolgersi ad uno specialista incaricato di assicurare la qualità di ricezione del messaggio musicale a livello del sistema nervoso destinato a percepirlo. Così come non serve a niente presentare quadri d’autore a dei bambini privati della vista o non desiderosi di vedere e ancora meno di guardare, è altrettanto inutile inondare le orecchie dei bambini con una musica di cui si conosce tutta la bellezza e di cui si apprezza l’insondabile ricchezza, se questi giovani presunti uditori sono sprovvisti di un autentico ascolto.
 
Al momento attuale è in nostro potere, lo ricordo, non solo misurare le potenzialità d’ascolto ma anche di modificarle per aumentarne l’efficacia. Tanto che è possibile, prima di accordare gli strumenti quando ci si accinge a suonarli, accordare i nostri orecchi al fine di beneficiare, oltre al ristabilito desiderio di udire, della facoltà di integrare, di imbeversi di questo messaggio fino ad incarnarlo.
 
Ho molto insistito sulla necessità di conoscere e di misurare gli effetti della musica sull’organismo umano, per poter cogliere meglio la portata che può avere ogni composizione musicale, che la si collochi da un punto di vista educativo e culturale o che la si indirizzi a dei criteri terapeutici. Mi sarà gradito terminare questa conferenza esprimendo un desiderio: quello di vedere, in seno all’ISME, costituirsi gruppi di ricerca destinati a studiare in profondità i problemi inerenti agli orientamenti di ordine psicologico e psicanalitico che assumono alcuni specialisti aperti ad indagini fondamentali in materia di neurologia e neurofisiologia. Queste équipes, lavorando in collaborazione con coloro per i quali la preoccupazione resta e deve restare quella di creare e produrre musica, permetteranno così di raccogliere, in questo enorme serbatoio umano che è il mondo d’oggi, le energie necessarie alla creazione di ampi mezzi educativi e terapeutici, riservati fino ad ora ad alcune élites a malapena consapevoli di ciò che possiedono. (…)
 
——–
Articolo completo: La musica e i suoi effetti psico-neuro-fisiologici
Siti web: www.tomatis-italia.ovh/ e www.tomatis.com
 
Alfred Tomatis (1920-2001) era medico otorinolaringoiatra e ha dedicato la sua vita a studiare gli stretti legami tra voce, cervello e orecchio. Il suo lavoro ha avuto un impatto rivoluzionario per capire come l’individuo comunica con sé stesso e gli altri. Pioniere nel campo delle scienze cognitive, Alfred Tomatis ha lasciato un segno indelebile sia per le sue scoperte sia per la sua straordinaria personalità. Oggi misuriamo l’entità della sua eredità alla luce delle recenti ricerche sulla plasticità del cervello.
 

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