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Archivi Mensili: agosto 2016

La tecnologia dell’intelligenza universale, Ray Kurzweil

08 lunedì Ago 2016

Posted by Paola in Inserimenti, Neoscienze, Società

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Ray KurzweilLa tecnologia dell’intelligenza universale, Ray Kurzweil

Intervista di Melissa Hoffman (2008)

Ray Kurzweil, scienziato informatico, inventore, imprenditore di successo e scrittore, è uno dei più importanti futurologi degli Stati Uniti. Nominato Presidente onorario per l’innovazione alla Conferenza della Casa Bianca sulla piccola impresa nel 1986, è l’inventore, tra l’altro, della prima macchina per leggere per i non vedenti e, attraverso una collaborazione con Stevie Wonder, del primo sintetizzatore musicale in grado di ricreare il suono di un pianoforte a coda.

Nel 1999 è stato insignito della Medaglia Nazionale per la Tecnologia – l’onorificenza più elevata in questo settore – dal Presidente Clinton. Inoltre, ha ottenuto plauso internazionale con il libro The Age of Spiritual Machines: When Computers Exceed Human Intelligence, oggi tradotto in nove lingue.

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Melissa Hoffman: La specie umana sta vivendo cambiamenti senza precedenti in quasi ogni campo – tecnologico, ecologico, sociale e politico – e tutto ciò sta avvenendo a scala globale. Dal tuo punto di vista di futurologo, inventore e imprenditore, puoi descrivere quali mutamenti sono in atto, secondo te, e quali si verificheranno nel futuro?

Ray Kurzweil: Il cambiamento più importante che la mia attività di inventore mi ha portato a scoprire è il fatto che la velocità dei cambiamenti sta aumentando. Secoli fa, la gente pensava che nulla dovesse mai cambiare; le persone si aspettavano che i nipoti facessero la stessa vita dei nonni, e queste aspettative venivano quasi sempre confermate. All’alba della rivoluzione industriale, due secoli fa, tutto ciò è cominciato a cambiare. Ma oggi la gente pensa ancora che il tasso dei cambiamenti sia costante. In realtà, non lo è.

Vedi, l’evoluzione funziona per vie indirette. Crea alcune risorse, e le usa per generare lo stadio successivo. Ecco perché la sua velocità sta aumentando. I cambiamenti, di fatto, sono in crescita esponenziale, e secondo i miei calcoli, a ogni decennio stiamo raddoppiando il tasso di sviluppo.

Ciò vuol dire che il ventesimo secolo equivale a venti anni di cambiamenti all’attuale tasso; nei prossimi venti anni compiremo cinque volte lo sviluppo del ventesimo secolo. Nel ventunesimo secolo faremo ventimila anni di sviluppo, ovvero avremo progressi tecnologici mille volte più grandi di quelli visti nel ventesimo secolo. Il cambiamento esponenziale è qualcosa di veramente esplosivo.

Melissa Hoffman: Senza alcun dubbio.

Ray Kurzweil: E posso dirti con certezza che pochissimi futurologi, quando pensano o parlano del futuro, prendono in considerazione questo fatto. Esso fa una profonda differenza. Tra cinquanta anni il mondo sarà completamente diverso; tra cento anni sarà inconcepibilmente diverso da adesso. Ma quando i futurologi pensano ai prossimi cinquanta anni, si chiedono: “OK, a quali tipi di cambiamento abbiamo assistito negli ultimi cinquanta anni?”. Su questo basano le previsioni per i prossimi cinquanta anni. Ma nei prossimi cinquanta anni vedremo un numero di cambiamenti trenta volte più grande di quello degli ultimi cinquanta anni, a causa della crescita esponenziale. È impossibile sottolineare abbastanza l’importanza di questo fatto.

Per esempio, quando è stato annunciato per la prima volta il Progetto Genoma Umano, quindici anni fa, molti commentatori autorevoli hanno detto: “È impossibile riuscire a sequenziare il genoma umano in quindici anni. Usando le attrezzature più avanzate, l’anno scorso siamo riusciti a fare solo un millesimo del progetto”. E questo è stato quindici anni fa. Ma la velocità di sequenziazione del DNA è raddoppiata di anno in anno e, fatto interessante, la maggior parte del lavoro è stata fatta negli ultimi diciotto mesi del progetto.

Mettendo insieme tutte queste tendenze, si hanno delle implicazioni notevoli. Una delle più importanti è che entro venticinque anni avremo completato il “reverse engineering” del cervello umano, il che vuol dire che avremo compreso i suoi principi operativi in modo dettagliato, e saremo in grado di simulare meccanicamente il suo funzionamento. Adesso siamo nelle prime fasi, all’incirca come ci trovavamo con il progetto genoma dodici anni fa.

Quindi, tra circa venticinque anni avremo minuscoli computer, dal costo di pochi dollari, in grado di emulare le funzioni del cervello, e sapremo inserirli nel corpo umano senza chirurgia, in modo non invasivo. Oggi, per esempio, ci sono già stati quattro convegni su quelli che vengono chiamati “bioMEMS”, cioè i Sistemi meccanici microelettronici biologici. Essi sono piccoli robot, grandi quanto i globuli umani, che vengono immessi nel nostro flusso sanguigno. Uno scienziato ha curato il diabete di tipo uno nei topi iniettando nel loro sangue dei congegni in grado di secernere insulina e bloccare gli anticorpi.

Se facciamo le proiezioni al 2030, quando tutte queste tendenze di cui ho parlato saranno giunte a maturazione, saremo in grado di mettere nel nostro sangue miliardi e miliardi di questi nanobot cellulari. Essi saranno in grado di comunicare tra loro e con Internet (che allora sarà diffusa ovunque) attraverso una rete locale senza fili. Ma la cosa più importante sarà che essi potranno comunicare in modo non invasivo con i nostri neuroni biologici. Di fatto, la comunicazione tra l’elettronica e i neuroni è già stata dimostrata.

Dunque, tutte queste sono indicazioni sulla direzione in cui riusciremo a espandere l’intelligenza umana, che è, per me, il cambiamento più importante.

Melissa Hoffman: Quello che hai descritto finora sembra suggerire che nel futuro cambieremo completamente la nostra definizione di essere umano. Quali sono alcune delle principali questioni filosofiche e spirituali che queste tecnologie solleveranno?

Ray Kurzweil: Dunque, tutto ciò ha alcune implicazioni che definirei spirituali. Una molta ovvia, che hai menzionato, è la domanda: “Cos’è un essere umano?”. Oggi, questa è una domanda spirituale. Fra trenta anni ci imbatteremo in entità non biologiche, robot, basati sul reverse engineering dell’intelligenza umana, in grado di agire e funzionare con la complessità dell’uomo. Ma anche quando parleremo con comuni esseri umani biologici, avremo di fronte entità i cui processi di pensiero non biologici potrebbero essere di più di quelli biologici.

Ricorda che l’idea di inserire dei computer nel cervello non appartiene solo al futuro. Per esempio, la FDA, l’ente statunitense per il controllo sul cibo e i farmaci, ha appena approvato un innesto che sostituisce la parte di cervello distrutta dal morbo di Parkinson. E gli innesti usati dai non udenti stanno diventando sempre più sofisticati. Oggi questi processi richiedono la chirurgia, ma grazie ai nanobot saremo in grado di fare queste cose in modo abitudinario, senza chirurgia, tra un quarto di secolo. Per cui, che cos’è umano? Non è una domanda semplice.

La risposta più importante, secondo me, è che l’uomo è una specie che cerca per sua natura di espandere il proprio orizzonte. L’uomo non si è fermato alla terraferma; non si è accontentato nemmeno del pianeta. E di certo non resteremo nei confini della nostra biologia. Per farti un altro esempio, siamo nei primissimi stadi della trasformazione dell’eredità genetica attraverso la manipolazione dei geni. Alla fine andremo al di là della biologia e della genetica per ridisegnare il corpo e il cervello umani.

Di fatto, esiste già un progetto per sostituire tutti i componenti del nostro sangue con dispositivi nanobotici. Se hai questi globuli rossi robotici – i respirociti, come li chiama lo scienziato Rob Freitas – che trattengono l’ossigeno in modo mille volte migliore dei nostri globuli rossi, puoi stare seduta sul fondo della tua piscina per quattro ore, o avere uno sprint olimpico per quindici minuti, senza mai respirare. E i globuli bianchi robotici distruggono gli agenti patogeni in modo cento, mille volte più potente dei nostri comuni globuli bianchi. Possono scaricare del software da Internet e distruggere qualsiasi tipo di elemento patogeno.

Melissa Hoffman: Pensi che gli esseri umani dovranno sviluppare nuove qualità per gestire queste enormi risorse che la tecnologia ci sta dando?

Ray Kurzweil: Sì, penso di sì. Possiamo dire che già oggi stiamo tentando di tenere sotto controllo alcune tecnologie. Le nuove tecnologie saranno incommensurabilmente più potenti di quelle che abbiamo visto finora, e possono essere di enorme beneficio. Per esempio, la nanotecnologia sarà in grado di creare qualsiasi entità fisica, compreso il cibo, partendo da materiali estremamente economici, eliminando così la povertà. Queste nuove tecnologie, alla fine, ci aiuteranno a sconfiggere la malattia, l’invecchiamento e l’inquinamento dell’ambiente. Ma avranno anche un potenziale distruttivo molto temibile. Quindi, come approfitteremo dei lati positivi tenendo sotto controllo quelli negativi? Questa è probabilmente la sfida più grande che ci troveremo di fronte.

Melissa Hoffman: Prima hai affermato che la maggior parte di noi non si rende conto della natura esponenziale o accelerata del cambiamento. Pensi che la sottostimiamo a nostro rischio?

Ray Kurzweil: Beh, penso che sia notevole il fatto che persone altrimenti giudiziose continuano a fare proiezioni sul futuro che riflettono il pensiero lineare, cosa che dà un quadro molto sbagliato. Esistono degli scenari futuri che si realizzeranno molto prima di quanto pensiamo.

Già tra dieci o quindici anni ci saranno molti più cambiamenti di quanti la gente riesce a immaginare, e data la lentezza del consenso politico e sociale, occorre cominciare a discutere maggiormente su questi temi. Dobbiamo comprendere la natura esponenziale del cambiamento. Una potenza è una funzione matematica che comincia quasi come una linea piatta: all’inizio non accade nulla di osservabile. Poi sale sempre più velocemente, fino ad arrivare al ginocchio della curva, dove improvvisamente esplode verso l’alto. E adesso siamo ai primi stadi del ginocchio della curva. Ci troviamo al punto in cui molte di queste tecnologie stanno cominciando a esplodere, e per avere un quadro realistico di cosa ci attende dobbiamo capire questo concetto.

Melissa Hoffman: Prima hai affermato che, in quanto esseri umani, cerchiamo naturalmente di espandere i nostri orizzonti, e che in futuro questo avverrà soprattutto attraverso l’espansione della nostra intelligenza. Consideri l’espansione dell’intelligenza umana un fine evolutivo in sé?

Ray Kurzweil: È una buona domanda. È come chiedere: “Qual è lo scopo della vita?”. A mio avviso, alla fine satureremo tutta la materia e l’energia della nostra area dell’universo con la nostra intelligenza, e penso che questo si potrebbe definire un fine in sé. Tutta questa materia ed energia ottuse che ci circondano si risveglieranno e diventeranno sublimemente intelligenti. Allora essa si diffonderà in tutto l’universo alla massima velocità con cui possono viaggiare le informazioni. E si può pensare che non ci vorrà molto tempo, perché possono esistere vie alternative per arrivare in altri punti dell’universo, come i “wormholes”, i cosiddetti “fori di tarli” postulati dalla Fisica. Alla fine l’intero universo, fondamentalmente, si risveglierà.

Ma non è interessante il fatto che i cosmologi non assegnano mai alcun ruolo all’intelligenza nel destino dell’universo? Piuttosto, discutono a lungo se l’universo si contrarrà in una grande crisi o si espanderà all’infinito, come se questa sorta di leggi irrazionali della fisica continuassero semplicemente ad andare avanti, simili a una grande macchina priva di intelligenza. Nessuno dice: “Aspetta un attimo, l’intelligenza potrebbe diffondersi in tutto l’universo e decidere il destino di quest’ultimo. Anche se la forza di gravità o altre forze potrebbero causare la disgregazione dell’universo, la civiltà intelligente infusa in tutto l’universo deciderebbe: «No, non sarà così. Faremo accadere qualcosa di diverso»”.

Melissa Hoffman: Alcuni scienziati e cosmologi argomentano che l’universo è già intelligente. Ma tu stai dicendo che useremo la tecnologia per introdurre la nostra intelligenza nella materia non-intelligente dell’universo, cioè parli di un risultato puramente fisico.

Ray Kurzweil: Esattamente. E questa è una forma di illuminazione. Infatti, io direi che in questo momento l’intero universo non è intelligente. Ma penso che lo diventerà attraverso il processo che ho descritto.

Melissa Hoffman: Come pensi che accadrà, a livello pratico? Riesci a immaginarlo?

Ray Kurzweil: Beh, sì. Possiamo affermare che entro questo secolo si svilupperà un’intelligenza molto superiore alla nostra. Non possiamo descriverla dettagliatamente perché, per definizione, è più intelligente di noi. Grazie al calcolo computeristico molecolare tridimensionale, organizzeremo la materia e l’energia in modo molto efficiente, fino a livello atomico. Tra circa dodici anni saremo in grado di computare con grande efficienza grazie a queste strutture molecolari tridimensionali. Esse si baseranno sul carbonio, più o meno come la vita, ma saranno milioni di volte più potenti.

Un frammento di due centimetri della circuiteria di un nanotubo, fatto di atomi di carbonio, sarà milioni di volte più potente del cervello umano. Usando questi sistemi incredibilmente piccoli di elaborazione dati, che hanno la capacità di riorganizzare la materia, alla fine potremo convertire la maggior parte della materia e dell’energia nella nostra area dell’universo in processi capaci di produrre intelligenza. E allora questa intelligenza si espanderà verso l’esterno, quasi come le informazioni, ma sarà in grado di convertire e assorbire in sé tutta la materia e l’energia che incontrerà.

Ciò che è straordinario dell’idrogeno è che, quando lo usi per produrre energia, calore e luce, l’unico sottoprodotto è l’acqua pura. Puoi berla! L’idrogeno non produce minimamente anidride carbonica. Quindi, se passassimo a questo carburante eterno, potremo potenzialmente risolvere tutti i principali problemi legati all’uso del petrolio: potremmo ridurre drasticamente il surriscaldamento globale, il Medio Oriente diventerà sempre meno importante nella geopolitica del mondo e potremmo restringere la linea di demarcazione tra gli abbienti e i non abbienti. Infatti, una volta imbrigliato, l’idrogeno è disponibile in ogni angolo del pianeta. Jeremy Rifkin

La natura crea sempre nuovi corpi per nuove frontiere; osserva la sequenza di corpi dal pesce agli anfibi, i mammiferi e l’uomo, e adesso all’uomo universale. Siamo sulla soglia di una grande novità. L’unica differenza tra noi e le altre creature che hanno sperimentato un cambiamento radicale è il fatto che stiamo entrando nel processo consciamente. Barbara Marx Hubbard, Conscious Evolution.

La comunicazione bidirezionale tra l’elettronica e i neuroni biologici è già stata dimostrata, e porterà a molti interessanti scenari. Uno è la realtà virtuale a immersione totale, che incorpora tutti i nostri sensi. Se io volessi andare nella realtà virtuale, i nanobot eliminerebbero gli stimoli provenienti dai miei sensi reali, sostituendoli con quelli che il mio cervello riceverebbe se fossi davvero nell’ambiente virtuale; a quel punto, il mio cervello avrebbe la sensazione di essere davvero in quell’ambiente.

L’ambiente virtuale potrebbe essere la ri-creazione di un luogo terrestre – per esempio, il Taj Mahal o una spiaggia mediterranea – includendone i suoni, l’aspetto tridimensionale, la sensazione dell’aria calda e umida sul volto. Potrebbe anche essere qualche luogo fantastico che esiste solo nella realtà virtuale. La progettazione di questi ambienti virtuali sarà una nuova forma di arte. Sarà possibile entrare in questi ambienti virtuali con qualcun altro e avere qualsiasi tipo di incontro, dal rapporto sessuale alla discussione di affari. Sarà possibile sintonizzarsi e sperimentare cosa si prova a essere qualcun altro, con le sue emozioni, come nel film Essere John Malkovich.

Oppure, si potranno rivivere esperienze già vissute. Creare un archivio di esperienze cui poter accedere sarà un’altra forma di arte. La realtà virtuale non emergerà improvvisamente nella sua forma finale, ma entro il 2029 sarà affascinante e convincente come la realtà vera. Ray Kurzweil.

Copyright originale “What is Enlightenment” magazine www.wie.org
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini.
Copyright per la traduzione italiana: Innernet.

 

Rendendoci incorporei a velocità di banda larga, Ivo Toshan Quartiroli

07 domenica Ago 2016

Posted by Paola in Evoluzione, Inserimenti, Neoscienze, Personaggi, Società

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Ivo Toshan QuartiroliRendendoci incorporei a velocità di banda larga, Ivo Toshan Quartiroli (2008)

Tradizionalmente, il superare l’identificazione col corpo era parte di un percorso mistico, ma questo avveniva dopo aver integrato completamente la connessione tra il corpo, la mente e l’anima e dopo essersi resi consapevoli di tutta le sfera delle emozioni e delle sensazioni corpore.

La scissione tra mente e corpo è tutt’ora presente nella nostra società e viene ulteriormente ampliata da un uso prolungato del computer dove i corpi sono coinvolti in modo minimale, togliendo la connessione in modo prematuro.

Il nostro senso di identità personale è strettamente associato alla presenza del corpo e ai suoi feedback. I mistici dicono che quando una persona diventa spiritualmente illuminata, il legame corpo/mente non è più lo stesso di prima, perché l’identificazione con le nostre limitate strutture è stata sostituita da una realtà più vasta.

“Quando un uomo diventa folle d’amore per Dio, allora chi è suo padre, chi sua madre, chi sua moglie? Egli ama Dio tanto intensamente che ne è divenuto folle. Non ha più alcun dovere, è liberato da tutti i suoi debiti. Che cos’è questa follia d’amore? Quando un uomo giunge a questo stato, diventa incosciente perfino del proprio corpo, al quale è pur tanto legato in tempo normale. Chaitanya Deva conobbe ciò. Egli cadde nel mare, senza rendersi conto che era il mare. E molte volte cadde sul suolo. Non aveva più fame, né sete, né sonno. Aveva completamente perduto la coscienza del suo corpo.” [ Shri Ramakrishna. Alla ricerca di Dio. Roma. 1963. Originale. L’enseignement de Ramakrishna]

McLuhan aveva previsto che il nuovo uomo tecnologico avrebbe perso l’esperienza diretta del corpo con la natura e di conseguenza il suo elemento equilibrante, laddove “la mente tende a fluttuare libera nelle pericolose zone dell’astrazione, con o senza l’uso di droghe.” Aveva anche previsto un uomo che, seduto di fronte alla sua “stanza del controllo informatico”, ricevendo informazioni da qualunque luogo del mondo, gonfiando il proprio ego e contemporaneamente diventando schizofrenico, avendo il corpo da una parte e la mente sparpagliata in diversi luoghi. Questo avrebbe separato la connessione con il suo corpo e vedrebbe minacciato la sua identità:

“L’uomo disincarnato diventa insensibile alla forza di gravità, come succede a un astronauta, ma diventa capace di muoversi molto più rapidamente. Egli perde il senso della propria individualità in quanto le percezioni elettroniche non sono legate a un luogo fisso. Immerso in questa energia ibrida emessa dalle tecnologie video, si troverà in una “realtà” chimerica che coinvolgerà al massimo grado tutti i suoi sensi, quasi come sotto l’effetto di una droga. La mente, come figura, si immerge nello sfondo, e viene trascinata in un luogo sconosciuto tra realtà e fantasia. I sogni sono legati al mondo reale perché hanno una struttura temporale e spaziale (di solito in tempo reale); la fantasia non ha tali legami. A questo punto la tecnologia risulta incontrollabile.” [Marshall McLuhan, Bruce R. Powers. Il villaggio globale, Sugarco. Milano. 1992]

Joseph Weizenbaum ha ritratto, molto prima dell’avvento di Internet, i programmatori coatti come tecnici che:

“Lavorano fin quasi a crollare, venti, trenta ore per volta. Il cibo, se se ne ricordano, se lo fanno portare: caffè, coca-cola, panini. Se possibile, dormono su brande vicino al computer. Ma soltanto poche ore, poi di nuovo al terminale o agli stampati. I vestiti rattoppati, le facce non lavate e non rasate, i capelli spettinati dimostrano quanto si disinteressino del loro corpo e del mondo che li circonda.” [Joseph Weizenbaum. Il potere del computer e la ragione umana. Edizioni Gruppo Abele. Torino. 1987]

Non sentirsi più collegati al proprio corpo mentre si è davanti al computer è un’esperienza comune alla maggioranza delle persone che usano quest’ultimo per un periodo di tempo non breve. Tale separazione ha radici nella scissione tra corpo e mente operata dalla cultura giudaico-cristiana e riguarda più gli uomini che le donne.

Brenda Laurel, un’esperta delle interfacce uomo-computer, nell’intervista rilasciata a Susie Bright per il libro Sexual Reality (Cleis Press, San Francisco, 1992), esprime così le sue idee sul corpo e le differenze tra i sessi riguardo questo argomento:

“So, grazie a un’esperienza di quindici anni sulle persone che lavorano al computer, che esiste un tipo di individui, quelli che generalmente sono definiti “nerd”, i quali sono molto a disagio con il proprio corpo e la propria sessualità. Alcuni uomini mi hanno detto che una delle ragioni per cui hanno scelto questo lavoro è stata evitare gli aspetti sociali connessi al ruolo del maschio in America; in particolare, evitare le donne. Si tratta di bravi ragazzi che non sono sgradevoli, ma solo timidi e impacciati. Quando gli uomini parlano della realtà virtuale, usano spesso frasi come “esperienza fuori-dal-corpo” e “lasciare il corpo”. Queste persone non stanno parlando delle stesse esperienze extra-corporee dei mistici orientali o peruviani; nel loro caso, queste espressioni ricordano più uno schermo sugli occhi che permette di non vedere l’inquinamento dell’aria. È un tipo di mentalità industriale occidentale, del genere “dominiamo la terra”. Quando le donne parlano di realtà virtuale, intendono: “portare il corpo con sé in un altro mondo”. L’idea è quella di portare i nostri meravigliosi organi di senso con noi, non lasciare il corpo chino su una tastiera mentre il cervello naviga in qualche rete. Il corpo non è semplicemente un contenitore del tanto celebrato intelletto.”

Alexander Lowen, nel libro Arrendersi al corpo: il processo dell’analisi bioenergetica
(Astrolabio 1994), scrive di aver osservato, nel corso degli anni, un continuo deterioramento delle condizioni fisiche dei suoi pazienti, dal punto di vista dell’integrità e della vitalità, mentre «il vecchio tipo di paziente isterico, quello di cui parlava Freud, è praticamente scomparso. La persona isterica non è in grado di gestire i suoi sentimenti, mentre l’individuo schizoide non ne ha molti. Oggi la maggior parte delle persone sono dissociate dal proprio corpo e vivono soprattutto nella testa o nell’ego. Viviamo in una cultura egoista o narcisista, in cui il corpo è visto come un oggetto e la mente come l’autorità superiore e determinante».

Le donne sono naturalmente più connesse col corpo, e potrebbero riportare anche gli uomini al loro corpo, ma questa connessione è minacciata in entrambi i sessi da una vita eccessivamente tecnologica e stressante, che non dà spazio al ritmo più lento del corpo.

La connessione con il nostro corpo comincia dalla connessione che abbiamo avuto con il corpo materno, e dipende dal modo in cui si è sviluppato questo legame. La società produttiva e competitiva impone il distacco madre/neonato-figlio sia in ospedale appena dopo il parto che dopo tramite gli asili nido. I bambini non vengono allattati abbastanza al seno, né sviluppano sufficientemente il senso di legame tramite un prolungato contatto corporeo. È stato dimostrato come il distacco precoce abbia sul cervello un’influenza che può condurre a patologie mentali. Se non ci viene dato abbastanza contatto corporeo, non possiamo avere una connessione vibrante nemmeno con il nostro corpo.

Anche in questo caso la tecnologia sembra apparentemente condurci verso il piano spirituale, in particolare verso il superamento del corpo, ma solo mediante un pallido riflesso, in modo prematuro e non-integrato, ottenendo il risultato opposto di inibire l’evoluzione dell’anima, perché viene saltato lo stadio di piena integrazione con il corpo.

Questa è la prima generazione in cui le persone offrono sempre meno contatto ai bambini, per mancanza di tempo e della giusta predisposizione d’animo. Inoltre, passiamo sempre più tempo a casa, su banchi di scuola o scivanie di uffici, davanti al computer, costringendo i corpi a un’attività minima. A parte gli ovvi problemi di salute connessi alle malattie cardiovascolari e all’obesità, alla nostra anima manca una connessione integrata con il corpo.

Quest’ultimo chiede ardentemente attenzione, ma la nostra società offre quasi soltanto
programmi di fitness o chirurgia estetica, ovvero altra tecnologia.

Fonte: http://www.indranet.org/disembodying-at-broadband-speed/

Anima, carattere e vocazione, James Hillman

07 domenica Ago 2016

Posted by Paola in Inserimenti, Neoscienze, Personaggi, Società

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James HillmanAnima, carattere e vocazione, James Hillman (2010)

Intervista di Scott London

James Hillman è stato descritto alternativamente come uno psicologo indipendente, un mago, un visionario, un maniaco e un Re-filosofo contemporaneo. Ha studiato con il grande psichiatra svizzero Carl Jung ed ha insegnato in varie università americane. Malgrado queste credenziali, Hillman è lontano dall’essere considerato una figura appartenente al mondo della psicologia. Infatti è visto da molti suoi colleghi come un pensatore profondamente sovversivo, una spina nel fianco degli psicologi rispettabili. Come fondatore della “psicologia archetipica”, una scuola di pensiero diretta a revisionare e “reimmaginare” la psicologia, Hillman crede che la psicologia debba evolversi oltre il suo “riduzionismo” presente ed abbracciare teorie sullo sviluppo umano.

Dagli anni sessanta ha scritto, insegnato e tenuto conferenze sulla necessità di portare le terapie fuori dalle sale di consulenza e nella realtà del mondo. “La psicologia si è ridotta ad una ricerca banale ed egocentrica, egli afferma, piuttosto che ad un’esplorazione dei misteri della natura umana”. Uno dei più grandi di questi misteri, secondo Hillman, è la questione del carattere e del destino. Nel suo recente bestseller “Il Codice dell’Anima” afferma che il nostro carattere e la nostra vocazione di vita sono qualità innate e che è la missione della nostra vita realizzare quelle spinte. La chiama “la teoria della ghianda”, l’idea che le nostre vite sono formate da un’immagine particolare, come il destino della quercia è contenuto nella piccola ghianda. Ecco il suo pensiero.

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Scott London: Non sei una figura molto popolare con i tuoi colleghi.

James Hillman: Non sono critico verso le persone che fanno psicoterapia. Il terapeuta è come nella trincea, perché deve fronteggiare un terribile ammontare dei fallimenti sociali, politici ed economici del nostro sistema. Si deve occupare di tutti i rifiuti e i fallimenti umani; lavora duro senza molti riconoscimenti e le ditte farmaceutiche stanno tentando di eliminarlo. Così, certamente, non sto attaccando loro, sto attaccando la teoria dietro la psicoterapia, perché vede ogni problema come soggettivo, personale, mentre i problemi spesso provengono anche dall’ambiente esterno. Quello che intendo dire è che, se un bambino ha dei problemi o è scoraggiato, il problema non è solo dentro il bambino; è anche nel sistema, nella società.

London: Allora non puoi aggiustare la persona senza aggiustare la società.

J. Hillman: Non necessariamente. Ma non credo che possano esserci dei miglioramenti finché le idee non cambiano. Il punto di vista occidentale abituale è credere che qualcosa sia sbagliato nella persona. Trattiamo le persone allo stesso modo con il quale trattiamo l’automobile. Portiamo il povero bambino da un medico e gli chiediamo: “Che problema ha? Quanto mi costerà? Quando posso tornare a riprendermelo?” Non possiamo cambiare qualcosa finché non abbiamo delle idee fresche, finché non iniziamo a vedere le cose in maniera diversa.

Il mio obiettivo è quello di creare una “terapia di idee”, di cercare di portare nuove idee, così che possiamo vedere gli stessi problemi in modo diverso.

London: Quindi non ti piace molto il solito approccio psicoterapeutico.

J. Hillman: La psicologia contemporanea mi irrita molto con le sue idee sempliciotte sulla vita umana e con il suo vuoto. Nella cosmologia dietro la psicologia non c’è ragione per nessuno di esistere o di fare qualcosa. Siamo il prodotto del Big Bang, avvenuto miliardi di anni fa, che alla fine ha prodotto la vita, che alla fine ha prodotto esseri umani, e via dicendo. E io? Io sono un caso— un risultato— e perciò una vittima.

London: Nel “Codice dell’Anima” parli di qualcosa che chiami la teoria della ghianda. Che cos’é?

J. Hillman: È più un mito che una teoria. È un mito di Platone, secondo il quale tu vieni in questo mondo con un destino, anche se usa la parola paradigma invece di destino. La teoria della ghianda dice che esiste un’immagine individuale che appartiene alla tua anima.

Lo stesso mito esiste nella Kabalah. Anche i mormoni ce l’hanno. Gli africani ce l’hanno. Gli induisti ed i buddisti l’hanno in maniera diversa— lo legano più alla reincarnazione e al karma— ma anche lì arrivi in questo mondo con un destino particolare. E’ ben radicato negl’indiani d’America. Così tutte queste culture in tutto il mondo hanno una comprensione simile dell’esistenza umana. Solo la psicologia occidentale non ce l’ha.

London : Che conseguenze hanno le tue idee per i genitori?

J. Hillman: Penso che quello che dico possa sollevarli grandemente e far loro desiderare di prestare più attenzione al loro figlio, a questo straniero particolare che è “atterrato” tra di loro. Invece che dire: “questo è mio figlio”, devono chiedersi: “Chi è questo figlio che risulta essere mio?” Così possono sviluppare molto più rispetto per il bambino e cercare di stare vigili per occasioni nelle quali il suo destino possa mostrarsi— come una resistenza alla scuola, per esempio, o degli strani sintomi, o un’ossessione verso qualcosa. Forse noterebbero qualcosa d’importante che prima non avrebbero notato.

London: A volte dei sintomi possono essere visti come debolezze.

J. Hillman: Certo. Così si inizia qualche programma medico o di psicoterapia per eliminare quelle debolezze, mentre la manifestazione di quei sintomi può essere l’aspetto più cruciale di quel bambino. Ci sono molte storie nel mio libro che mostrano questo.

London: Quanta resistenza incontri alla tua idea che siamo noi a scegliere i nostri genitori?

J. Hillman: Beh, fa arrabbiare molte persone che odiano i loro genitori, o che hanno avuto genitori  indifferenti o crudeli o che hanno abusato di loro. Ma è interessante come, se ti soffermi sull’idea, ti può liberare da una grande quantità di colpe, di risentimenti e di fissazioni verso i tuoi genitori.

London: Ho avuto una lunga discussione sul tuo libro con un’amica che è madre di una bambina di sei anni. È d’accordo che sua figlia abbia un potenziale unico, forse anche un “codice”; è diffidente invece su ciò che questo significhi in pratica. Ha paura che potrebbe gravare la bambina di molte aspettative.

J. Hillman: Quella è una madre intelligente. Penso che l’atmosfera peggiore di crescita per un bambino di sei anni sia quella nella quale non ci siano aspettative di alcun genere. È brutto crescere in un vuoto dove “qualsiasi cosa che fai va bene, tanto sono sicuro che avrai comunque successo”. Quelle sono dichiarazioni di disinteresse. Dice: “In realtà non ho nessuna fantasia su di te”. Una madre dovrebbe avere qualche fantasia sul futuro del proprio figlio. Per prima cosa aumenterebbe il suo interesse verso il figlio.

Il punto non è volgere la fantasia verso un programma che faccia diventare, per esempio, astronauta quel bambino. Quella sarebbe la realizzazione dei sogni dei genitori. Quello è diverso. Avere una fantasia — che il bambino cercherà di realizzare o verso la quale si ribellerà furiosamente— almeno fornisce al bambino qualche aspettativa da realizzare o da rifiutare.

London: Cosa ne pensi dell’idea di far fare ai bambini dei test attitudinali?

J. Hillman: L’attitudine può mostrare la tendenza, ma non è il solo indicatore. Curiosamente, l’inettitudine o la disfunzione possono rilevare la tendenza più di quanto possa il talento. O ci può essere una formazione caratteriale più lenta.

London: Qual è il primo passo per comprendere il proprio destino?

J. Hillman: È importante chiedersi: “Come sono utile agli altri? Cosa vogliono gli altri da me?” Quelle domande potrebbero rivelare perché se qui.

London: Hai anche scritto che “il grande compito di ogni cultura è quello di mantenerci collegati agli aspetti invisibili”. Che cosa intendi?

J. Hillman: È un’idea difficile da presentare senza lasciare la psicologia ed entrare nel religioso. Non parlo di chi potrebbero essere gli invisibili o dove vivono o cosa vogliono. Non c’è una teologia su questo. Ma è l’unico modo che noi, esseri umani, abbiamo per estricarci dall’essere uomo-centrici e per restare collegati a qualcos’altro oltre l’umano.

London: Dio?

J. Hillman: Si, ma non deve essere così elevato.

London: Il nostro richiamo di vita?

J. Hillman: Penso che il primo passo sia l’accettazione che ciascuno di noi abbia questa cosa. Poi possiamo guardare indietro alla nostra vita e osservare gli incidenti e curiosità e stranezze e problemi e malattie, ed iniziare a vedere in quelle cose più di quanto abbiamo visto prima. L’accettazione che tutti noi abbiamo un codice può sollevare delle domande, così che, quando accadono degli strani, piccoli incidenti, ti chiedi se nella tua vita ci sia in azione anche qualcos’altro. Non deve necessariamente essere un’uscita dal corpo durante un’operazione chirurgica, una cosa eclatante; o un tipo di magia elevata alla quale la nuova era spera di convincerci.

È più una sensibilità, del tipo che possiede la persona che vive in una cultura tribale. Il concetto che ci sono altre forze al lavoro. Un modo di vivere più reverente.

London: Sei un critico della new age. Eppure ho notato che alcuni dei recensori del tuo libri ti hanno messo nella categoria della new age.

J. Hillman: Quei critici dovevano essere dalla parte della scienza. Per loro, il libro deve essere o scienza o new age. È molto difficile nella nostra società fatta di contrapposti trovare una terza via. Prendi i media: ogni notizia è presentata sempre come una persona contro un’altra, del tipo: “ascoltiamo ora l’opinione dell’opposizione”. Non c’è mai un terzo punto di vista.

Il mio libro è su una terza opinione. Dice, sì, c’è la genetica. Sì, ci sono i cromosomi. Sì, c’è la biologia. Sì, c’è l’ambiente, la sociologia, i genitori, l’economia, le classi e tutte quelle cose. Ma c’è anche qualcos’altro. Così, se guardi il libro dalla parte della scienza, lo vedi come “new age”. Se lo vedi dal punto di vista della new age, dici che non si spinge abbastanza. Che è troppo razionale.

London: Goethe diceva che la felicità più grande risiede nel praticare un talento che fa parte della nostra natura. Come cultura siamo così infelici perché siamo dissociati dai nostri talenti naturali, dal nostro codice dell’Anima?

J. Hillman: Siamo avviliti perché abbiamo solo un dio, e questo è l’economia. L’economia è un aguzzino. Nessuno ha tempo libero; nessuno ha riposo. L’intera cultura è sotto una pressione terribile, intessuta com’è di preoccupazioni. È difficile uscire da questa prigione. Inoltre, vedo la felicità come la conseguenza di ciò che fai. È impossibile cercare d’ottenerla direttamente.

http://www.scottlondon.com – traduzione di Rinaldo Lampis

Madre Vuoto, Massimo Teodorani

07 domenica Ago 2016

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Massimo TeodoraniMadre vuoto, Massimo Teodorani

Dove si situano tutti quei meccanismi di derivazione quantistica in grado di determinare coerenza e sincronicità? Sembra che tutto ciò abbia origine nel vuoto, o per la precisione in quel “vuoto sub-quantistico” di cui parla il filosofo e fisico ungherese Erwin Laszlo. Il vuoto sarebbe la matrice di tutta la realtà da cui sarebbe nato l’Universo come fluttuazione quantistica.

Il vuoto non è realmente vuoto ma è un ribollire di particelle, come fu provato da un importante esperimento del fisico olandese Hendrik Casimir (allievo e amico di Wolfgang Pauli) che dimostrò l’esistenza della cosiddetta “energia di punto zero”. Sembra che il vuoto possa essere stimolato e che lì alberghino unite indissolubili sia la mente che la materia dell’universo: stimolare questo vuoto – che in sostanza rappresenta il “prana” degli orientali – significa diventare artefici del processo della creazione allo stesso modo in cui lo scultore modella la creta. E’ il regno dove nascono i quanti, ovvero le particelle elementari e dove ogni particella ed essere vivente è connesso. Esso sarebbe anche la matrice della coscienza dell’universo, e allo stesso tempo il deposito di memoria di tutto quanto accade, è accaduto o accadrà. In altre parole tutto questo ricorda il regno mitico di Akasha di cui parlano da millenni le civiltà orientali.

Alcuni scienziati sono partiti dal vuoto per ritrovarsi nel concetto di sincronica interconnessione e unità nel tutto. Altri scienziati, come il fisico quantistico David Bohm sono approdati al cosiddetto “ordine implicato” per descrivere quel regno astratto che sta alla base di tutta la materia conosciuta e che ne costituisce la coscienza. Il fisico Marco Todeschini riprendendo e rielaborando una antica concezione cartesiana dell’Universo ha definito questo regno come “etere” mentre il fisico quantistico Wolfgang Pauli assieme allo psicologo del profondo Carl Jung hanno posto queste basi nel cosiddetto “inconscio collettivo”. C’è buona ragione di ritenere che inconscio collettivo, etere, vuoto, ordine implicato e Akasha rappresentino differenti modi di nominare esattamente lo stesso concetto che è la matrice dell’unità e sincronicità dell’Universo.

Il cosiddetto “ordine implicato”, la sorgente che dà origine al potenziale quantico, non è una esclusiva creazione nata dalle teorie ed ipotesi di David Bohm, ma può trovare un riscontro forse più concreto in un’altra deduzione – questa volta sia teorica che sperimentale – della meccanica quantistica. Si tratta del cosiddetto “campo del punto zero”, quell’immenso oceano di energia in continua ebollizione, chiamato anche “schiuma quantistica” che il fisico olandese Hendrik Casimir riuscì a scoprire con un suo famoso esperimento in cui avvicinando due piastre a distanza molto piccola, queste andavano soggette ad una pressione anomala. Quella pressione era causata dall’energia del vuoto, un vuoto evidentemente ricco di energia che genera fluttuazioni sotto forma di particelle virtuali, una delle quali potrebbe aver generato l’universo stesso. E infatti la comprensione di Bohm della realtà fisica finisce per prendere in considerazione quel concetto di vuoto che viene considerato anche da altri approcci della fisica, e che costituisce il nocciolo centrale delle religioni orientali come “prana”. Per Bohm lo spazio non rappresenta un vuoto gigante attraverso cui si muove la materia, bensì lo spazio in tutte le sue parti è tanto
reale quanto la materia che si muove attraverso di esso. Lo spazio e la materia sono intimamente interconnessi.

Di fatto, calcoli effettuati su quella quantità nota come “energia di punto zero” suggeriscono che ogni singolo centimetro cubico di spazio vuoto contiene più energia di tutta la materia conosciuta nell’universo, mentre modelli attuali di fisica teorica e di cosmologia prevedono che la cosiddetta “energia oscura” provenga direttamente dal vuoto e costituisca il 73% dell’energia prodotta dall’universo. Questi risultati non erano indifferenti a Bohm, il quale trovò un collegamento tra questo immenso oceano di energia apparentemente vuoto e quel regno infinito e nascosto che lui denomina ordine implicato. L’energia che sgorga misteriosamente dal vuoto è un processo di esplicazione che proviene da un mondo implicato nascosto, iper-dimensionale e a-temporale, dove ha sede la coscienza dell’universo. Dunque il mondo implicato è la sede della creazione e a-temporale, dove ha sede la coscienza dell’universo. Dunque il mondo implicato è la sede della creazione e l’olomovimento non è nient’altro che il processo della creazione. I processi di materia-energia del mondo esplicato in cui viviamo e i processi di informazione attiva che provengono dal mondo implicato mostrano che questi due mondi sono intimamente legati. In questa visione la coscienza stessa, quella che anche l’umanità può penetrare nella sua più intima essenza attraverso un distillato dei processi del pensiero, non è altro che il pilota della realtà.

David Bohm ha ben dimostrato dialetticamente che la realtà fisica è realmente consistente con una radicale reinterpretazione della realtà che va ben oltre la nuova fisica rivoluzionaria del primo ventesimo secolo. I fisici contemporanei possono anche ignorare il lavoro di Bohm (come molti hanno fatto), ma non possono sfuggire alle sue implicazioni. L’approccio alla scienza di Bohm è mirato alla ricerca della verità, e proprio in questa luce, con la riformulazione del concetto di “ordine” in fisica, egli ha dischiuso le fondamenta epistemologiche della scienza, utilizzando queste sue profonde intuizioni per concepire una realtà che va penetrata seguendo un percorso “ontologico” che ha le sue basi nell’ordine implicato e nell’olomovimento. In questa concezione, quella che veniva chiamata “epistemologia”, che è lo studio di ciò che sappiamo e di come lo sappiamo, viene interamente sostituita dalla “ontologia”, che è appunto lo studio di ciò che effettivamente esiste. Questo studio è possibile solo se il pensatore si fonde con il pensiero stesso.

Certamente l’aspetto più sconcertante del pensiero di Bohm è che l’ordine implicato non è solo una realtà iperdimensionale che governa il mondo della materia ma rappresenta la sede stessa della coscienza e di tutti i fenomeni ad essa correlati. Siccome il mondo implicato non è altro che la “interiorità” dell’universo che interagisce direttamente con il mondo esplicato di cui siamo apparentemente passivi osservatori, la fisica di Bohm non solo contempla l’esistenza di una interiorità cosciente, un’entità intelligibile con la nuova fisica, ma anche un’interazione diretta e continua tra questa interiorità e la fase conscia dell’universo, che è quella esplicata in cui viviamo. Certamente l’ordine implicato ricorda moltissimo l’ “inconscio collettivo” di Carl Jung, molto del quale non può essere reso manifesto a livello conscio. Ad esempio, gli archetipi non possono essere direttamente appresi, ma solo sotto forma di simboli che appaiono nell’arte, nei sogni e in varie culture.

Sembra allora che l’opera di Bohm rappresenti uno sforzo per rendere intelligibile filosoficamente e (in prospettiva) scientificamente quello che Jung aveva intuito nella sua attività di psicologo analitico, uno sforzo che per altre vie aveva intrapreso anche il suo collega fisico Wolfgang Pauli, ma che Bohm sviluppa su una scala più vasta dal punto di vista concettuale. Bohm così si ricollega al pensiero di Jung: “Estendendo il concetto di totalità all’uomo, noi vediamo che ciascun essere umano partecipa in modo inseparabile alla società e al pianeta come un tutto. Ciò che si può ulteriormente suggerire è che una tale partecipazione si esplichi in una mente collettiva più grande, e forse alla fine in una qualche mente ancora di più vasta portata che in linea di principio sia in grado di andare indefinitamente anche oltre la specie umana come un tutto. Ciò può essere messo in relazione con alcune delle nozioni proposte da Jung.” – –

da Scienza e Conoscenza.it
link: http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/madre-vuoto.php

L’universo sognante, Fred Alan Wolf

07 domenica Ago 2016

Posted by Paola in Inserimenti, Personaggi, Realtà Parallele

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Fred Alan WolfL’universo sognante, Fred Alan Wolf

Riassunto – Le culture occidentali sono sempre state affascinate dai sogni, ritenuti in grado di divinare il futuro o di risvegliare ricordi del passato, persino delle vite precedenti. Recentemente, c’è stato molto interesse intorno ai sogni lucidi. La fisica quantica può spiegarci come e perché sogniamo? C’è un cervello olografico alla sua base? Un’indagine sul mondo di mezzo tra la consapevolezza e la materia.

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Un estremo è l’idea di un mondo oggettivo che segue il suo regolare corso nello spazio e nel tempo, a prescindere da qualsiasi tipo di soggetto osservante: questa è stata l’immagine che ha guidato la scienza moderna. All’altro estremo c’è l’idea di un soggetto, che sperimenta misticamente l’unità del mondo e non ha più di fronte a sé un oggetto o un mondo oggettivo: questa è stata l’immagine che ha guidato il misticismo asiatico. Il nostro pensiero si muove da qualche parte nel mezzo, tra queste due concezioni limitate; dovremmo mantenere la tensione derivante da questi opposti. Werner Heisenberg.

Esiste un mondo di mezzo tra l’esperienza umana e animale. Esso si trova in quella zona indistinta tra la mente conscia e vigile, qui, e il mondo fisico che tutti diamo per reale, là. Anche se nella citazione di apertura Heisenberg parla solo di una “tensione” tra il mondo interiore di un soggetto e quello esteriore di un oggetto, forse egli sta facendo riferimento a una nuova visione concettuale dell’universo della mente e della materia, basata sulla fisica quantica. In questo articolo parlerò di questa concezione come del “mondo immaginale”, illustrando i legami di quest’ultimo con l’universo dei sogni.

Henri Corbin, il noto studioso dell’Islam, è stato il primo scrittore europeo a utilizzare l’espressione “mondo immaginale” (nota 1). Secondo lui, questo mondo è ontologicamente reale, ma le mie ricerche sulla natura dello sciamanesimo (nota 2) e dei sogni suggeriscono che esso sia più autentico della realtà che percepiamo. A ogni modo, si tratta di una realtà al di là della nostra normale percezione di veglia, anche se ci appare sotto forma di sogni e di altri esperienze simili, come le esperienze di quasi morte e forse i rapimenti degli UFO (nota 3).

Per quanto possa apparirci nuovo il concetto di questa realtà, gli aborigeni australiani sostengono di averne “memoria” da 150.000 anni (nota 4). Essi definiscono la propria memoria “la dimensione dei sogni”, che secondo loro contiene tutto il passato, il presente e il futuro. Da tale dimensione sorge il mondo della mente, la materia e l’energia. E tutto ciò si sviluppò molto tempo fa, come un sogno “del Grande Spirito”. Dunque, il pensiero aborigeno suggerisce che l’universo o Dio stiano sognando nell’esistenza tutto ciò che sperimentiamo, e che tale sogno ha una precisa componente mitologica o, come direbbe C. G. Jung, archetipica.

Per quanto sappiamo, le culture occidentali sono sempre state affascinate dai sogni. Questi ultimi sono stati ritenuti in grado di divinare il futuro o di risvegliare ricordi del passato, persino delle vite precedenti. Molte culture credono che durante il sogno l’anima abbandoni il corpo e viaggi in altri mondi. In effetti, la Bibbia ci ricorda i sogni profetici di Giuseppe. E naturalmente esistono sogni che, si dice, danno al sognatore facoltà creative. Basti ricordare i sogni del poeta-filosofo William Blake per comprendere il potere creativo e profetico di un sogno.

Recentemente, c’è stato molto interesse intorno ai sogni lucidi (nota 5). Essi sono molto diversi dai sogni comuni, per contenuto ed esperienza. I loro segni distintivi sono la consapevolezza di stare sognando e la vividezza dei dettagli ricordati dopo il sogno. Si ha anche la sensazione di poter controllare gli eventi dell’entità sognante (uso questa espressione perché, nei miei sogni lucidi, l’entità sognante sembra per molti aspetti diversa dal mio io normale e cosciente, sebbene allo stesso tempo sappia di essere me stesso. La differenza più impressionante è la consapevolezza di essere diviso in due menti coscienti: la persona addormentata “sul letto di casa” e la persona che sperimenta il sogno sapendo di essere sempre sul letto di casa). Al risveglio, il sogno viene ricordato con grande facilità.

Recentemente, ho intervistato persone che non solo hanno sogni lucidi, ma sembrano capaci di risvegliarsi, notte dopo notte, in un mondo parallelo dove conducono un’altra vita, in un altro corpo (io stesso ho avuto questa esperienza, oltre a quella dei sogni lucidi). Ho scritto molto sui sogni lucidi in un libro precedente, nell’ambito dei miei studi sui rapporti tra la Fisica e la consapevolezza (nota 6).

In un libro successivo, The Eagle’s Quest, ho descritto in che modo il mondo immaginale può essere la fonte di tali sogni. Ho anche studiato come gli sciamani alterano la consapevolezza per guarire e trasformare la materia. Talora ho cercato di creare nuove metafore per comprendere gli stati di coscienza dal punto di vista della Fisica. Ho anche suggerito, come possibile spiegazione degli stati sciamanici di consapevolezza, l’esistenza di un mondo immaginale “di mezzo” (anche gli studi contemporanei sugli UFO e le esperienze di quasi morte sembrano ricorrere alla nozione di un mondo di mezzo per spiegare un gran numero di esperienze apparentemente incomprensibili) (nota 7).

In questo articolo vorrei proporre una spiegazione dei sogni e forse di altre esperienze “oltremondane” basata sulla fisica quantica, sull’esistenza del mondo immaginale e sulla forma delle immagini olografiche nel cervello umano. La mia ipotesi è che il cervello è qualcosa di simile a un ricevitore capace di sintonizzarsi tanto con il mondo di mezzo quanto con quello che definiamo “reale”. Userò il termine “sogno” in riferimento a una vasta gamma di esperienze sensoriali che apparentemente esistono o vengono sperimentate senza un’evidente componente oggettiva: tra queste, i sogni lucidi e normali, le esperienze fuori dal corpo, di quasi morte, sciamaniche, ufologiche e altre. Non cercherò di descrivere nei dettagli in che modo queste esperienze sono diverse – naturalmente lo sono – perché cercherò di affrontare questo argomento nel mio prossimo libro, The Dreaming Universe (nota 8).

Piuttosto, qui vorrei suggerire una spiegazione non solo del modo in cui si formano i sogni e le altre esperienze “oltremondane”, ma anche del funzionamento del cervello durante i sogni e la veglia. Cercherò di spiegare sia la consapevolezza conscia che quella onirica da un nuovo punto di vista psico-quanto-fisico.

Il punto cruciale del mio discorso è l’esistenza del mondo di mezzo, da cui sorgono tanto la
consapevolezza di veglia quanto quella onirica. La mia ipotesi è che la nostra vita, i nostri pensieri e sentimenti, e persino il mondo fisico della materia e dell’energia, provengono da questo mondo immaginale. Voglio anche suggerire che quelli che chiamiamo sogni sono immagini emergenti da questo mondo attraverso un meccanismo olografico implicante onde quantiche di informazioni che sorgono nel passato e nel futuro.

Cos’è il mondo immaginale?

Sebbene il mondo immaginale possa significare molte cose, a seconda dei propri interessi e della propria cultura, vorrei darne una definizione basata sulla fisica quantica. Esso è uno spazio e un tempo che è, come la “zona del crepuscolo” di Rod Serling, il mondo dell’immaginazione. Ma “immaginazione” non è la parola giusta per descrivere questo “luogo”. Infatti, da esso proviene tutto ciò che esiste soggettivamente nella nostra percezione: i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre sensazioni, lo spazio e il tempo fisico, persino la materia. Per comprendere questo punto e la sua importanza nell’esperienza del sogno, usiamo una prospettiva fisico-quantica per studiare come si forma la nostra esperienza soggettiva del mondo.

Io studio la Fisica quantica da molto tempo e mi interesso al modo in cui quest’ultima e la consapevolezza si sovrappongono (nota 9). Soprattutto, mi interessa quello che in Fisica è noto come l’«effetto osservatore» (nota 10). Un sistema quantico, in genere, esiste in una sovrapposizione di stati. Tali stati corrispondono agli attributi osservabili, e quindi misurabili, della nostra esperienza del mondo.

Per esempio, ci sono degli stati corrispondenti alle posizioni degli oggetti fisici. Prima di venire osservati, tali stati esistono come una sorta di “nuvola fantasma” di possibilità, estesa nello spazio e nel tempo come una nebbia misteriosa. I fisici chiamano questa nebbia una “sovrapposizione” di onde quantiche. Improvvisamente, tramite la percezione, l’osservazione o la cognizione, tale moltitudine di stati si trasforma in uno stato singolo. In gergo, questa si chiama “riduzione del pacchetto di onde”. Ciò vuol dire che una volta che uno stato è noto, la sua onda di probabilità deve diventare singolare, “infilzata” in un luogo e un tempo, piuttosto che essere diffusa e sparsa nello spazio e nel tempo.Quando nell’onda accade questo “picco”, l’oggetto assume una forma fisica e il suo osservatore ha un’esperienza cognitiva.

Ma nessuno sa in che modo si formi questa improvvisa realtà “a picchi”. Nella stessa fisica quantica non c’è nulla che preannunci questo fenomeno. Tale improvviso “picco di realtà” è la base del principio di indeterminazione di Heisenberg, e ha dato origine a molte interpretazioni, le quali richiedono tutte, tranne una, la fede in un sistema metafisico posto al di là delle leggi della Fisica. L’unica eccezione è forse la spiegazione meno accettabile, sebbene sia l’unica che rimanga all’interno della Fisica quantica. Questa spiegazione sostiene che il collasso di un “picco” non si verifica.

Tale concezione è chiamata “l’interpretazione dei molti mondi della meccanica quantica”, e dice molto chiaramente che tutte le possibilità esistono simultaneamente. Esse esistono adesso, esistono prima ed esistono dopo come una sovrapposizione “fantasma” di trame o storie che vanno all’indietro fino all’inizio del tempo, e in avanti fino alla sua fine. Tale concezione della sovrapposizione delle possibilità ricorda il concetto aborigeno della “dimensione dei sogni” e il mondo immaginale di Corbin. Il mio suggerimento è che questi siano tutti la stessa cosa, vista da basi intellettuali e culturali diverse.

In tale concezione di mondi paralleli sovrapposti, le onde quantiche si muovono in modo immaginale, come se il tempo non fosse nulla più che una dimensione dello spazio. Non esiste una “freccia” del tempo. Ciò che era nel passato e ciò che sarà nel futuro non sono considerati più importanti di ciò che è a destra o a sinistra di una posizione nello spazio. Così, si parla del passato e del futuro come se esistessero nel tempo presente, adesso. Data questa interpretazione, come si forma l’esperienza del mondo, sia quello onirico che quello della consapevolezza desta?

Messaggi dal cervello olografico

Perché siamo in grado di sperimentare ogni cosa – sia che entri dall’esterno nel nostro sistema nervoso e nel nostro cervello, sia che nasca apparentemente dentro quest’ultimo – come un sogno creato nel sonno? In che modo si forma la consapevolezza?

Vorrei suggerire una risposta. Chiaramente sto facendo delle ipotesi, ma credo che le nostre attuali conoscenze delle immagini olografiche possono portarci fino a questo punto.

Gli ologrammi sono composti da onde luminose che interferiscono le une con le altre, lasciando la loro impronta su un materiale fotosensibile piatto o bidimensionale. Tali onde vengono da due sorgenti: una fonte intelligibile di luce e il riflesso di quest’ultima su un oggetto fisico. Quando la luce da queste due fonti viene assorbita da un materiale fotosensibile, resta registrata la forma dell’intersezione. Quando una sorgente di luce illumina l’ologramma, appare un’immagine tridimensionale dell’oggetto, anche se la registrazione avviene su una superficie piatta.

La percezione della realtà come accade nel nostro cervello e nel sistema nervoso è, credo, una sequenza di ologrammi che si susseguono gli uni dopo gli altri, man mano che l’esperienza si manifesta “nel tempo”. Nel cervello, le onde quantiche producono eventi e allo stesso tempo sono la percezione e l’illuminazione di quegli eventi. In tal modo, nel cervello si crea l’ologramma. Esistono degli elementi, sia nella costruzione dell’ologramma che nel mondo immaginale, che rendono questa ipotesi più sostenibile. Per esempio, i dati raccolti dal fisiologo premio Nobel Georg von Bekesy hanno mostrato che soggetti privati della vista “provavano” sensazioni in uno spazio in cui nessuna parte del loro corpo era presente. Egli aveva messo dei vibratori sulle ginocchia dei soggetti, chiedendo loro di tenere aperte le gambe. Quando la frequenza delle vibrazioni cambiava, sembrava che la sensazione saltasse da un ginocchio all’altro, mentre a certe frequenze sembrava posta nello spazio tra le ginocchia. Le vibrazioni producevano forme di interferenza nel cervello dell’osservatore e quindi ricreavano olograficamente un’esperienza di realtà “oggettiva”.

La sensazione di percepire qualcosa “là fuori” nello spazio quando il senso della vista è impedito, non è in realtà più misteriosa della sensazione di vedere qualcosa “là fuori” in condizioni di vista normale. L’immagine si forma olograficamente nello stesso modo della sensazione della percezione. Così, secondo me, il concetto olografico spiega come ricreiamo non solo la realtà visiva, ma tutte le percezioni della realtà. Ricostruiamo la realtà producendo un ologramma visivo, sonoro e sensorio nel nostro cervello, sulla base dei dati forniti dai sensi. In tal modo, il mondo sperimentato, il mondo “oggettivo”, esiste nel nostro cervello. Nessuno sa esattamente cosa ci sia “là fuori”.

A questo punto, abbiamo di fronte a noi due ovvi problemi: (1) dov’è il soggetto? (2) Dov’è l’oggetto creato? Concentriamoci sull’esperienza visiva per tentare di rispondere a queste domande. Scopriremo che la risposta a una è anche la risposta all’altra.

Dov’è il suo Io, Sua Altezza?

È estremamente difficile dire dove si formi l’immagine e dove stia l’osservatore. Quasi tutti coloro che hanno riflettuto sull’«osservatore» nei sogni o (per quel che conta) nella vita cosciente, si troveranno in difficoltà con ciò che dico. Dove è la “persona” che vede l’ologramma costruito nel cervello? Dov’è l’omuncolo seduto all’interno che guarda lo spettacolo? Nonostante tutte le mie ricerche, devo ancora trovare l’ubicazione dell’«osservatore» della realtà nel cervello o nel sistema nervoso. In tal modo, anche il mondo oggettivo sembrerebbe perdere il suo status di autentica realtà oggettiva, in quanto dipende fortemente dal soggetto.

E che dire del soggetto? Allo stesso modo con cui sembra svanire l’oggetto “vero” (come il viso del gatto in Alice nel paese delle meraviglie), sono portato a concludere che anche nel caso del soggetto non esiste nessuno. Non c’è alcuna persona. Come ha insegnato il Buddha, non esiste “io” né tempo; nulla è reale. I francesi usano il termine “personne” per dire nessuno. Non credo che esista un testimone o un osservatore, per quanto strano possa sembrare. È un’illusione. Ma se così stanno le cose, che sta succedendo? Non fraintendermi. Qualcosa sta succedendo, ma non come sembra a te, perché “tu” in realtà non esisti.

La formazione dell’esperienza

Nella concezione della Fisica classica, tutte le esperienze sono rappresentate da sequenze di eventi; ogni evento è descritto mediante tre attributi: massa o energia, spazio e tempo. Qui sta il “problema”. Infatti, è impossibile descrivere completamente un oggetto in questo modo. La ragione è sottile e ha a che fare con la natura della Fisica quantica; in particolare, con il ruolo dell’osservatore che trasforma le possibilità in un’esperienza attuale.

Nell’interpretazione dei molti mondi della Fisica quantica, l’osservatore, nell’osservare, è unito alla cosa osservata. Prima che venga osservato, un sistema esiste come sovrapposizione di un numero infinito di stati possibili. Quando nel quadro entra l’osservatore, lui o lei osserva davvero ognuno di quegli stati, anche se ciascuno di essi esiste in un mondo diverso. L’osservatore è “catturato” da ciò che viene osservato e abbinato a esso in un mondo dato. Così, quando un osservatore osserva un elettrone nella posizione A all’interno di un atomo, l’elettrone sembra fermo in quella posizione. Ma le altre possibili posizioni dell’elettrone non cessano di esistere. C’è sempre un osservatore che osserva lo stesso elettrone nella posizione B, ma in un mondo diverso.

Perciò, le altre possibilità della “nuvola fantasma” non svaniscono improvvisamente quando se ne materializza una; piuttosto, tutte le possibilità sono presenti e l’osservatore è unito a ciascuna di esse. In ogni mondo in cui esiste un attributo fisico, c’è un osservatore che osserva quel valore per quell’attributo. Nel modello del cervello-ologramma che ho qui postulato, l’osservatore, nell’osservare, diventa davvero parte dell’ologramma. L’osservatore viene dunque trasformato attraverso la sua esperienza.

L’osservatore e l’osservato sono la stessa cosa a livello di un ologramma vivente dentro il cervello. Ciononostante, gli ologrammi comuni richiedono un osservatore al di fuori dell’ologramma. Cosa rende l’ologramma del cervello diverso da tutti gli altri ologrammi?

La differenza sta nel fatto che l’ologramma è un costrutto tridimensionale (3D), una pellicola spessa piuttosto che sottile, probabilmente composta dalla corteccia che copre il cervello antico. Tutti gli ologrammi laser-ottici costruiti dagli uomini sono bidimensionali (2D). Questi ologrammi 2D sono ottimi nel ricreare immagini 3D.

Il cervello è un oggetto 3D, dall’aspetto di un tappeto spesso e ritorto. Poiché gli ologrammi 2D ricostruiscono immagini 3D, per analogia si può dire che il cervello 3D ricostruisce “immagini” 4D. Questo è ciò che si intende con esperienza sensoriale o cognitiva. Sto suggerendo che il tempo, cioè la quarta dimensione (come dice Einstein), viene ricostruito dall’ologramma del cervello. Ma se il tempo viene costruito nel cervello, in che modo esso viene sperimentato? La risposta è: “tu”.

Queste esperienze olografiche nel cervello sono come dei lampi: la sequenza di lampi costituisce l’insorgere sia del tempo che dell’«io». I lampi sono l’immagine e l’osservatore dell’immagine allo stesso tempo. Nel normale ologramma 2D, abbiamo un osservatore che guarda l’ologramma, ma l’ologramma è separato dall’osservatore. Nella sequenza 3D, l’osservatore e l’ologramma sono la stessa cosa. Non c’è nessuno che “osserva” il moto interiore della corteccia. Quest’ultimo è l’osservatore. L’«io» è la sequenza degli eventi di quel moto. Per cui, l’«io» sorge nel tempo.

Esiste un mondo fondamentale da cui proviene tutto ciò? Direi di sì, e lo collegherei al mondo immaginale. Nel mondo immaginale non esiste tempo né spazio. Ma da esso provengono tutte le possibilità e gli osservatori. In esso l’oggettivo viene sperimentato come spazio, il soggettivo come tempo. Ciò avviene perché quello che intendiamo con oggettivo è “là fuori”, mentre il soggettivo è sperimentato “nel tempo”, ma non ha una componente spaziale. La Fisica classica vedeva il tempo come una dimensione reale. La relatività cominciò a vedere il tempo come una dimensione immaginale, ma solo nella teoria quantica esso viene completamente considerato tale.

L’assemblaggio dei dati sensoriali dal mondo immaginale crea nel cervello un’azione che chiamiamo consapevolezza. L’«io-consapevolezza» degli eventi non è nulla di più che la mappatura dell’esperienza nel tempo; la consapevolezza “di veglia” degli eventi è la mappatura dell’esperienza nello spazio; la consapevolezza onirica è la mappatura dell’esperienza nel mondo immaginale. La consapevolezza onirica e quella di veglia accadono simultaneamente; quando siamo svegli, la consapevolezza onirica è semplicemente sopraffatta da quella conscia, e viceversa quando siamo addormentati.

Così, il mondo dello spazio, del tempo, della materia, dell’energia, del pensiero e delle sensazioni proviene da quello immaginale. Sia lo spazio che il tempo emergono come le dimensioni sicure del mondo immaginale, così come registrate dall’ologramma del cervello.

Il sogno dell’universo sognante

Le immagini di una olografia 3D sono diverse da quelle di un’olografia 2D. Una prima differenza è data dal fatto che esiste un numero infinito di immagini 3D; ciò si ricollega alla teoria dei molti mondi paralleli nella Fisica quantica. L’onda che illumina l’ologramma rappresenta tutte le possibilità esistenti. Nella Fisica quantica, il progresso degli stati dell’atomo dalla potenza all’attualità proviene da una sorta di moto doppio; i modelli di interferenza prodotti dalle onde di questo moto danno origine alle probabilità. Tali probabilità si trasformano in percorsi nello spazio e nel tempo “reali”.

L’osservatore è su tutti questi percorsi simultaneamente. Quelli che tendono a essere potenzialmente vicini gli uni agli altri formano la nostra “consapevolezza normale di veglia”. Quello che chiamiamo “io” è la consapevolezza dei percorsi più comuni, ed è qui che si forma il nostro senso di scelta. In ogni punto del tempo, esistono percorsi più o meno comuni. Di solito, quelli che abbiamo osservato sono i percorsi più probabili.

Quando si fa l’esperienza di un sogno? Adesso sappiamo, grazie all’opera di J. Allan Hobson (nota 11) e altri, che esiste un meccanismo nel tronco cerebrale che cancella gli stimoli esterni quando dormiamo. Cancellando le informazioni provenienti dal mondo esterno, percepiamo solo quelle già esistenti nel sistema. Potremmo chiamare tali informazioni la realtà soggettiva. Durante il sonno, la realtà soggettiva è tutto ciò che è possibile sperimentare.

Nella consapevolezza normale di veglia, sia la realtà oggettiva che quella soggettiva influenzano il nostro cervello, ma la realtà onirica è sopraffatta dagli stimoli del mondo esteriore. In questo istante, tu stai sognando. Tutti noi siamo sognando. Di solito non ce ne accorgiamo, perché il nostro sistema nervoso è sovraccarico di dati provenienti dal mondo esterno. E mentre stiamo osservando la realtà esterna, è difficile percepire il senso dell’io, così come quello della realtà soggettiva.

Tuttavia è possibile osservare o percepire l’io dei sogni. Nel corso di un’esperienza eccezionale di veglia, come un’iniziazione sciamanica, una trance, una meditazione e magari un incontro con gli UFO, si fa esperienza della parte espansa, o dell’io dei sogni, dell’ologramma. Qualcosa di simile può avvenire durante le sincronicità. È una storia senza fine: puoi osservare il testimone che guarda il testimone che guarda il testimone. È possibile continuare all’infinito, perché esiste un numero infinito di testimoni. Il processo va avanti per sempre, come l’osservazione della tua immagine in due specchi l’uno di fronte all’altro.

Non esiste alcuna persona presente. La “persona” è un costrutto. Non appena diventi consapevole di ciò, accedi allo stato del testimone. Una volta in quello stato, vedi che esso è una proiezione. Una volta che ti osservi fare ciò che stai facendo, puoi vedere che si tratta solo di un’altra illusione. Se persisti, ti ritroverai a correre dentro un salone degli specchi, in un’avventura incredibile come il viaggio di Alice al di là dello specchio.

Possiamo considerare tutto ciò come un cammino verso il Dio-Sé o l’originario “Spirito Sognante” degli aborigeni australiani. A quel punto, non esiste nulla. Ebbene, perché sogniamo? Come ho detto prima, il sogno viene osservato quando elimini gli stimoli esterni. In realtà, quando sogni, diventi consapevole di ciò che stai facendo qui e ora, di quello che accade sempre nel cervello: il processo continuo delle immagini olografiche. Tali immagini – questa continua ricostruzione dell’ologramma – sono indispensabili se vogliamo sopravvivere e, fatto ancora più importante, se vogliamo diventare completamente consci.

Questo l’ho imparato nella giungla peruviana, con gli sciamani. Riuscivo ad avere immagini oniriche sotto l’influsso della pianta dell’ayahuasca. In tali esperienze di sogno cosciente, ho capito che alcune immagini erano dei sogni lucidi, ma la maggior parte no. La lucidità accadeva per brevi periodi di tempo, di solito non più lunghi di qualche secondo, e a intervalli apparentemente casuali. Per il resto, le immagini erano confuse e alquanto prive di senso. Gli episodi lucidi erano sempre pieni di colori, sembravano molto reali ed erano sempre accompagnati dalla sensazione di essere presenti sulla scena. Avevo la sensazione che tutto ciò fosse una sorta di trucco o spettacolo magico; mi sembrava di essere nella Disneyland del cervello, e per un breve istante ho capito il segreto che stava alla base della creazione di questo trucco.

Lo spettacolo magico dell’universo

«Hai anche imparato il segreto del fiume, cioè che il tempo non esiste?» «Sì, Siddharta, è questo che vuoi dire? Il fiume è ovunque allo stesso tempo. Nella sorgente e nella foce; nella cascata, nel traghetto, nella corrente e nelle montagne. Ovunque. Per esso esiste solo il presente, senza l’ombra del passato né del futuro.»

«È così», disse Siddharta. «E ho imparato, riguardando la mia vita, che anche essa è un fiume. Siddharta il ragazzo, Siddharta l’uomo maturo e Siddharta l’anziano erano separati solo da ombre, non dalla realtà.

Le vite precedenti di Siddharta non erano nel passato, né la sua morte e il suo ritorno a Brahma sono nel futuro. Nulla era e nulla sarà; ogni cosa è reale e presente.»” (nota 12).

Dalla posizione vantaggiosa dello spazio, il tempo e la materia, le onde quantiche nel cervello vanno avanti e indietro nel tempo. Esse creano percorsi neurali da cui proviene il comportamento abituale. Ciò crea la struttura dell’ologramma in cui tutte le immagini vengono registrate come un misto di mito e realtà.

Il segnale che torna indietro nel tempo dal futuro deve correlarsi con quello diretto in avanti dal passato. Ecco perché non vediamo molto bene nel futuro. Siamo più assorbiti dalla sopravvivenza che dal vivere il nostro mito; questo è ciò che chiamiamo “condizionamento passato”. Il condizionamento passato è ciò che ci impedisce di vedere nel futuro. Le persone che vedono nel futuro sono capaci di illuminare gli ologrammi del cervello in modo diverso.

È impossibile cambiare i percorsi neurali formatisi nel periodo critico della crescita: l’hardware è immutabile. Ecco perché la psicoanalisi sta vivendo un momento così brutto. Tutto ciò che si può fare è evitare di illuminare l’ologramma allo stesso modo ogni volta che sorge una situazione nuova. Per esempio, stai con una persona e scopri che ti stai arrabbiando fuori misura a causa di qualcosa che lui/lei ha detto o fatto, probabilmente stai solo ripetendo la reazione che avesti all’età di sei mesi, quando un genitore si arrabbiò con te. Quando ciò si verifica adesso, tutto quello che devi fare è riconoscere che la rabbia che stai provando è solo un programma formatosi quando eri bambino; non è altro che un lavaggio del cervello. Allo stesso tempo, se accettiamo la premessa che non esiste una “persona” nel senso convenzionale del termine, dobbiamo accettare che è l’universo che sta scegliendo.

Data l’atemporalità delle onde quantiche, persino le vite passate potrebbero stare agendo in questa ripetizione olografica. Queste vite sono portate dalle onde quantiche dell’universo e vengono probabilmente percepite nel codice DNA che abbiamo ereditato dai genitori. Alla fine, tornando abbastanza indietro nel tempo, si vede che tutta l’umanità è discesa da uno o due progenitori comuni. Il sistema del DNA può essere visto come una “libreria” contenente onde di informazioni olograficamente immagazzinate, o come un ricevitore di onde quantiche che furono costruite per l’umanità.

Forse ti starai chiedendo da dove vengono queste onde quantiche. A questo punto, è d’uopo ritornare alla “dimensione dei sogni” del Grande Spirito, nel pensiero aborigeno. Ora le visioni del mondo scientifica e aborigena sembrano cominciare ad avvicinarsi: potremmo dire che le onde quantiche sono le onde del cervello del Grande Spirito.

Siamo tutti fatti della stessa sostanza; abbiamo tutti la stessa libreria. Osservando la struttura del DNA e delle altre molecole, possiamo vedere persino il nostro legame con le piante e gli animali. Siamo tutti parte della stessa famiglia. Per questo ho ricordi delle mie vite passate che sembrano lontanissimi da quelli della mia famiglia attuale.

Quindi, l’individualità – la sensazione che ognuno di noi è una singola entità – è fondamentalmente un’illusione. Le anime individuali sono costruzioni egoiche del Grande Spirito. Esiste una sola anima, un solo “io”. Questo “io”, che gli aborigeni chiamano Grande Spirito, sta ancora sognando. Questo sogno è l’universo, ed è anche il sogno dell’universo. Colui che osserva il sogno e il sogno sono la stessa cosa. Possiamo solo chiederci cosa succederà quando colui che dorme si sveglierà.

Note
1. Vedi Henri Corbin, Mundus Imaginalis or the Imaginal and the Imaginary (Ipswich, England: Golgonooza Press, 1976).
2. Fred Alan Wolf, The Eagle’s Ques: a Physicist’s Search for Truth in the Heart of the Shamanic World (New York: Summit Books, 1991).
3. Vedi per esempio Peter M. Rojcewicz, Signals of Transcendence: The Human-UFO Equation in “Journal of UFO Studies”, New Sciences, Vol. 1 (1989), p. 111
4. Vedi per esempio Jim Pouley, The Secret of Dreaming (Templestowe, Australia: Red Hen Enterprises, 1988); Peter Sutton, ed., Dreamings: The Art of Aborigenal Australia (Victoria, Australia: Penguin Books, 1988); Jean A. Ellis, From the Dreamtime: Australian Aborigenal Legends (Victoria, Australia: Collins Dove, 1991).
5. Vedi Jayne Gackenbach e Jane Bosveld, Control your Dreams: How Lucid Dreams Can Help You Uncover Your Hidden Desires, Confont Your Hidden Fears, and Explore the Frontiers of Human Consciousness (New York: Harper & Row, 1989); Stephen LaBerge, Lucid Dreaming: The Power of Being Awake and Aware in Your Dreams (Los Angeles: J. P. Tarcher, 1985).
6. Fred Alan Wolf, Star Wave: Mind, Consciousness, and Quantum Physics (New York: Macmilla, 1984).
7. cfr. Rojcewicz, op. cit.
8. Fred Alan Wolf, The Dreaming Universe: Investigations of the Middle Realm of Consciousness and Matter (New York: Summit Books, 1993).
9. Vedi Fred Alan Wolf, The Quantum Pshysics of Consciousness: Towards a New Psychology, “Integrative Psychology”, Vol. 3 (1985), pp. 236-47; On the Quantum Physical Theory of Subjective Antedating, “Journal of Theoretical Biology”, Vol. 136 (1989), pp 13-19.
10. Fred Alan Wolf, Taking the Quantum Leap: The New Physics for Nonscientists, ed. riv. (San Francisco: Harper & Row, 1981).
11. Vedi per esempio J. Allan Hobson, The Dreaming Brain (New York: Basic Books, 1989).
12. Hermann Hesse, Siddharta.

Fred Alan Wolf è un fisico noto per le sue intuizioni sui legami tra la scienza e la consapevolezza. È autore di opere come The Eagle’s Quest, Taking the Quantum Leap e Parallel Universe. Questo articolo è tratto da The Dreaming Universe.

Traduzione: Gagan Daniele Pietrini
da: http://www.innernet.it

http://www.innernet.it/geoxml/getcontent/{A7EE9F30-F0AF-40AA-942F-1905C4E57AEA}.htm

Increspature sulla superficie dell’Essere, Eckhart Tolle

07 domenica Ago 2016

Posted by Paola in Inserimenti, Percorsi spirituali, Personaggi

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Eckhart TolleIncrespature sulla superficie dell’Essere, di Andrew Cohen

Intervista a Eckhart Tolle (2009)

Eckhart Tolle è emerso come uno degli insegnanti spirituali più originali degli anni recenti. Il suo insegnamento non fa parte di alcuna religione o tradizione, ma nello stesso tempo non esclude nessun percorso. Il suo messaggio enfatizza l’essere nel momento. È autore del best seller “Il Potere di Adesso”, qui intervistato da Andrew Cohen.

Andrew Cohen: Eckhart, com’è la tua vita? Ho sentito parlare di te un po’ come di un recluso che trascorre molto tempo in solitudine. È vero?

Eckhart Tolle: Questo era vero in passato, prima che fosse pubblicato il mio libro Il potere di adesso.. Per molti anni sono stato un recluso. Dopo l’uscita del libro, però, la mia vita è cambiata drasticamente. Ora insegno e viaggio molto. E le persone che mi conoscevano prima dicono: “È sorprendente. Eri un eremita ed ora sei nel mezzo della società”. Tuttavia, sento che niente è cambiato dentro di me. Mi sento, esattamente, lo stesso di prima. C’è ancora un senso di pace continuo, e mi sono arreso al fatto che a livello esterno c’è stato un cambiamento totale. Così, in realtà, non è più vero che sono un eremita.

Ora sono proprio l’opposto di un eremita. Può darsi che questo sia un ciclo. Può pure darsi che ad un certo punto questo finisca e che io ad essere un eremita. Al momento, però, sono arreso al fatto che sono quasi costantemente in uno stato interattivo. Ogni tanto mi prendo del tempo per stare da solo. Tra un insegnamento e l’altro, è necessario.

Andrew Cohen: Perché hai bisogno di stare da solo e cosa accade in quei momenti di solitudine?

Eckhart Tolle: Quando sono con la gente sono un maestro spirituale. Questa è la funzione, ma non è la mia identità. Dal momento che sono da solo, la mia gioia più profonda è nell’essere nessuno, nel lasciare andare la funzione dell’insegnante. È una funzione temporanea. Diciamo che incontro un gruppo di persone. Nel momento in cui se ne vanno, non sono più un maestro spirituale. Non c’è più alcun senso di un’identità esteriore. Semplicemente, entro in modo più profondo nella quiete. Il luogo che amo di più è la quiete. Non che la quiete vada perduta quando parlo o quando insegno, dato che le parole sorgono dalla quiete. Nel momento in cui le persone se ne vanno, però, quello che rimane è solo la quiete. E la amo cosi tanto.

Andrew Cohen: Potresti affermare che la preferisci?

Eckhart Tolle: Non si tratta di preferenza. Nella mia vita, ora, c’è un equilibrio, che probabilmente prima non c’era. Nel momento in cui, molti anni fa, accadde la trasformazione interiore, si sarebbe potuto dire, quasi, che l’equilibrio andò perduto. Era così appagante e così traboccante di beatitudine essere, semplicemente, che avevo perso ogni interesse nel fare o nell’interagire. Per un bel po’ d’anni mi sono perso nell’Essere. Avevo quasi completamente abbandonato il fare, solo quel tanto che bastava per tenermi in vita e perfino quello era un miracolo. Avevo perso ogni interesse nel futuro. E, poi, gradualmente, si è ristabilito un equilibrio. Non si è completamente ristabilito fino a che non ho cominciato a scrivere il libro. Il modo in cui mi sento, ora, è che nella mia vita c’è un equilibrio fra lo stare da solo e l’interagire con le persone, fra l’Essere ed il fare, mentre prima, il fare era stato abbandonato e c’era solo l’Essere. Profondamente beato, meraviglioso! Da un punto di vista esterno, però, molta gente ha pensato che fossi diventato matto o fossi squilibrato. Qualcuno ha pensato che fossi pazzo ad aver lasciato tutte le cose del mondo che avevo “raggiunto”. Non avevano capito, che io non le volevo, che non ne avevo più bisogno.

Ora, l’equilibrio, è fra la solitudine e l’incontro con le persone. E va bene così. Sto piuttosto attento che l’equilibrio non vada perduto. Al momento è presente una tendenza all’aumento del fare. Le persone mi vogliono a parlare di qui o di là, ci sono richieste continue. So che, ora, devo fare attenzione, affinché non vada perso l’equilibrio e a non perdermi nel fare. Non credo che potrebbe mai accadere, ma richiede una certa dose di vigilanza.

Andrew Cohen: Cosa significherebbe perdersi nel fare?

Eckhart Tolle: In teoria significherebbe che, continuamente, viaggerei, insegnerei e sarei in contatto con la gente. Se questo accadesse, forse, ad un certo punto il flusso, la quiete, potrebbero non esserci più. Oppure potrebbero esserci sempre, non lo so. Oppure potrebbe insorgere una spossatezza fisica. Ora, però, sento che ho bisogno di tornare periodicamente alla pura quiete. E anche quando avviene l’insegnamento, lascio proprio che sorga dalla quiete. Di conseguenza l’insegnamento e la quiete sono strettamente connessi. L’insegnamento sorge dalla quiete. Dal momento in cui sono solo, però, c’è solo la quiete e questo è il mio luogo favorito.

Andrew Cohen: Quando sei da solo, passi molto tempo stando fisicamente fermo?

Eckhart Tolle: Sì, a volte posso stare seduto per due ore in una stanza quasi senza alcun pensiero. Solo in completa quiete. A volte, quando vado a passeggiare, anche allora vi è una quiete completa, senza attribuire mentalmente dei nomi alle percezioni dei sensi. C’è semplicemente un senso di profonda maestosità o di meraviglia o di apertura, e questo è magnifico.

Andrew Cohen: Nel tuo libro Il potere di adesso affermi che “lo scopo definitivo del mondo non sta nel mondo, ma nella sua trascendenza”. Puoi spiegare, per favore, cosa significa?

Eckhart Tolle: Trascendere il mondo non vuol dire ritirarsi, non intraprendere più azioni o smettere di interagire con le persone. La trascendenza del mondo è agire ed interagire senza ricercare se stessi. In altre parole significa agire senza cercare di rafforzare il proprio senso di sé attraverso le proprie azioni o i propri contatti con le persone. Alla fin fine vuol dire non aver più bisogno del futuro per la propria realizzazione oppure per un senso del sé o dell’essere. Non c’è più un ricercare attraverso il fare, un ricercare, nel mondo, un senso di un sé più forte, più appagato o più grande. Quando non c’è più questo ricercare, allora puoi essere nel mondo, ma non del mondo. Non sei più alla ricerca di qualcosa con cui identificarti, là fuori.

Andrew Cohen: Intendi che uno ha rinunciato ad una relazione egocentrica e materialista con il mondo?

Eckhart Tolle: Sì, significa smettere di cercare per ottenere un senso del sé, un senso del sé più profondo o migliore. Dato che, nello stato normale di coscienza, quello che le persone cercano, attraverso le loro attività, è di essere più completamente se stesse. Il rapinatore di banche sta in qualche modo cercando questo. Pure la persona che si sta sforzando di raggiungere l’illuminazione, sta cercando questo, poiché sta cercando di ottenere, in un qualche momento nel futuro, uno stato di perfezione, una condizione di completamento, uno stato di completezza. C’è un tentativo di ottenere qualcosa attraverso le proprie attività. Stanno cercando la felicità ma fondamentalmente stanno cercando se stessi, o puoi dire Dio, in realtà è lo stesso. Stanno cercando se stessi e cercano Ia dove non potrà mai essere trovato, nel normale, non illuminato stato di coscienza, perché lo stato non illuminato di coscienza utilizza sempre la modalità del ricercare. Questo significa che essi sono del mondo – nel mondo e del mondo.

Andrew Cohen: Vuoi dire che stanno guardando avanti, nel tempo.

Eckhart Tolle: Sì. Il mondo ed il tempo sono intrinsecamente connessi. Quando cessa la ricerca del sé nel tempo, allora puoi essere nel mondo senza essere del mondo.

Andrew Cohen: Ma cosa intendi esattamente quando dici che lo scopo del mondo sta nel trascenderlo?

Eckhart Tolle: Il mondo, in qualche modo promette una realizzazione nel tempo, e c’è uno sforzarsi per quella realizzazione, nel tempo. Molte volte le persone percepiscono: “Sì, ora sono proprio arrivato”. E poi si rendono conto che non è vero, non sono ancora arrivati e quindi lo sforzo continua. Viene espresso in modo molto bello nel “A Course in Miracles” (Un corso in miracoli, Armenia, Milano, 1999.) quando si dice che il principio dell’ego è “cercare ma non trovare”. Le persone si rivolgono al futuro cercando la salvezza, ma il futuro non giunge mai.

Così, in effetti, la sofferenza ha origine in questo: nel non trovare. Ed è l’inizio di un risveglio, quando si profila la realizzazione che “forse questo non è il modo. Forse non arriverò mai dove mi sto sforzando di arrivare, forse non si trova nel futuro”. Dopo essersi perduti nel mondo, improvvisamente, sotto la pressione della sofferenza, si giunge alla realizzazione che le risposte è possibile che non si trovino al di fuori, nei risultati mondani e nel futuro.

Questo è, per molte persone, un punto importante da raggiungere. Questo senso di crisi profonda, nella quale il mondo ed il senso del sé che hanno conosciuto ed identificato con il mondo, perde di significato. Questo è ciò che mi accadde. Ero proprio sull’orlo del suicidio e poi successe qualcos’altro: una morte del mio senso del sé che viveva attraverso le identificazioni, le identificazioni con la mia storia, con le cose intorno a me, con il mondo.

Qualcosa nacque, in quel momento, che aveva un senso di profonda ed intensa quiete e di vitalità, un senso dell’essere. Successivamente l’ho chiamata Presenza. Ho compreso, al di là delle parole, che quello è ciò che io sono. Questa comprensione, però, non era un processo mentale. Ho compreso che questa profonda quiete viva e vibrante è ciò che io sono.

Anni dopo, ho compreso che potremmo chiamarla “pura coscienza”, mentre qualsiasi altra cosa è la coscienza condizionata. La mente umana è la coscienza condizionata che ha acquisito la forma del pensiero. La coscienza condizionata è l’intero mondo creato dalla mente condizionata. Tutto quanto è la nostra coscienza condizionata; persino gli oggetti lo sono. La coscienza condizionata nasce come forma e poi diventa il mondo. Così, perdersi nel condizionato, sembra necessario per gli esseri umani. Sembra parte del loro cammino perdersi nel mondo, perdersi nella mente, che è la coscienza condizionata.

Poi, grazie alla sofferenza, generata dall’essersi perduti, tu trovi l’incondizionato: te stesso. E questo è il motivo per cui abbiamo bisogno del mondo per trascendere il mondo. Di conseguenza sono infinitamente grato di essermi perduto.

Alla fin fine, lo scopo del mondo per te, è di perdertici dentro. Lo scopo del mondo per te è di soffrire, di creare la sofferenza che sembra essere ciò che è necessario affinché avvenga il risveglio. E poi una volta che avviene il risveglio, con quello arriva la comprensione che la sofferenza, ora, non è più necessaria. Sei giunto alla fine della sofferenza perché hai trasceso il mondo. Hai raggiunto il luogo che è libero da sofferenza.

Sembra essere il cammino di tutti. Forse non è il cammino di tutti in questa vita. Sembra essere, però, un cammino universale. Credo che alla fine ci arriveranno tutti, anche senza un insegnamento spirituale o un insegnante spirituale. In questo caso, però, potrebbe prendere del tempo.

Andrew Cohen: Molto tempo…

Eckhart Tolle: Molto di più. Un maestro spirituale è li per risparmiare tempo. Il messaggio di base dell’insegnamento è che non hai bisogno ancora di altro tempo, che non hai più bisogno di nessuna sofferenza. Lo dico alle persone che vengono da me: “Dal momento che lo stai ascoltando, sei pronto a sentirtelo dire. Ci sono ancora milioni di persone là fuori che non lo ascoltano. Hanno ancora bisogno di tempo. Ma non sto parlando a loro. Tu puoi sentirti dire che non hai più bisogno di tempo e che non hai più bisogno di soffrire. Sei andato cercando nel tempo e sei andato cercando ulteriore sofferenza”. E, improvvisamente, per qualcuno, sentirsi dire che non ha più bisogno di ciò, può essere un momento di trasformazione.

Quindi la bellezza dell’insegnamento spirituale è che ti fa risparmiare vite di…

Andrew Cohen: Sofferenza inutile.

Eckhart Tolle: Sì, così è bene che le persone siano perse nel mondo. Mi piace molto andare a New York ed a Los Angeles, dove sembra che le persone siano totalmente coinvolte. A New York stavo guardando fuori dalla finestra. Stavamo facendo un gruppo d’incontro vicino all’Empire State Building. E tutti per strada andavano di fretta, quasi correndo. Tutti sembravano essere in uno stato d’intensa tensione nervosa, d’ansietà. In realtà è uno stato di sofferenza, ma non viene riconosciuto come tale. E ho pensato: dov’è che stanno correndo tutti? E ovviamente tutti stanno correndo verso il futuro. Hanno bisogno di andare da qualche parte, che non è qui. È un punto nel tempo: non ora, nel poi. Stanno correndo verso un poi. Stanno soffrendo, ma neanche si rendono conto. Ma per me guardare a questo è stato gioioso. Non ho sentito di dire: “Dovrebbero rendersi conto meglio”. Sono sul loro percorso spirituale. Al momento, questo è il loro cammino spirituale, e funziona benissimo.

Andrew Cohen: Spesso la parola “illuminazione” è interpretata come la fine della divisione all’interno del sé e la scoperta simultanea di una prospettiva o di un modo di vedere globale, completo o libero dalla dualità. Coloro che hanno sperimentato questa prospettiva sostengono che la realizzazione definitiva è che non c’è differenza fra il mondo e Dio o l’Assoluto, fra il samsara ed il nirvana, fra il manifesto e il non-manifesto. Ma altri sostengono che, di fatto, la realizzazione definitiva è che il mondo in realtà non esiste per niente, che il mondo è solo un’illusione, senza alcun senso, significato o realtà. Nella tua esperienza, il mondo è reale? È irreale? È entrambi?

Eckhart Tolle: Anche quando interagisco con le persone o sto passeggiando in una città, sbrigando delle cose ordinarie, la maniera in cui percepisco il mondo è: piccole increspature sulla superficie dell’Essere. Al di sotto del mondo della percezione dei sensi e quello dell’attività mentale, c’è la vastità dell’Essere. C’è un’ampia spaziosità. C’è una vasta quiete e c’è una piccola attività, un’increspatura sulla superficie, che non è separata, proprio come le increspature non sono separate dall’oceano.

Il modo in cui lo percepisco, è che non c’è separazione. Non c’è separazione fra l’Essere ed il mondo manifesto, fra il manifesto ed il non-manifesto. Ma il non-manifesto è tanto più vasto, più profondo e più grande di quello che accade nel manifesto. Qualsiasi fenomeno del manifesto ha una vita così breve e così fugace che, sì, si potrebbe quasi affermare che dal punto di vista del nonmanifesto – l’Essere senza tempo o Presenza – tutto quello che avviene nel regno del manifesto in realtà sembra come un gioco d’ombre. Sembra come vapore o nebbia in cui nuove forme continuamente sorgono e scompaiono, sorgono e scompaiono. Così per chi è profondamente radicato nel non-manifesto, il manifesto può essere chiamato molto facilmente irreale. Io non lo chiamo irreale, perché non lo vedo separato.

Andrew Cohen: É reale quindi?

Eckhart Tolle: Tutto ciò che è reale è l’essere stesso. La Coscienza è tutto quello che c’è. Pura Coscienza.

Andrew Cohen: Intendi che la definizione di “reale” sarebbe ciò che è libero da nascita e morte?

Eckhart Tolle: Sì, è cosi.

Andrew Cohen: Di conseguenza solo ciò che non è mai nato e che non può morire sarebbe reale. E dato che, secondo quello che dici, il mondo manifesto non è separato dal non-manifesto, alla fine uno dovrebbe dire che il mondo manifesto è reale.

Eckhart Tolle: Sì. Ed anche che dentro ogni forma che è soggetta a nascita e morte, c’è l’assenza di morte. L’essenza di ogni forma è l’assenza di morte. Perfino l’essenza di un filo d’erba è assenza di morte. Ed ecco perché il mondo delle forme è sacro. Non è che il regno del sacro sia esclusivamente l’Essere o il non-manifesto. Io vedo come sacro anche il mondo delle forme.

Andrew Cohen: Se qualcuno ti chiedesse semplicemente: “Il mondo è reale o irreale?”, risponderesti che è reale o dovresti specificare l’affermazione?

Eckhart Tolle: Probabilmente specificherei l’affermazione.

Andrew Cohen: Dicendo cosa?

Eckhart Tolle: Che è una manifestazione temporanea del reale.

Andrew Cohen: Se il mondo è una manifestazione temporanea del reale, qual è la relazione dell’illuminato con il mondo?

Eckhart Tolle: Per un non illuminato, il mondo è tutto quel che c’è. Non c’è nient’altro. Questo modo di essere della coscienza legata al tempo dipende, per la sua esistenza, dal passato e ha disperatamente bisogno del mondo per la sua felicità e soddisfazione. Di conseguenza per la coscienza non illuminata, il mondo contiene un’enorme promessa ed allo stesso tempo un’alta minaccia. Questo è il dilemma di una coscienza non illuminata, combattuta fra il cercare la realizzazione nel e attraverso il mondo, e sentirsi da quello stesso mondo, continuamente minacciata. Sperano di trovare se stessi nel mondo e nello stesso tempo sanno che il mondo li ucciderà. Questo è lo stato di continuo conflitto a cui è condannata la coscienza non illuminata, l’essere combattuta continuamente fra il desiderio e la paura. È un destino spaventoso.

La coscienza illuminata è radicata nel non-manifesto ed essenzialmente è una con questo. Sa di essere quello. Si potrebbe quasi dire che è il non-manifesto che guarda fuori. Anche con una semplice cosa, come il percepire visivamente una forma – un fiore o un albero – lo percepisci in uno stato di totale attenzione e di profonda quiete, libero dal passato e dal futuro, in quel momento c’è già il non-manifesto. In quel momento non sei più una persona. Il non-manifesto percepisce se stesso nelle forme. E, in quella percezione c’è sempre un senso di benessere.

Allora ogni azione che si origina da quello ha una qualità completamente diversa dall’azione che invece si origina dalla coscienza non illuminata, che ha bisogno di qualcosa e cerca di proteggere se stessa. Qui è dove, realmente, compaiono quelle qualità intangibili e preziose che chiamiamo amore, gioia e pace. Esse sono un tutt’uno con il non-manifesto. Hanno origine da quello. Un essere umano che vive in connessione con questo e da questo agisce ed interagisce, diviene una benedizione sul pianeta. Mentre un essere umano non illuminato, è molto gravoso per il pianeta. C’è della pesantezza sulla coscienza non illuminata. E, il pianeta soffre per la presenza di milioni d’esseri umani non illuminati. Il carico sul pianeta è fin quasi troppo da reggere. Qualche volta ho come la sensazione che il pianeta dica: “Oh basta, per favore!”.

Andrew Cohen: Incoraggi le persone a meditare, quello che tu chiami “riposare nella Presenza dell’Adesso”, il più possibile. Credi che una pratica spirituale possa mai diventare veramente profonda ed avere il potere di liberazione a meno che uno non abbia già rinunciato al mondo, almeno fino ad un certo livello?

Eckhart Tolle: Non direi che la pratica in sé abbia il potere di liberare. È soltanto quando c’è una completa resa all’Adesso, a quello che è, che è possibile la liberazione. Non credo che una pratica possa portarti ad una completa resa. Una resa totale di solito avviene vivendo. La vita stessa è il terreno dove questo avviene. Può essere che ci sia una resa parziale e di conseguenza un’apertura, e poi puoi iniziare delle pratiche spirituali. Ma sia che la pratica spirituale abbia inizio ad un certo grado di comprensione o che la pratica spirituale avvenga di per sé, la pratica da sola non basterà.

Andrew Cohen: Qualcosa che ho potuto vedere nel mio stesso lavoro di insegnante, è che, a meno che non si sia visto il mondo fino ad un certo livello, ed a meno che non ci sia una volontà di lasciarlo andare, basata su ciò che si è visto, l’esperienza spirituale, non importa quanto sia forte, non ti porterà a nessun tipo di liberazione.

Eckhart Tolle: Sì, è vero, e la volontà di lasciar andare è l’arrendersi. La chiave resta questa. In sua assenza, non importa quanta pratica si è fatta o perfino quante esperienze spirituali si sono avute, non succederà.

Andrew Cohen: Sì, molte persone dicono di voler meditare o fare delle pratiche spirituali, ma le loro aspirazioni spirituali non sono fondate sulla volontà di lasciar andare niente di sostanziale.

Eckhart Tolle: No, in realtà può essere proprio l’opposto. La pratica spirituale può essere una maniera per cercare di trovare qualcosa di nuovo con cui identificarsi.

Andrew Cohen: Alla fine intenderesti dire che la vera pratica spirituale o la vera esperienza spirituale hanno il senso di condurci a lasciare andare il mondo, alla trascendenza del mondo, all’abbandono dell’attaccamento al mondo?

Eckhart Tolle: Sì. Qualche volta le persone chiedono: “Come si arriva a questo? Sembra meraviglioso, ma come si arriva a questo?”. In termini di concretezza, alla base, significa semplicemente dire “sì” a questo momento. Questo è lo stato dell’arrendersi: un “sì” totale a ciò che è. Non il “no” interiore a ciò che è. E il “sì” totale a ciò che è, è la trascendenza del mondo. È così semplice, una totale apertura a qualsiasi cosa si manifesti in questo momento. Lo stato usuale di coscienza è quello di resistere, di scappar via, di negare, di non guardare ciò che è.

Andrew Cohen: Quindi, quando dici: un “sì” a ciò che è, vuoi dire di non evitare niente e di affrontare ogni cosa?

Eckhart Tolle: Giusto. Il dare il benvenuto a questo momento, l’abbracciare questo momento, questo è lo stato dell’arrendersi. In verità è tutto quello che è necessario. La sola differenza fra un Maestro e un non Maestro, è che il Maestro abbraccia ciò che è, totalmente. Dal momento in cui non c’è resistenza a ciò che è, allora arriva la pace. Il portale è aperto, il non manifesto è presente. Questa è la via più potente. Non si può chiamarla pratica perché non coinvolge il tempo.

Andrew Cohen: Secondo la maggior parte della gente coinvolta nell’esplosione spirituale dell’incontro tra est e ovest, che accade sempre più rapidamente in questo periodo, sia Gautama il Buddha sia Ramana Maharshi – uno dei Vedanta più rispettati dell’era moderna – emergono come esempi impareggiabili di illuminazione piena, e nonostante ciò, è interessante notare, a proposito della domanda sulla giusta relazione con il mondo dell’aspirante spirituale, che i loro insegnamenti divergono in modo sostanziale.

Il Buddha, colui che rinuncia al mondo, incoraggiava i più onesti a lasciare il mondo e a seguirlo in modo da vivere una vita santa, liberi dagli affanni e dalle preoccupazioni della vita familiare. Ramana Maharshi sconsigliò i suoi discepoli a lasciare la vita familiare per andare in cerca di una concentrazione spirituale più grande e più intensa. Infatti sconsigliò ogni atto esteriore di rinuncia e invece incoraggiò l’aspirante a guardarsi dentro e a trovare il motivo dell’ignoranza e della sofferenza al suo interno. Infatti molti, nel crescente numero dei suoi devoti, oggi dicono che il desiderio di rinuncia è in realtà un’espressione dell’ego, quella stessa parte del sé che intendiamo abbandonare se vogliamo essere liberi. Naturalmente il Buddha dette molta importanza alla necessità della rinuncia, del distacco, della diligenza e della limitazione come le stesse fondamenta su cui può sorgere un’introspezione liberatoria.

Perciò, perché pensi che le vie di questi due luminari spirituali divergano così tanto? Perché pensi che Buddha incoraggiasse i suoi discepoli a lasciare il mondo mentre Ramana Maharshi li incoraggiava a restarvi?

Eckhart Tolle: Non c’è soltanto una via. Epoche differenti hanno determinati approcci che possono essere efficaci per una certa epoca e non esserlo più per un’altra. Il mondo in cui viviamo ha in sé una densità molto maggiore, è molto più invadente. E quando dico mondo, includo in esso la mente umana. La mente umana è cresciuta dal tempo di Buddha, da 2500 anni fa. La mente umana è più rumorosa e più invadente ad un livello profondo e gli ego sono più sviluppati. In queste migliaia d’anni, c’è stata una crescita dell’ego che sta toccando un punto di follia, e l’estrema follia è stata raggiunta nel ventesimo secolo. Basta solo leggere la storia del ventesimo secolo per vedere il culmine della follia umana, se lo si misura in termini di violenza umana inflitta ad altri esseri umani.

Così, nel mondo d’oggi, non possiamo più evitare il mondo, non possiamo neppure più evitare la mente. Abbiamo bisogno di entrare nella resa mentre siamo nel mondo. Questo sembra essere il cammino effettivo nel mondo in cui adesso viviamo. Può darsi che al tempo di Buddha ritirarsi fosse molto, ma molto più facile di quello che potrebbe essere ora. A quel tempo, la mente umana non era ancora così opprimente.

Andrew Cohen: Ma il motivo per cui il Buddha predicava di intraprendere una vita senza dimora, fu perché sentiva che quella domestica era piena di preoccupazioni, attenzioni e interessi, e che, in quel contesto, sarebbe stato difficile fare ciò che era necessario per vivere una vita santa. Quindi, riguardo a ciò che affermi sul rumore e sulla distrazione del mondo, questo era esattamente quello che lui intendeva ed il perché lui stesso ha condotto una vita senza dimora, incoraggiando anche gli altri a fare lo stesso.

Eckhart Tolle: Bene, avrà avuto le sue ragioni, ma, in definitiva, noi non sappiamo perché Buddha pose l’enfasi sul lasciare il mondo invece di dire, come ha detto Ramana Maharshi: “Fallo nel mondo”. Mi sembra, però, da quanto ho osservato, che la via più efficace ora per le persone sia quella d’arrendersi nel mondo, invece di tentare di distaccarsene, creando una struttura che renda più facile l’arrendersi. C’è già una contraddizione in questo perché stai creando una struttura per rendere più facile la resa. Perché non arrendersi ora? Non avete bisogno di creare qualcosa che renda più facile la resa, perché in questo caso non è più un vero arrendersi. Sono stato nei monasteri buddisti, e posso vedere come sia facile lasciare il nome ed adottarne uno nuovo, rasarsi la testa ed indossare tuniche.

Andrew Cohen: Vuoi dire che è stato lasciato un mondo per un altro. Un’identificazione è stata abbandonata per lasciar posto ad un’altra; un ruolo è caduto e ne è stato assunto un altro. Niente è stato realmente abbandonato.

Eckhart Tolle: Giusto. Perciò, fallo dove sei, proprio qui, proprio adesso. Non c’è bisogno di cercare qualche altro posto o qualche altra condizione o situazione e poi farlo lì. Fallo proprio qui e ora. Dovunque tu sia è il posto per arrendersi. Qualsiasi sia la situazione in cui sei, puoi dire “si” a ciò che è, e questa è poi la base per tutte le azioni che seguono.

Andrew Cohen: Ci sono oggi molti insegnanti e altrettanti insegnamenti che spiegano come il desiderio stesso di rinunciare al mondo sia un’espressione dell’ego. Qual è la tua visione?

Eckhart Tolle: Il desiderio di rinunciare al mondo è ancora una volta il desiderio di raggiungere un certo stato che, ora, non hai. C’è una proiezione mentale di uno stato desiderabile da raggiungere: lo stato di rinuncia. È una ricerca di sé nel futuro. In questo senso è ego. La vera rinuncia non è il desiderio di rinunciare, ma si manifesta come una resa. Non puoi avere il desiderio di arrenderti perché quello stesso desiderio è non-resa. Qualche volta l’arrendersi sorge spontaneamente in persone che non hanno neppure il termine per definirlo. E so che, ora, in molte persone, c’è già l’apertura. Tante persone che vengono da me, hanno una vasta apertura, che qualche volta richiede soltanto poche parole per provocare un assaggio, un barlume della resa, che può non essere duratura, ma l’apertura è presente.

Andrew Cohen: Cosa ne pensi del richiamo spontaneo del cuore a lasciare tutto ciò che è falso ed illusorio, tutto ciò che è basato sulla relazione materialistica dell’ego verso la vita? Per esempio, quando il Buddha decise: “Devo lasciare la mia casa” – sarebbe probabilmente difficile dire che fu un desiderio egoistico, osservando i risultati. E Gesù disse: “Vieni e seguimi. Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”.

Eckhart Tolle: Questo è riconoscere il falso come falso, che è principalmente qualcosa di interiore – riconoscere le false identificazioni, riconoscere il rumore mentale, e vedere la falsità di quella che è stata l’identificazione con immagini mentali come l’entità di un “me”. Questo riconoscere è stupendo. Poi l’azione può sorgere dal riconoscimento del falso, forse puoi vedere il falso riflesso nelle circostanze della tua vita e puoi allora lasciartelo alle spalle – oppure no. Il riconoscere e l’abbandonare tutto ciò che è falso e illusorio è prima di tutto un processo interiore.

Andrew Cohen: Questi due tipi, il Buddha e Gesù, sarebbero esempi di potenti manifestazioni esteriori di quel riconoscimento interiore.

Eckhart Tolle: Giusto. Non c’è modo di prevedere ciò che accadrà come conseguenza di quel riconoscimento interiore. Nel caso del Buddha, ovviamente, accadde perché era già adulto quando all’improvviso realizzò che gli esseri umani muoiono, si ammalano ed invecchiano. Questa presa di coscienza fu così potente che si guardò dentro e affermò che niente ha significato se quello è tutto ciò che esiste.

Andrew Cohen: Poi, però, dovette lasciare, abbandonare il regno. Da un certo punto di vista avrebbe potuto dire: “Tutto è qui ora, e ciò che devo fare è arrendermi senza condizioni qui e ora”. Quindi credo che il risultato avrebbe potuto essere completamente diverso, magari avrebbe potuto essere un re illuminato!

Eckhart Tolle: Ma, a quel punto non sapeva che tutto ciò che era necessario fare era arrendersi.

Andrew Cohen: Tuttavia, quando Gesù invitò i pescatori a lasciare le loro famiglie e il loro tipo di vita per seguirlo e, in modo simile, quando il Buddha passava di città in città e invitava gli uomini a lasciare ogni cosa, il loro arrendersi si dimostrò nella partenza vera e propria, nel dire “si” a Gesù o al Buddha e abbandonare i loro affetti mondani. Ovviamente ci sarebbero stati anche i loro affetti interiori da abbandonare. In questi casi, il lasciar andare non era solo una metafora per la trascendenza interiore; significava anche, letteralmente, lasciar andare tutto.

Eckhart Tolle: Per alcuni è parte del cammino. Possono lasciare i loro posti abituali o le attività, ma ciò che cambia è chiedersi se hanno già visto dentro loro stessi il falso. Se non l’hanno visto, il lasciar andare sul piano esteriore sarebbe una forma mascherata di ricerca di sé.

Andrew Cohen: Con la mia ultima domanda vorrei chiederti a proposito della relazione tra la tua comprensione dell’illuminazione, o l’esperienza di consapevolezza non duale, e l’impegno col mondo.

Nel Giudaismo, l’impegnarsi completamente nel mondo e nella vita umana è visto come l’esaudirsi della chiamata religiosa. Dicono, infatti, che è solo vivendo totalmente i comandamenti che il potenziale spirituale della razza umana può manifestarsi sulla terra. Lo studioso ebraico David Ariel scrive: “Noi concludiamo il lavoro della creazione…Dio ha ancora bisogno del nostro aiuto perché solo noi possiamo perfezionare il mondo”.

Molti insegnamenti illuminati, o non duali, come il tuo, enfatizzano l’illuminazione dell’individuo. La trascendenza del mondo sembra essere la cosa importante. I nostri fratelli ebrei sembra ci invitino a qualcosa di molto diverso – la spiritualizzazione del mondo attraverso la partecipazione totale e devota dell’uomo e della donna nel mondo. É vero che gli insegnamenti riguardanti l’illuminazione non duale privano il mondo della nostra totale partecipazione nei suoi confronti? È la nozione stessa di trascendenza che depriva il mondo dalla realizzazione del nostro potenziale di renderlo spirito in quanto figli di Dio?

Eckhart Tolle: No, perché la giusta azione può scaturire solo da tale stato di trascendenza del mondo. Ogni altra attività è indotta dall’ego, e perfino il fare del bene, se indotto dall’ego, avrà delle conseguenze karmiche. ”Indotta dall’ego” significa che c’è un motivo conseguente. Per esempio, se il sentirti più spirituale migliora la tua propria immagine; o un altro esempio sarebbe attendersi una ricompensa futura in un’altra vita o in paradiso. Perciò se ci sono motivazioni conseguenti, non è pura. Se non c’è stata la trascendenza del mondo, nelle tue azioni non può fluire il vero amore, perché non sei connesso con il regno dal quale sorge l’amore.

Andrew Cohen: Intendi dire un’azione pura, non macchiata dall’ego?

Eckhart Tolle: Sì, in ordine d’importanza. Prima viene la realizzazione e la liberazione, poi da queste lasci fluire l’azione – e sarà pura, immacolata, priva di karma. Altrimenti, non importa quanto siano elevati i tuoi ideali, rafforzeranno l’ego attraverso le buone azioni. Sfortunamente, non puoi soddisfare i comandamenti a meno che tu sia senza ego – e molto pochi lo sono – come hanno scoperto tutti quelli che hanno cercato di praticare gli insegnamenti di Cristo. “Ama il prossimo tuo come te stesso” è uno degli insegnamenti più importanti di Gesù, e non puoi seguire quel comandamento, non importa quanto ci provi, se non sai chi sei al livello più profondo. Ama il tuo prossimo come te stesso significa che il tuo prossimo sei tu, e quel riconoscimento di unità è amore.

Fonte: http://www.innernet.it

La divinizzazione del cosmo, Brian Swimme

07 domenica Ago 2016

Posted by Paola in Evoluzione, Inserimenti, Personaggi, Società

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Brian Swimme2La divinizzazione del cosmo, Brian Swimme

Intervista di Susan Bridle (2010)

Nel corso delle letture e delle ricerche approfondite fatte per preparare questa intervista, ci siamo imbattuti ripetutamente nel nome del prete gesuita e paleontologo Pierre Teilhard de Chardin. Abbiamo scoperto che i suoi scritti visionari sono stati un’importante fonte di ispirazione e rivelazione per molti scienziati, ecologisti, futuristi e teologi alle prese con l’attuale situazione critica della Terra e degli esseri umani che vi abitano.

Abbiamo subito capito il perché, quando abbiamo letto brani da The Human Phenomenon (Il fenomeno umano), The Divine milieau (L’ambiente divino. Saggio di vita interiore) e The Future of Man (Le direzioni del futuro).

Brian Swimme studia l’opera di Teilhard da molti anni. Scienziato a sua volta e profondamente interessato ai rapporti tra scienza e spiritualità, le sue idee e la sua passione sono stati molto influenzati da Teilhard. Chi meglio di lui, abbiamo pensato, potrebbe riportare in vita il pensiero di Teilhard? Swimme racconta la scoperta di Teilhard nella sua prefazione alla nuova traduzione di Sarah Appleton Weber di The Human Phenomenon:

“Ci sono giorni a New York, nei quali non vedi mai il sole, ma senti la sua presenza nelle correnti di aria calda che soffiano tra i canyon di cemento e nelle ondate di calore che salgono dall’asfalto. Quando, alla fine, avevo i vestiti inzuppati di sudore e mi ero perso per la terza volta, fui tentato di rifugiarmi in qualche hotel con l’aria condizionata. Bastava, però, ricordare quanto ero infelice per continuare ad andare avanti. Avevo appena dato le mie dimissioni da professore di matematica e fisica, ed ero alla ricerca della saggezza. Molte persone mi avevano indirizzato verso New York, in particolare (Aurelio Peccei) il fondatore del Club di Roma, un importantissimo gruppo di pensatori e visionari planetari. Quando gli venne chiesto, sul letto di morte, quale fosse il pensatore che raccomandasse di più, tra tutte le grandi menti con cui aveva lavorato, rispose semplicemente: «La nostra migliore speranza è Thomas Berry».

Quando entrai al Berry’s Riverdale Research Center e venni invitato nella sua biblioteca, le mie aspettative non avrebbero potuto essere maggiori. Egli mi ascoltò attentamente mentre cercavo di spiegare la mia infelicità e confusione dovute alla distruzione del pianeta e a quello che si poteva fare. Dopo una lunga pausa, e senza proferire parola, Thomas Berry prese un libro tra le migliaia della sua libreria. Con espressione severa gettò attraverso il tavolo la grande opera di Chardin, Il fenomeno umano.

La mia delusione fu istantanea: quella era roba vecchia. Avevo attraversato il continente per ricevere un libro già letto alle scuole superiori dei gesuiti? Peggio ancora, alcuni famosi scienziati avevano messo in discussione le idee di Teilhard, e lo feci notare. Thomas Berry si limitò a sorridere, poi scoppiò in una disinvolta risata:

«Teilhard fu il primo a concepire l’universo in modo nuovo, quindi è inevitabile che venga criticato. Se lei si preoccupa per ciò che hanno da dire pochi scienziati, dovrebbe leggersi qualche teologo! Fondamentalmente, si tratta di una difficoltà di scala. Qualsiasi tentativo di comprendere Teilhard che non cominci dall’intero complesso delle civiltà, così come dal vasto panorama dell’universo evoluzionistico, è destinato al fallimento, perché sarebbe semplicemente troppo piccolo per contenere tutto ciò di cui egli tratta. Situazioni simili si sono verificate nella storia della scienza, non è vero?».

La mia mente corse ad Albert Einstein, a Niels Bohr e alle rivoluzioni da loro avviate, che non potevano essere contenute all’interno della fisica classica. Ma la domanda di Thomas Berry era stata solo retorica. Prima di chiudere il nostro incontro, pronunciò un’affermazione indimenticabile: «Vedere le cose come le vedeva Teilhard è una sfida, ma la sua visione sta diventando sempre più accessibile a noi. Penso che nel prossimo millennio Teilhard sarà riconosciuto come il quarto pensatore più grande della tradizione cristiana occidentale, dopo S.Paolo, Agostino e Tommaso d’Aquino».

Sorrise di nuovo, consapevole di quanto restasse ancora da spiegare, ma anche del fatto che in quel momento non avrei potuto capire. Indicò il libro che mi aveva messo nelle mani e disse: «Inizi da Teilhard. Non c’è nulla di paragonabile a una lettura attenta della sua opera».

Leggevo il libro da solo e una volta alla settimana ne discutevo con Thomas Berry; ogni volta mi stupivo di quanto fosse necessario fare riferimento alla storia intellettuale del mondo. Egli prendeva spunto non solo dalla fisica e dalla biologia, ma anche dalla filosofia, dalla poesia, dalla linguistica, dalla musica e soprattutto dalla cosmologia e dalla storia del mondo.

Dopo qualche mese, cominciai a sospettare che le categorie fondamentali della mia mente stessero subendo dei cambiamenti. Gli assunti indimostrati che organizzavano le mie esperienze nel mondo vacillavano sotto la pressione dell’enorme e penetrante cosmologia di Teilhard…”.

L’intensa meditazione di Swimme sul lavoro di Teilhard culminò in una profonda esperienza spirituale che lo sopraffece un giorno, mentre camminava con il figlio di quattro anni in una foresta a nord di New York. Fu un’epifania del fuoco mistico al cuore della visione di Teilhard, un momento al di là del tempo in cui Swimmie riconobbe la fiamma creativa e ardente del cosmo.

Questa visione resta molto viva in lui ancora oggi. Al termine della nostra conversazione su Pierre Teilhard de Chardin e le sue idee, Swimme ha ammesso con una risata: «Buon vecchio Teilhard. Non mi sono mai ripreso da quel giorno».

Susan Bridle: Pierre Teilhard de Chardin fu un grande pensatore che ha influenzato profondamente le sue idee. Può dirci qualcosa di lui? Per esempio, chi era e quali sono stati i suoi contributi più significativi, secondo lei?

Brian Swimme: Pierre Teilhard de Chardin fu un paleontologo gesuita francese vissuto tra il 1881 e il 1955. Il suo contributo più importante fu la formulazione chiara del significato della nuova storia dell’evoluzione. Fu il primo pensatore di rilievo in Occidente ad affermare che l’evoluzione e il sacro si identificano, o a stabilire un collegamento.

Teilhard de Chardin in Occidente e Sri Aurobindo in India arrivarono alla stessa conclusione fondamentale, cioè che lo sviluppo dell’universo è un’evoluzione sia fisica che spirituale. Penso che questo sia il suo contributo principale. Da un lato, ci sono tradizioni grandiose su Dio, Brahma, ecc.; dall’altro, questa tradizione sull’evoluzione… E i seguaci di ogni tradizione tendono a essere molto critici nei confronti delle altre tradizioni. I cristiani affermavano: “L’evoluzione è orribile!”, e gli scienziati rispondevano: “Il teismo è orribile!”. Aurobindo e Teilhard hanno unito queste due cose.

Ecco perché li considero due geni. Teilhard ha cercato di andare oltre il fondamentale dualismo soggetto-oggetto presente in molta parte del pensiero occidentale. Ha cominciato a vedere davvero l’universo come un unico fenomeno di energia, sia fisica che psichica, o addirittura spirituale. Penso che questo sia il suo grande contributo: iniziò a concepire l’universo in modo globale, non solo come materia oggettiva, ma come qualcosa permeato di energia psichica o spirituale.

Inoltre, secondo me, l’idea centrale di Teilhard è la sua legge della “complessificazione-coscienza”, che identifica come la legge fondamentale dell’evoluzione. Per lui, tutto può ridursi alla complessificazione e all’approfondimento dell’intelligenza o soggettività. L’intero moto dell’universo nella sua complessificazione è allo stesso tempo un moto verso le profondità della coscienza, o l’interiorità.

Egli considerava ogni cosa come un processo fisico-biologico-spirituale. Fu lui che vide tutto come un insieme. Per riassumere semplicisticamente il suo pensiero, si può affermare che l’universo inizia con la materia e si evolve nella vita, nel pensiero e in Dio. Questa è la sua visione. Chiaramente, questo Dio che evolve… non è che nasce dalla materia. Dio è presente fin dall’inizio, ma in forma implicita, e l’universo sta svolgendo il grande compito di rendere esplicita la divinità.

Susan Bridle: Quali erano le idee di Teilhard sulla natura e sul ruolo dell’essere umano nella creazione?

Brian Swimme: La sua opinione era che la nascita dell’autocoscienza nell’uomo fosse stata un momento cruciale della vita della terra. Sosteneva che la scoperta dell’evoluzione da parte dell’uomo rappresentava il cambiamento più drammatico di mentalità negli ultimi due milioni di anni. Pensi alla Carta dei Diritti, al viaggio sulla luna, alle grandi religioni, a tutte queste cose incredibili: secondo lui, erano tutte secondarie in confronto alla scoperta dell’evoluzione da parte della coscienza umana.

Per lui, questa scoperta era “l’universo che si ripiegava su se stesso”. Ci sono tutte queste creature che vivono nella natura, poi improvvisamente una di loro guarda la natura negli occhi e dice: «Qual è esattamente il tuo scopo?». Per lui, questo era un mutamento fondamentale. Sviluppò quest’idea parlando della terra come di una serie di involucri. Amo molto questa immagine: prima di tutto, c’è la litosfera o lo strato superficiale di roccia, poi si sviluppano l’atmosfera, l’idrosfera e la biosfera.

Ma, secondo lui, nella nostra epoca si era aggiunto un altro livello, la “noosfera”, cioè un livello generato dal pensiero umano. Non è possibile comprendere la Terra prescindendo da questi livelli. Il modo in cui ciò ha catturato l’immaginazione contemporanea è stato attraverso lo sviluppo dell’Internet, che è simile ai nervi della noosfera.

Susan Bridle: La rivista Wired, tempo fa, ha pubblicato un articolo su Teilhard che affrontava questo argomento. Ma si sono spinti troppo in là, perché sembravano equiparare la noosfera di Teilhard all’Internet, suggerendo che la sua intuizione fosse semplicemente una premonizione di quest’ultima.

Brian Swimme: Sì. Penso che esistano diversi modi di svalutare il suo pensiero e lasciarsene sfuggire delle parti: uno è affermare che la noosfera è l’Internet. Naturalmente, Teilhard direbbe che, come ogni altra cosa nell’universo, l’Internet ha sia una dimensione fisica che spirituale.

Susan Bridle: Cosa significa il fatto che diventiamo consapevoli del processo dell’evoluzione?

Brian Swimme: Teilhard ha creato una grande analogia. Il momento del nostro risveglio, come specie, è molto simile a ciò che accade nell’individuo all’età di circa due anni. Non conosco il momento esatto, ma arriva un giorno in cui il bambino ha, per la prima volta, una percezione approfondita. Nel loro campo fenomenico, gli avvenimenti vengono riordinati in tre dimensioni, mentre prima ne esistevano solo due. Teilhard diceva che la specie sta attraversando questo momento: stiamo scoprendo la profondità del tempo. Prima, vedevamo tutto all’interno di uno spazio molto più ristretto, adesso – wham! – l’universo si spalanca come un tutto nelle profondità del tempo.

Teilhard usò anche questa definizione: “ominizzazione”. Ominizzazione è il modo in cui il pensiero umano trasforma fenomeni e funzioni della Terra già esistenti. Le faccio un esempio. La Terra prende decisioni in ogni momento; in senso lato, ciò si chiama selezione naturale. Quando vi aggiungi il pensiero umano, esso esplode in tutte le decisioni che prendiamo sull’intero pianeta. La decisione umana ha “ominizzato” il processo di selezione naturale, nel bene e nel male. Tutto ciò che è esistito finora sta attraversando questo processo di ominizzazione.

Un altro esempio: osservi i giovani mammiferi e il modo in cui giocano. Fanno confusione, si nascondono, si inseguono, e noi ominizziamo tutto creando l’enorme industria dei divertimenti, degli sport e delle arti. Ogni cosa sembra destinata a passare attraverso questa esplosione, quando è toccata dall’immaginazione umana. L’intuizione finale di Teilhard su ciò che sta accadendo nell’uomo è l’ominizzazione dell’amore.

Vede, egli considerava la forza di gravità, o il modo in cui gli animali si prendono cura gli uni degli altri, come forme d’amore; per lui, l’ominizzazione dell’amore consisteva nel mettere a fuoco e nell’amplificare l’amore fino a trasformarlo in una forza gigantesca nella futura evoluzione della Terra. Questa è la sua frase più famosa: “Verrà un giorno in cui imbriglieremo le energie dell’amore per rivolgerle verso Dio. E, quel giorno, per la seconda volta nella storia del mondo, l’essere umano avrà scoperto il fuoco”.

Susan Bridle: In che modo la nostra consapevolezza della scala evolutiva del tempo aiuta – come lei ha detto prima – “l’evoluzione dell’universo in Dio” o favorisce l’invocazione di Dio attraverso la coscienza umana?

Brian Swimme: Era sua convinzione che un profondo cambiamento a livello dell’essere – un cambiamento del cuore, della mente, del corpo stesso – potesse accadere nell’uomo che imparasse a vedere l’universo come soffuso dell’azione divina. Fece un grande uso di questa parola, “vedere”. La pratica spirituale, secondo lui, consisteva nello sviluppare le qualità necessarie per comprendere veramente tutto ciò, per vedere davvero dove siamo.

Una cosa di cui parlava è il modo in cui tendiamo a lasciarci sopraffare dai grandi numeri; per questo, diceva che avremmo dovuto imparare a vedere delle strutture nei grandi numeri. Quando impareremo ciò, non verremo più schiacciati dall’immensità dell’universo, ma risuoneremo con esso nella sua totalità, come con la forma esteriore del nostro spirito interiore. Questo fu il suo appello: affinché gli uomini sviluppassero tali capacità.

Inoltre, Teilhard aveva un punto di vista interessante sulle tradizioni spirituali, a proposito di questo argomento. Sembra che sostenesse che l’eternità fosse più semplice dell’evoluzione. Considerava l’idea del risveglio all’eternità una delle più importanti nella storia dell’umanità, ma non così difficile come quella di aprire gli occhi alla natura evolutiva e temporale dell’universo.

Susan Bridle: Cosa intende con “risveglio all’eternità”, in questo contesto?

Brian Swimme: Il modo in cui sorgiamo dall’eternità, momento dopo momento. Per sfuggire all’illusione della transitorietà e vedere il momento assoluto… Teilhard considerava ciò un evento mistico importante nella vita di un individuo e nel viaggio umano in generale. Ma aggiunse che risvegliarsi alla natura evolutivo-temporale dell’universo era un compito e una sfida più difficili e profondi. Questo momento rappresenta il viaggio intero, non solo l’anno 2000. Esso rappresenta anche la nascita dell’universo stesso. Ma (e ciò è più utile ai fini di questa discussione) è anche il momento del “futuro assoluto”. La sfida che abbiamo davanti è il richiamo del futuro assoluto sul presente. Questo è, in realtà, il suo misticismo.

Egli sosteneva che, imparando a vedere, diventando attenti e consapevoli in questo universo, si avverte la chiamata e la presenza del Dio non ancora nato che ci chiede (o ci guida verso) quel tipo di azione creativa che darà vita al momento successivo, in un processo che egli definì “divinizzazione”.

Susan Bridle: Ciò è qualcosa su cui abbiamo molto riflettuto, nella preparazione di questo numero del giornale. Spesso, nelle tradizioni orientali, ci si sofferma solo sul “risveglio all’eternità” che lei ha appena descritto. Ma nel lavoro di Teilhard c’è un altro richiamo. C’è il richiamo a manifestare la perfezione dell’Assoluto nella forma, affinché ci siano sempre più complessità, ordine e perfezione nella forma, nel tempo, nello spazio e nella materia. Sembra che Teilhard unisca l’assoluto e il manifesto in una concezione veramente non dualistica, unica nel suo genere.

Brian Swimme: Giusto. Amo il suo orientamento e il suo punto di vista sulle religioni tradizionali. Egli sostiene che il futuro delle tradizioni spirituali sul nostro pianeta sarà determinato dal grado con cui favoriranno il processo di divinizzazione. E sottolinea il fatto che una delle difficoltà è che, fino al momento presente, ci siamo considerati all’interno di queste tradizioni. Ma ora, secondo lui, è l’universo la nostra casa. È un modo di valorizzare queste tradizioni, ma vedendole dalla corretta prospettiva del contesto assoluto, cioè l’universo come un tutto unico.

Susan Bridle: Teilhard è noto soprattutto per il concetto del “punto omega”. Il termine è diventato molto popolare, ma sembra che poche persone capiscano davvero quello che intendeva dire. Può spiegare il punto omega di Teilhard?

Brian Swimme: Con “punto omega”, Teilhard intendeva un universo che si era trasformato in Dio; voleva dire Dio in forma incarnata. Egli concepiva il punto omega in due modi: da una parte, come un evento verso cui si sta dirigendo l’universo, nel futuro. Ma immaginò anche (e per noi è veramente difficile concepirlo) che, sebbene il punto omega sia nel futuro, eserciti un’azione nel presente. Quando pensiamo al punto omega secondo la nostra coscienza occidentale, è difficile non immaginare una linea con il punto omega alla fine. Lui non la pensava così; riteneva che il punto omega permeasse ogni cosa. Immaginava che l’influenza del punto omega s’irradiasse dal futuro verso il presente.

In qualche modo misterioso, il futuro è qui. Teilhard pensava che il futuro si manifestasse qui e ora come un’esperienza di attrazione o richiamo, o come ardore, lo “zest”. Questa è la parola che usava, che amo molto. Noi – intendendo per “noi” tutto ciò che è nell’universo – siamo spinti in avanti, e questa forza attrattiva inizia un processo che termina in un essere più grande e profondo. Egli considerava questa attrazione come amore, ritenendola una prova della presenza del punto omega. Quando sperimenti quell’attrazione, quello zest, stai sperimentando il futuro. Stai sperimentando il punto omega, Dio e il tuo destino.

Susan Bridle: Cosa significa, per l’universo, diventare Dio?

Brian Swimme: Visto che siamo nel mezzo del processo, al massimo possiamo averne immagini grossolane, metafore, piccoli bagliori e intuizioni. L’immagine che mi piace è questa: una roccia fusa che, da sola, si trasforma in una madre che si prende cura del suo bambino. È una trasformazione piuttosto stupefacente; ovviamente, richiede quattro miliardi di anni.

Il silicio, il magnesio e tutti gli elementi di cui è composta una roccia si trasformano nei luminosi occhi blu, nei bei capelli castani e nell’amore, la cura e anche il sacrificio profondi per il bambino. È una trasfigurazione profonda. L’amore, la verità, la compassione, lo zest e tutte queste qualità che consideriamo divine s’incarnano potentemente nell’universo. Questa immagine rappresenta il mio modo di concepire la trasformazione dell’universo nel divino.

Susan Bridle: Quindi è un processo mediante il quale Dio diventa sempre più esplicito o incarnato nelle forme dell’universo?

Brian Swimme: Sì, esattamente. Teilhard parlava anche di “dar vita a una persona”. Per esempio, il suo collega Craig si trova dall’altra parte della stanza. Se lei andasse indietro di cinque miliardi di anni, gli atomi del corpo di Craig sarebbero sparsi in un raggio di più di cento milioni di chilometri. Il misterioso processo con cui la materia si trasforma nella personalità o nella persona è ciò che Teilhard considerava l’essenza dell’evoluzione. L’evoluzione non è fredda. Egli vedeva il punto omega come lo stesso processo di nascita o attualizzazione di questa nuova, grande Persona Divina, non solo grazie all’interazione di tutti gli atomi fra loro, ma grazie alle “persone” di tutti gli esseri umani e degli altri animali.

Ognuno di noi è parte di questo processo: in tal modo, l’intero universo si trasforma nel corpo di Dio. Per capire quanto sia radicale il pensiero di Teilhard, pensi a un animale e lo dissolva, con l’immaginazione, indietro nel tempo, fino a ridurlo a singole cellule. Prima di settecento milioni di anni fa, non esisteva alcun organismo pluricellulare; per oltre tre miliardi d’anni, sono esistiti solo organismi unicellulari. Se lei arriva a conoscere a fondo un animale, sa che ha una personalità. Ma la personalità è qualcosa di evocato dalle cellule. Quindi, secondo la concezione di Teilhard, i membri individuali dell’universo, in realtà, stanno evocando una Persona Divina. Di fatto, stiamo dando vita a una personalità-mente-spirito più ampia e comprensiva.

Susan Bridle: In un certo senso, ciò non era meno vero sessantacinque milioni di anni fa di quanto non lo sia oggi. Eppure, allo stesso tempo, gli esseri umani stanno diventando coscienti solo ora della nostra evoluzione e della nostra partecipazione consapevole a questo processo più ampio. In che modo lei crede che ciò abbia cambiato questo processo?

Brian Swimme: Penso che la differenza stia nel fatto che, mentre ogni membro dell’universo partecipa alla costruzione del cosmo, tale partecipazione avviene senza una riflessione conscia. Anche noi stiamo partecipando alla costruzione del cosmo, ma abbiamo la consapevolezza di farlo. Questa è la differenza essenziale dell’essere umano. Riconosciamo questo processo in atto, e possiamo comprendere che vi stiamo partecipando attivamente. Non ci limitiamo a parteciparvi, ma sappiamo che lo stiamo facendo.

Questo richiede un certo sviluppo spirituale, in modo che possiamo trovare la nostra strada tra le due reazioni estreme a questo stato di cose. Da un lato, possiamo essere così sopraffatti da ciò, paralizzati dalla responsabilità, che evitiamo di vivere davvero questo destino. Penso che questo succede frequentemente. Ora come ora è ciò che accade nella nostra civiltà, nella maggioranza dei casi. Ma l’altro estremo è altrettanto egativo.

Diventiamo così tronfi per il ruolo che ricopriamo, che cominciamo a credere di essere noi la reale azione dell’universo, e che la nostra illuminazione sia l’unica cosa che davvero importi. Ma non credo che le cose stiano così. Piuttosto, credo che stiamo partecipando a questo evento enorme, vasto e intricato, e che siamo membri della comunità, ma sembra che siamo specialmente destinati a riflettere su tutto ciò e a parteciparvi in modo cosciente. Quindi, io cerco di sottolineare l’unicità, ma allo stesso tempo la presenza di una parità. Entrambe sono presenti. Siamo unici nel nostro ruolo ma, a livello ontologico, c’è parità. Non siamo in qualche modo superiori alla luna, al fitoplancton, ai ragni o a qualsiasi altra cosa. Ognuno è essenziale.

Susan Bridle: Qual è l’importanza del pensiero di Teilhard sull’evoluzione e il ruolo dell’essere umano nell’attuale crisi planetaria?

Brian Swimme: Vorrei evidenziare due punti. Primo, il pensiero di Teilhard sull’evoluzione ci mette nelle condizioni di apprezzare il vero significato della nostra epoca. È molto difficile per noi comprendere davvero cosa vuol dire prendere decisioni che avranno un impatto sui prossimi dieci milioni di anni. Anche se comprendiamo l’idea, è qualcosa che resta a un livello mentale. Lo studio del pensiero e dell’opera di Teilhard può essere considerato una pratica spirituale per iniziare a pensare al livello oggi richiesto dagli uomini; per esempio, pensare sulla scala dei dieci milioni d’anni. Per la gente, è difficile arrivarci.

La seconda cosa che vorrei dire è che gran parte della discussione ecologica è piena di negatività, perché qualsiasi persona dotata di intelligenza resterà sconvolta dall’orrore della distruzione in atto. Uno dei grandi contributi di Teilhard è che ci permette di cominciare a immaginare che questa transizione ha una possibilità di terminare, nel futuro, in un modo di vivere veramente splendido; inoltre, il suo pensiero ci fornisce l’energia di cui abbiamo bisogno per affrontare le difficoltà di questo conflitto. Questo, per me, è estremamente importante. Egli è in grado di attivare lo zest, l’entusiasmo più profondo per la vita e l’esistenza che penso sia necessario oggi per una vera leadership.

Fonte: http://www.innernet.it

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