ombra-della-seraElementi di divinazione, Paola

Se volete sapere dove vi trovate, domandatelo ai non-locali. 

–  M. Talbot, Tutto è Uno

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Con questo scritto mi piacerebbe portare un contributo per ravvivare l’arte della divinazione soprattutto a livello personale, perché penso che mai come in questi tempi frettolosi, tecnologici e quasi insensibili alle pause, all’osservazione e alle sfumature, questa pratica possa ricollegarci a noi stessi e alla nostra realtà personale. Conoscere ciò che non si sa o non si comprende è da sempre uguale, le mantiche e gli strumenti per raggiungerlo sono da sempre diversi. Non è mia intenzione entrare nello specifico dei tipi di mantica, poiché la scelta dipende dalle inclinazioni personali e dal contesto culturale; piuttosto, vorrei soffermarmi su alcuni elementi comuni e un’esperienza personale di metodo, consapevole che l’argomento ha spazi di esplorazione ben più vasti.

La divinazione è una pratica che accompagna l’uomo fin da quando ha cominciato a riflettere su di sé e sul suo rapporto con i suoi simili, il suo ambiente e le forze misteriose alle quali si vedeva soggetto. Oggi l’uomo moderno con fatica accetta l’idea di qualcosa di più vasto in cui è inserito e di cui fa parte, o che sia oltre la sua comprensione. Dopo secoli di visione meccanicistica del mondo, alcuni scienziati stanno ora proponendoci la teoria dell’Intelligent Design (letteralmente, Progetto Intelligente), secondo la quale: «alcune caratteristiche dell’universo e delle cose viventi sono spiegabili meglio attraverso una causa intelligente, e non attraverso un processo non pilotato come la selezione naturale» [Wikipedia].

INTRODUZIONE

La divinazione può apparire a prima vista un intrico oscuro e incerto, e magari incutere un certo timore. Se i giochi divinatori dimostrano un’affidabilità di vario grado, ciò dipende dai giocatori e non certo dagli strumenti, che di per sé sono neutri come le lettere dell’alfabeto che possono trasmettere ispirazione o menzogna, secondo chi le adopera.

Nella pratica divinatoria ci sono tre personaggi e una scena, tutti sullo stesso piano e interconnessi, dove la debolezza o la forza dell’uno pregiudica o esalta gli altri: consultante – mantica – divinante (che può coincidere con il consultante) e una scena predisposta secondo set, setting e mindset. Questi ultimi sono termini nello studio sulle esperienze negli stati di coscienza espansi, e mi sembrano pertinenti anche in questa sede, in quanto la divinazione prevede uno stato di coscienza diverso da quello della comune attività di veglia. Oltre a questi elementi, la sfera che – secondo me – racchiude scena e partecipanti è una sorta di sacralità (non superstizione) poiché la divinazione, come chiaramente lascia intendere il termine, riconosce e si affida alla presenza di un “divino”, di qualcosa che trascende gli aspetti terreni, l’apparenza degli eventi, la personalità e le conoscenze intellettuali.

SET – SETTING – MIND-SET

In questo contesto, il set sono le caratteristiche della persona: tutto il suo mondo interiore, la conoscenza o non conoscenza, l’esperienza o non esperienza, lo stato di salute, le credenze, le aspettative, le paure, le dipendenze; in breve, il suo bagaglio mentale ed emotivo.

Il setting è il luogo dove si svolge la pratica e il suo allestimento, quindi ciò che è esterno: l’ambiente con le sue caratteristiche di luci, musiche, profumi, decorazioni, oggetti, l’abbigliamento, la postura e quant’altro.

Il mind-set è l’atteggiamento mentale, l’intento o l’intenzione con cui ci si appresta all’opera.

Il set è certamente cruciale per colui che divina, che deve leggere i segni che arrivano dalla sfera della divinità. Nell’antichità la divinazione era appannaggio di persone distaccate dalla mondanità e quasi esclusivamente dedite al servizio divino nei templi, o che vivevano una vita a volte austera, altre volte isolata. In ogni cultura tali persone vivevano ai margini della società, in esilio dal mondo.

Tuttavia, il set non è meno importante per il richiedente, perché il suo desiderio di conoscere, la passione o la necessità che lo lega alla domanda sono indicatori di uno stato di coscienza. Anticamente, chi cercava risposte vitali affrontava molti disagi, percorrendo grandi distanze, soggiornando e purificandosi a lungo prima di poter accedere al contatto con la divinità o il divinante.

Anche oggi, la preparazione è requisito fondamentale: in primis per chiedere ed entrare in contatto con il divino, e successivamente per ricevere/comprendere/interpretare la visione/risposta.

Il setting può svolgere un ruolo di rilievo nell’espansione della coscienza. Per qualcuno si tratta di seguire rituali consolidati, altri si preparano e preparano il luogo secondo criteri personali dati da esperienze precedenti o intuizioni. Il setting è generalmente predisposto dal divinante al fine di fornire un ambiente che aiuti a creare/entrare in una diversa dimensione spaziale e temporale.

In questo elemento, ciascuno deve essere consapevole della natura dei suoi allestimenti, poiché questi dovrebbero servire ad espandere la percezione e non a confinarla o condizionarla in costrutti predefiniti, in una sorta di auto-suggestione o superstizione: il divino non può manifestarsi là dove tutto lo spazio è occupato da convinzioni, preconcetti, aspettative e orgoglio personali. Se una persona si conosce, sa che ciò che per qualcuno va bene potrebbe non essere opportuno per sé. Per esempio, io mi riconosco come una persona piuttosto impressionabile, per cui il mio setting è il più possibile neutro.

Inoltre, il setting coinvolge anche il consultante, quindi anche la sua apertura sia a esprimersi che a ricevere. Non sempre ciò che aiuta il divinante è altrettanto utile per il consultante. La divinazione è un’arte ispirata oltre che una pratica, e come ogni ispirazione segue flussi che spesso la razionalità non può seguire.

Il mind-set è, come detto, l’atteggiamento mentale, l’intenzione o l’attenzione con cui si opera. È, quindi, anche la domanda. Entrare nello stato di divinazione è entrare in uno stato alterato di coscienza, diversamente si rimarrebbe nello stato comune di veglia e razionalità e ciò che sembra “arrivare” in realtà “non arriva”, ma è un prodotto della propria mente razionale che, pur capace di dare buoni consigli, nella divinazione deve tacere per accogliere il non-limitato e il non-razionale, che non significa irrazionale.

Il mind-set è simile a un’antenna o a un telescopio che necessitano di sintonizzazione o direzione per catturare ciò che cercano. Può anche essere paragonato a un magnete che attrae solo ciò che attrae. Nel corso del tempo il significato di “divinazione” è andato abbassandosi di frequenza per adattarsi a differenti stati di coscienza, a differenti mondi di realtà, di intervento e risposte. Divino è un aggettivo il cui sostantivo risponde a varie concetti intellettuali e, pertanto, non è un termine di chiaro o univoco intendimento. Come diceva Tolstoj: “Un’idea di Dio non è Dio.

Nella divinazione, entrando in una dimensione dove tempo e spazio non esistono, spariscono limiti, convenzioni, riferimenti e conoscenze razionali e tutto può comparire insieme. Questo “tutto” può apparire confuso, confondente o evanescente se il mind-set non è il più possibile cristallino e immacolato. Questo non perché la “risposta” sia di per sé confusa o vaga, ma perché la lente attraverso cui si guarda è opaca o distorcente: in quei piani o dimensioni, divinante/consultante, la loro coscienza e le loro lenti coincidono con la visione stessa.

INFORMAZIONI

In Wikipedia, sotto la voce divinazione sono elencate esattamente 100 mantiche (e probabilmente ce ne saranno altre ancora) dalle più note a quelle più impensabili che pure, da quel che si legge, non solo sono state pensate ma anche esercitate. Ciò ben illustra non solo il desiderio di conoscere ciò che è nascosto – che è sempre presente nell’umanità senza differenze di tempo, luogo e cultura, ma anche come l’uomo creda e abbia sempre creduto di poterlo sapere. Quindi, ecco che la presenza di strumenti di ogni specie in grado di dare risposte a domande sia pratiche che esistenziali ci potrebbe portare a riflettere sulle implicazioni della teoria dell’ordine implicato di Bohm per cui: “ … nell’universo esisterebbe un ordine implicato che non vediamo, e che Bohm paragona a un ologramma nel quale la sua struttura complessiva è identificabile in quella di ogni sua singola parte” [Wikipedia].

Dove si trovano le informazioni desiderate, quelle che preconizzano il futuro, illuminano il passato o mostrano ciò che è nascosto? Chi lo può dire con certezza? Nell’antichità si parlava di mondo degli dei, delle idee, di mondi angelici, spiriti e così via; con la psicologia sono nate nuove espressioni come inconscio personale, inconscio collettivo, mondo degli archetipi; con la moderna fisica si parla di energia, non-località, energia del punto zero. E dove si trovano queste dimensioni, essendo oltre la sfera della fisica conosciuta? Dentro, fuori, dappertutto o da nessuna parte? A prescindere da come ipotizziamo la sede delle informazioni, queste ultime esistono e possono essere trasferite da una dimensione sconosciuta a una ritenuta conosciuta.

Sempre tenendo a mente che set, setting e mind-set agiscono in collettivo, l’informazione è leggermente più responsiva al mind-set. In questo caso si può paragonare il mind-set a un missile dotato di un sistema d’inseguimento e intercettazione, ma dato che caratteristica di questo “dove” sembra essere l’assenza di tempo e spazio, non c’è alcuna distanza da percorrere e il bersaglio è colpito nel momento stesso in cui si preme il pulsante di lancio. Quindi non c’è nessun manuale di fisica da studiare, ma solo essere estremamente precisi, limpidi e distaccati; quindi, liberare la mente da secondi fini, mezze parole, mezze verità, illusioni, speranze, fantasie, giudizi, buone intenzioni e quant’altro circola in un cervello confuso e in un cuore turbato; ogni interferenza mentale ed emotiva influisce sulla chiarezza della visione.

La domanda, quindi, catalizza e precipita la risposta. Aver ben delineato i termini di ciò che si vuole conoscere è una condizione iniziale importante.

LINGUAGGIO

Il dio, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica” [Eraclito]. Quale che sia per noi questo “dio” a cui attingere nella divinazione, parla una lingua diversa da quella ordinaria. Per entrare nella dimensione più profonda, efficace e guaritrice di una divinazione bisogna imparare a conoscerne la lingua.

Ogni mantica ha un suo linguaggio che va acquisito, interiorizzato ed esercitato, e non solo strettamente in sede di consulto. Addentrarsi nella pratica della divinazione significa instaurare una comunicazione costante con l’invisibile perché, al di là del momento in cui si sceglie di entrare nella procedura, la comunicazione è sempre in continuo scambio e interazione, dove ogni attimo precedente divina il successivo. Le mantiche mostrano le dinamiche, e – a un certo livello – non rappresentano persone ed eventi, ma momenti e movimenti coscienziali travestiti da persone ed eventi.

Ci sono diversi tipi di linguaggio, alcuni utilizzano supporti esterni come, per esempio, i Tarocchi, l’I Ching, le Rune, ecc., che hanno in sé codificati simboli e significati secondo una lunga tradizione; poi ci sono pratiche che si servono degli stati espansi di coscienza della persona: di tipo naturale come l’oniromantica e il viaggio sciamanico, oppure indotti attraverso condizioni di privazione o con l’uso di sostanze enteogene. [Poiché qui si parla di divinazione, trovo l’aggettivo “enteogeno” più appropriato di psicotropo o allucinogeno, perché dal greco entheos-genesthai, dove en=dentro, theos=dio e genesthai=generare, quindi “ciò che genera Dio (o l’ispirazione divina) nella persona.] Inoltre, parallelamente a ogni pratica umana, la comunicazione divina si serve anche degli elementi ambientali (sincronicità, fenomeni naturali, ecc.).

Al di là della tecnica utilizzata, il linguaggio dell’esperienza divinatoria assume nel tempo carattere individuale e personale. Come si sa, il comune linguaggio è una struttura convenzionale limitata alla comunicazione in certi ambiti di esperienza, per lo più fenomenica e materiale, che assolve l’esigenza primaria di relazione tra umani. Nella divinazione, sia con l’utilizzo di strumenti che per auto-induzione e comunicazione ambientale, compare la necessità di tradurre immagini, simboli, visioni e altri tipi di percezione in una risposta intellegibile e coerente. Poiché, come dice Eraclito, il dio non dice ma indica (o accenna, secondo altra traduzione) consegue che questo divino lascia ampio margine di interpretazione all’uomo; così, a mio parere, non è il dio ma l’uomo che gestisce la risposta, verbalizzata secondo la sua sensibilità e capacità di intendere e tradurre.

Per quanto sopra, essendo il linguaggio del divino (dell’inconscio collettivo o del non-locale, che dir si voglia) non strutturato e tanto meno limitato a una lingua o a immagini standardizzate, ritengo che sia compito di chi vuole avvicinarsi all’arte divinatoria acquisire il più ampio vocabolario possibile esercitandosi in più mantiche e di diverso genere, perché a volte limitarsi a una sola lingua è condizionare a una manciata di termini la traduzione di un flusso che proviene dal magazzino dell’universo intero e delle esperienze di tutta l’umanità nel corso di molti millenni.

Considero, inoltre, buona cosa avere strumenti diversi in funzione della domanda o della dimensione cui ci si rivolge, perché alcune mantiche possono sembrare più consone a responsi di ordine pratico e altre a responsi di ordine più esistenziale o impersonale.

FEEDBACK

La divinazione è un’arte e una scienza, e la loro padronanza prevede studio, esercizio e verifica. È un’arte che opera con l’invisibile e questo invisibile non è un semplice “visibile che non si vede” ma qualcosa che ha leggi diverse, modalità diverse, realizzazioni diverse, intendimenti diversi. Quindi non può essere avvicinato con meccanicità e stereotipi ma con sensibilità, calma e apertura. Spesso l’accesso avviene non per visione centrale ma periferica, così come le stupende ma fioche Pleiadi si colgono meglio con la coda dell’occhio fissando le stelle più brillanti intorno. Le risposte sono sempre e ovunque presenti ma celate, come nella nube confusa di uno stereogramma. Talvolta basta che lo sguardo sia diversamente a fuoco ed ecco che miracolosamente compaiono, ad ogni livello di manifestazione.

Ciò che si definisce spirituale ha delle “dinamiche” che non sono limitate alle abitudini e alle aspettative della personalità, per cui divinante/consultante dovrebbero approcciarsi aperti a ricevere anche risposte che potrebbero apparire in un primo momento non chiare, contrarie alle regole o illogiche, o anche scontate… Una volta che si ha l’immagine, la visione o l’indicazione, non sempre si è in grado di capirla chiaramente o correttamente; alcune volte è necessario astenersi e lasciare a quel “divino cenno” tempo e spazio per manifestarsi con più consistenza e chiarezza. L’ansia da prestazione di aver capito tutto subito e attribuire immediata certezza a ogni affermazione è un imperativo dei tempi moderni a cui non si deve cedere. Nella divinazione i tempi sono altri, sono i tempi della coscienza e non degli eventi; talvolta una risposta non è “la riposta ricevuta”, ma un moto iniziale o un seme che, lasciato libero, si sviluppa in qualcosa d’imprevisto che meglio corrisponderà alla necessità.

Riguardo alla visione o al responso, poche volte ho incontrato chi dopo una divinazione attende una conferma sul piano oggettivo; la maggior parte dei divinanti e dei consultanti si limita ad accettare piuttosto acriticamente, come se il divino si offendesse ad essere messo in dubbio.

Personalmente, prima di dare credibilità a una percezione, visione o lettura, soprattutto se suscita perplessità o dubbio o indica un’azione drastica, attendo (o faccio attendere al richiedente) un feedback o conferma attraverso il sogno, la sincronicità o l’ambiente esterno entro un periodo di tempo che, per quanto mi riguarda, ho stabilito di 24 ore. Se entro tale termine non si riceve il feedback, quell’interpretazione è sospesa.

Mente e percezione non sono facili da tenere limpide e distaccate, specialmente se la divinazione viene fatta per se stessi. Chiedere il feedback significa anche uscire dalla presunzione di infallibilità riguardo la propria interpretazione, ciò che si visualizza o passa per la testa; è un atto di umiltà e fiducia permettere al divino di manifestarsi anche con altri mezzi e lasciare ad esso l’ultima parola.

La teoria che sta dietro a questa modalità è che se qualcosa è veramente “vero/reale” deve rivelarsi tale su tutti i piani, quindi anche sul piano ordinario e non solo quello raggiunto in stato alterato. Questo risponde al paradigma olografico, dove nella parte c’è il tutto – e se una parte proviene da un “intero”, ogni altra e diversa parte di quell’intero lo rivelerà allo stesso modo. Parafrasando il Mahabharata: “Ciò che c’è qui lo si può trovare anche altrove; ma ciò che qui non si trova, non esiste in nessun luogo.” Questo il motivo per cui – sempre a parer mio – è importante riconoscere che la comunicazione può essere confermata attraverso molti messaggeri, e che spesso è bene avere più di una testimonianza prima di dar credito e procedere. È quasi incredibile come le conferme arrivino tempestive e tramite i più disparati ignari emissari.

REALTA’ PERSONALE

Alla divinazione si oppone spesso la “realtà” della validità delle risposte. Cosa significa “realtà” è una questione dibattuta e infinita, per cui – in questo contesto in modo particolare – per me la realtà è una realtà personale.

Se abbiamo un problema, lo abbiamo nella nostra realtà. Delle persone che ci circondano abbiamo immagini mentali che riflettono la nostra relazione con loro, gli avvenimenti che ci accadono sono quelli che ci toccano direttamente. Così, nella divinazione, le domande sono sempre personali e hanno risposte personali. Chiedere per altri è inutile, perché la risposta che si può ottenere non è diretta all’“altro”, ma al richiedente. Ho notato che c’è come una sorta di legge sulla privacy. Quando da giovane facevo ingenue domande sulle faccende altrui, le risposte ottenute non avevano mai riscontro reale. Ho capito, quindi, che ciascuno di noi attinge esclusivamente al proprio magazzino di esistenza passata e futura perché ha il suo proprio viaggio di andata e ritorno. Sono del parere che l’immensità della sfera individuale sia proprietà privata: solo l’interessato è autorizzato ad accedervi. Diversamente, la considero un’intrusione non autorizzata.

La divinazione ha senso per coloro che sentono il divino partecipe della loro vita e loro stessi partecipi di una vita divina. Se questo divino sia inteso secondo un ideale religioso, psicologico o scientifico è – secondo me – ininfluente. Entrare nella pratica della divinazione significa riconoscere che la manifestazione origina da una sede apparentemente diversa da quella che definiamo realtà oggettiva. Non ritengo importante sapere dove sia e darle un nome, ma lo è arrivare a cogliere quelle informazioni mancanti che danno a certi aspetti della nostra vita un senso o una direzione quando non riusciamo a trovarli con la mente razionale. A volte non si tratta di capire e nemmeno di credere, si tratta semplicemente di agire.

CONCLUSIONE

La divinazione è sia un fine che un mezzo per acquisire conoscenza ed esperienza di noi stessi e di una realtà ampliata. Tutti i nomi che possono venir dati a dimensioni che sconfinano dalla realtà consensuale sono semplici modelli di comunicazione, il loro valore non consiste nell’idea della loro esistenza e descrizione ma nella plasticità con cui si manifestano in tempo, spazio, materia e, di conseguenza, coscienza. Nel momento in cui si entra in un vero stato di divinazione, in una dimensione espansa e impredicibile, si è in un eterno presente a contatto con le energie indifferenziate della creazione, pronte a modellarsi alla richiesta.

Il valore di una divinazione non sta nella bontà o nel conforto di un responso che ci solleva dal nostro stato, ma nella possibilità di osservare un quadro più ampio così da acquisire quell’ulteriore conoscenza che aiuta a prendere una decisione personale e autonoma assumendocene la responsabilità.

La divinazione può essere praticata per diversi fini, dalle urgenze legate alla sopravvivenza e alla soddisfazione materiale ed emozionale, a quelle della ricerca di uno scopo o del significato degli accadimenti, fino ad arrivare all’esperienza di una dimensione collegata a quella terrena unicamente dal filo sottile della vita che tutto pervade.

L’affinamento nella pratica della divinazione risponde all’affinamento del nostro stato di coscienza, per cui vorrei concludere con A. Huxley: “Ciò che percepiamo e ciò che comprendiamo dipendono da ciò che noi siamo.” —

Estendere i confini, 6

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Nota

Michael Talbot, Tutto è uno (The Holographic Universe) – Urra/Feltrinelli